Padre lontano e figlia trascurata, secondo la Suprema Corte di Cassazione il danno è da provare

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La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 6/03/2020 n. 6518, ha precisato che i comportamenti endofamiliari lesivi della dignità di uno dei componenti della stessa, vengono tutelati anche dalla disciplina dell’illecito aquiliano della quale all’articolo 2043 del codice civile, che, al fine di ottenere il risarcimento del danno, richiede la prova del danno e del nesso causale.

In ottemperanza a questo, i giudici hanno respinto il ricorso della madre di una minore, che chiedeva i danni che il padre lontano avrebbe arrecato alla figlia, per averla trascurata.

Secondo la Corte, non ci può essere risarcimento se manca la prova del danno che il padre, trascurandola, abbia arrecato alla figlia.

Prima di addentrarci nella questione scriviamo qualcosa sul danno endofamiliare.

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In che cosa consiste il danno endofamiliare

Prendono il nome di danni endofamiliari, determinati illeciti che vengono compiuti all’interno della famiglia.

Nelle aule giudiziarie è molto frequente che un familiare, richieda un risarcimento dei danni nei confronti di altri componenti della famiglia, in presenza di comportamenti pregiudizievoli ritenuti lesivi della sua personalità.

All’interno della mura domestiche, si possono configurare ipotesi di responsabilità civile o di “illecito endofamiliare”.

Maturano in relazione a comportamenti posti in essere in violazione di obblighi genitoriali e coniugali, integrando lesioni che si ripercuotono sui diritti fondamentali della persona, come la dignità e il decoro, ed è possibile esperire, il rimedio di tutela previsto dall’articolo 2043 del codice civile, rubricato “ risarcimento per fatto illecito, che recita:

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Il danno endofamiliare e la sua evoluzione

Il tema della responsabilità civile in ambito familiare vine discusso da molto in dottrina e giurisprudenza.

Dagli anni ‘90, si sono susseguite diverse decisioni, di merito e di legittimità, che hanno consentito di affiancare il risarcimento del danno ingiusto agli istituti tradizionali preposti a difesa della famiglia, come l’addebito, l’obbligo di versare un assegno divorzile all’ex coniuge e il sequestro di beni.

Nel novero del “danno endofamiliare” entrano diversi comportamenti che siano lesivi della dignità e dell’onore o della reputazione di un coniuge, ad esempio, la violazione dell’obbligo di fedeltà quando sia così grave da offendere la dignità e la rispettabilità del consorte, i comportamenti violenti, discriminatori o sleali che siano lesivi della persona stessa e della sua integrità psicofisica, come non fare presente al coniuge una condizione di impotenza o lo stato di gravidanza causato da altri, e i casi di mancata assistenza materiale, ad esempio, il mancato mantenimento del coniuge.

Simili situazioni vengono rimediate con la richiesta di addebito, ma giustificano anche la richiesta risarcitoria, perché incidendo sui beni essenziali della vita, producono un danno ingiusto.

Si registrano episodi di “illecito endofamiliare” anche nei rapporti di filiazione, ad esempio, i comportamenti omissivi di completo disinteresse verso la prole, i danni arrecati nella sfera patrimoniale del figlio che non ha potuto godere del mantenimento, dell’istruzione e dell’educazione che il genitore inadempiente gli avrebbe dovuto garantire, oppure, i comportamenti atti a ostacolare gli incontri con l’altro genitore che determinano una lesione dei diritti del genitore e del figlio.

La violazione dei doveri coniugali o genitoriali, quando comporta la lesione di diritti costituzionalmente protetti, come la salute fisica e psichica, l’integrità morale, la dignità, l’onore e la reputazione, può costituire un illecito civile risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 del codice civil.

In presenza di simili circostanze, è possibile chiedere un indennizzo che corrisponda al disagio subito.

Si dovrà realizzare un attento studio, al fine di evitare di presentare in giudizio domande di risarcimento danni con scarse possibilità di accoglimento.

Ritorniamo alla questione relativa alla sentenza.

I danni che la figlia ha subito per essere stata trascurata dal padre

Un padre viene condannato in primo grado al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto da sua figlia, per violazione dei suoi doveri genitoriali.

L’uomo ricorre in Appello, la Corte accoglie il gravame e ritiene non provati i danni arrecati dallo stesso alla figlia.

Il ricorso della madre della ragazza

La madre insoddisfatta ricorre in Cassazione lamentando la violazione di diverse disposizioni della Costituzione, della Carta di Nizza, della Convenzione sui diritti del fanciullo e l’omesso esame di fatti decisivi.

Lamenta anche che la Corte non abbia ritenuto provati i danni che il padre ha arrecato alla figlia, stando allo stesso provare di avere adempiuto ai suoi obblighi genitoriali, perché il giudice del gravame, al fine di giustificare il comportamento dell’uomo, ha affermato che non è pacifico che lui lavori a Losanna, lavorando lo stesso a Mesocco, nella Svizzera Italiana.

Sbagliato anche l’assunto secondo il quale la versione dell’attore è stata confortata esclusivamente da testi riportati da altri.

Quello che loro hanno appreso non è stato detto dall’attrice, ma da sua madre, e le dichiarazioni di alcuni testi sono state rese per diretta conoscenza della situazione.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte di  Cassazione con la sentenza 6/03/2020 n. 6518, ha dichiarato inammissibili le doglianze sollevate da parte della ricorrente, perché tese a un riesame del giudizio probatorio a lei non favorevole.

La Corte precisa che, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale che ha coinvolto il diritto di famiglia è innegabile che “il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile” la quale lesione da parte di un altro membro della famiglia costituisce il presupposto anche della tutela approntata dalla responsabilità civile aquiliana.

Questo però comporta l’applicazione del relativo onere probatorio richiesto dall’articolo 2043 del codice civile.

Chi agisce per fini risarcitori deve provare il danno e il nesso causale che consegue al comportamento illecito del danneggiante.

Il giudice si è attenuto a queste  regole, perché una volta esaminate le prove, secondo il suo prudente apprezzamento, ha escluso la ricorrenza di un comportamento che producesse un obbligo risarcitorio, e la madre non ha provato un comportamento del padre produttivo di danno nei confronti della figlia.

Il ricorso è stato giudicato inammissibile.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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