Ordinanza ex art. 702 ter Cpc, termine di trenta giorni per appellare decorre dall’udienza

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Incardinato ex art. 702 bis Cpc il giudizio sommario di cognizione, qualora il Giudice ritenga che le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione sommaria, sentite le stesse, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e, all’esito, provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande, disponendo anche in relazione alle spese del procedimento.

Tale ordinanza, provvisoriamente esecutiva, deve essere appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione, ai sensi dell’art. 702 quater Cpc.

Tuttavia, qualora l’ordinanza sia stata pronunciata in udienza e inserita a verbale, il termine per l’appello decorre dalla medesima data d’udienza, atteso che la pronuncia in udienza equivale a <<comunicazione>>, in ossequio con quanto disposto dagli artt. 134 e 176 Cpc.

Tale interpretazione è conforme alla ratio legis del procedimento sommario di cognizione e con la disposizione di cui all’art. 702 quater Cpc, tenuto conto della sua natura acceleratoria.

Questi i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione, II Sezione civile, nella sentenza n. 14478, relatore Dott. R. Sabato, depositata in data 6 giugno 2018.

Il fatto

Nel giudizio d’appello avverso l’ordinanza resa in primo grado in un procedimento sommario di cognizione, la Corte d’Appello di Napoli dichiarava l’inammissibilità dell’interposto gravame.

Riteneva la Corte territoriale che l’appello dovesse considerarsi tardivo, in virtù del fatto che l’ordinanza impugnata era stata pronunciata in udienza e allegata a verbale – data d’udienza dalla quale iniziare a far decorrere il termine di trenta giorni per proporre l’appello -, equivalendo la pronuncia in udienza alla comunicazione, senza che a nulla potesse rilevare l’assenza di notificazione o comunicazione dell’ordinanza, non trovando applicazione nel caso di specie il cd. termine lungo ex art. 327 Cpc.

Propone ricorso per cassazione la parte soccombente e, previa revoca dell’ordinanza interlocutoria con la quale era stata fissata l’udienza in camera di consiglio, la Suprema Corte dispone che la causa venga discussa in pubblica udienza, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico.

Il ricorso per la cassazione della sentenza è affidato a cinque motivi, tra cui, la violazione e falsa applicazione degli artt. 702 ter, 702 quater, 134 e 327 Cpc.

La Corte di Cassazione dopo un breve excursus sul procedimento sommario di cognizione e, in particolare, sulla natura accelerata del procedimento imposta dal legislatore del 2009, si chiede se stante la peculiarità della procedura, residuano margini per l’applicazione degli artt. 325, 326 e 327 Cpc che, come è noto, disciplinano in generale i termini per le impugnazioni.

La stessa evidenzia come <<deve affermarsi l’impossibilità di operare, quanto alla disciplina del solo appello (non rilevando, come detto, nella presente sede, le regole relative alle impugnazioni non aventi carattere di gravame, per le quali – stante la mancanza di una disciplina ad hoc per il rito sommario di cui trattasi – potrebbe pervenirsi a diverse soluzioni), un coordinamento o un’integrazione tra i due gruppi di norme sopra individuati, dovendo affermarsi l’esclusiva applicabilità delle norme contenute nell’art. 702-quater in virtù del principio di specialità.>>.

Ed invero, continua il Giudice di legittimità <<se, dunque, in coerenza con un progetto generale di stimolo – al di fuori del processo di cognizione ordinario di primo grado – alla definizione dei procedimenti in un’ottica di loro ragionevole durata, il legislatore in alcuni casi ha puntato sulla funzione della comunicazione di cancelleria (rispetto alla quale recede in posizione meramente surrogatoria la notifica a istanza di parte) quale fattore di assicurazione della decorrenza sollecita del termine di impugnazione (cfr. ad es. Cass. n. 22674 del 27/09/2017 in tema di comunicazione telematica del testo integrale dell’ordinanza conclusiva resa in formato cartaceo), è ben comprensibile che nell’ambito dell’art. 702-quater nulla si sia previsto in tema di termine c.d. “lungo” di impugnazione, il termine cioè decorrente dalla pubblicazione mediante deposito della sentenza previsto dall’art. 327 del codice di rito. L’omissione, quanto al procedimento sommario di cognizione, è del tutto coerente con la ratio della disciplina, che per quanto detto tende a far scadere in ogni caso il termine per l’appello con il passaggio di trenta giorni dall’emanazione dell’ordinanza, prolungati dai soli tempi tecnici perché essa sia portata a conoscenza delle parti dal cancelliere (o dalla parte notificante, ove più sollecita del cancelliere). In altre parole, l’omissione non è tale, in quanto l’ipotesi di un’applicazione del termine “lungo”, decorrente dal deposito, è del tutto incompatibile con la scelta legislativa acceleratoria che permea l’art. 702-quater>>.

Ciò posto, rimane esclusa la possibilità di applicare al rito sommario di cognizione e, limitatamente all’appello, l’ipotesi prevista dall’art. 327 Cpc (indipendentemente dalla notificazione, l’appello non può proporsi decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza), decorrenza anticipata, stante le finalità acceleratorie del procedimento, alla data di comunicazione o dalla notificazione <<(se anteriore, si può aggiungere, anche se non espressamente detto dalla norma)>>.

Peraltro, <<a tale interpretazione si è attenuta in casi simili la giurisprudenza di questa corte. Al di là delle ipotesi non perfettamente sovrapponibili (di pronuncia di sentenze, e non ordinanze, in udienza ex artt. 281 sexies cod. proc. civ. e 429 cod. proc. civ.) considerate nella sentenza impugnata, devono richiamarsi le pronunce (ad es. v. Cass. n. 25119 del 14/12/2015 e n. 20236 del 09/10/2015) concernenti la fattispecie – come detto disciplinata in maniera sostanzialmente identica – del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado in caso di declaratoria di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., allorché la relativa ordinanza sia stata pronunciata in udienza: il termine è stato identificato in quello “breve”, di cui all’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ., e si è ritenuto che esso decorra dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all’art. 176 cod. proc. civ. Sempre lungo un itinerario ermeneutico parallelo, questa corte (cfr. Cass. n. 2302 del 06/02/2015) ha ritenuto, in tema di regolamento di competenza, che l’art. 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nel modificare l’art. 42 cod. proc. civ., prevedendo la forma decisoria dell’ordinanza, non ha inciso sul relativo regime impugnatorio, disciplinato dall’art. 47 cod. proc. civ. con previsione di un termine decorrente “dalla comunicazione dell’ordinanza” (precedentemente, sentenza). Anche in questo caso, in cui la legge fa decorrere il termine dalla comunicazione, si è statuito che in caso di ordinanza resa a verbale di udienza il termine per la proposizione dell’impugnazione decorre dalla data di questa, trattandosi di provvedimento che, ai sensi dell’art. 176, secondo comma, cod. proc. civ., si reputa conosciuto dalle parti.>>.

Conclusioni della Corte di Cassazione

In conclusione, afferma la Corte di Cassazione, <<in consonanza con la ratio legis connessa alla natura accelerata del procedimento sommario di cognizione e con la disposizione dell’art. 702-quater cod. proc. civ. che, a tal fine, fa decorrere il termine per l’appello dalla “comunicazione”, che anche in riferimento a tale rito – equivalendo ex artt. 134 e 176 cod. proc. civ. la pronuncia in udienza a “comunicazione” – il termine per appellare contro l’ordinanza pronunciata in udienza e inserita a verbale, pur se non comunicata o notificata, decorre dalla data dell’udienza stessa, con esclusione anche da tale punto di vista della possibilità di applicazione dell’art. 327 cod. proc. civ.>>.

Il ricorso, conseguentemente, viene respinto, con l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso.

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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