Omissione consenso informato: danno anche con intervento medico corretto

È risarcibile il danno per omissione del consenso informato anche se l’intervento medico è stato corretto.

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Tribunale di Rimini – sentenza n. 218 del 10-03-2025

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_RIMINI_N._218_2025_-_N._R.G._00001157_2019_DEL_10_03_2025_PUBBLICATA_IL_10_03_2025.pdf 210 KB

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Indice

1. I fatti: l’omissione del consenso informato


I due figli di un paziente deceduto in una struttura sanitaria agivano in giudizio sia in proprio che per conto dei propri figli per ottenere il risarcimento dei danni subiti dai medesimi e dai loro figli, nonché per i danni subiti dal paziente medesimo, a causa delle condotte poste in essere dai sanitari.
In particolare, gli attori sostenevano che il paziente era stato ricoverato presso la struttura sanitaria convenuta per compiere degli accertamenti diagnostici su delle neoformazioni epatiche e spleniche che presentava. Al fine di effettuare detti accertamenti, il paziente veniva sottoposto a plurime biopsie percutanee e l’ultima di queste biopsie ne causava la morte. Infatti, il paziente decedeva a causa di uno shock emorragico successivo alle biopsie.
In secondo luogo, gli attori lamentavano una violazione del consenso informato del paziente, in quanto la struttura sanitaria non lo avevano adeguatamente informato circa i rischi connessi agli interventi cui era stato sottoposto.
Gli attori, quindi, formulavano due distinte domande: da un lato, chiedevano il risarcimento del danno per la perdita della vita (danno terminale) del paziente deceduto e per la lesione del rapporto parentale; dall’altro lato, chiedevano il risarcimento del danno per la lesione della libertà di autodeterminazione del paziente dovuta alla mancata acquisizione del consenso informato.  
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio rigettando ogni responsabilità a suo carico, in quanto sosteneva che il paziente, già affetto da una patologia tumorale maligna con ridotte aspettative di vita (circa 6-8 mesi), era morto a causa di una complicanza non evitabile in concreto. Secondo la convenuta, infatti, la scelta di effettuare le biopsie era appropriata e anche la loro esecuzione era stata corretta.
Il giudice aveva quindi disposto l’acquisizione della relazione di consulenza tecnica svolta in sede di ATP, da cui emergeva che il paziente era affetto da una patologia incurabile che lo avrebbe condotto al decesso dopo qualche mese e che il prematuro decesso era stato effettivamente causato dall’esecuzione della biopsia e dal conseguente sanguinamento dell’incisione. Tuttavia, secondo la predetta relazione, la biopsia era stata correttamente eseguita e che la morte era dovuta alle pregresse condizioni del paziente. In conclusione, i periti in sede di ATP avevano ritenuto che i sanitari si erano trovati di fronte ad una triplice opzione: 1) eseguire la biopsia rischiosa; 2) sottoporre il paziente a cure chemioterapeutiche senza avere la certezza di una diagnosi tumorale; 3) aspettare che il paziente morisse naturalmente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

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2. Le valutazioni del Tribunale


Preliminarmente, il giudice ha ricordato che i congiunti di un paziente deceduto a causa di un evento di malpractice medica possono invocare nei confronti della struttura sanitaria una responsabilità di natura extracontrattuale, mentre non possono invocare l’esistenza di un rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura medesima.
Infatti, al di là del caso del contratto concluso tra la struttura sanitaria e la gestante (che produce effetti anche nei confronti di alcuni terzi), il contratto di spedalità che sorge tra l’ospedale e il paziente non incide sulla posizione dei terzi, ma ha efficacia limitata tra le parti del medesimo. Non c’è quindi un effetto protettivo di detto contratto di spedalità nei confronti di soggetti diversi dalle parti contrattuali.
Ciò significa che i congiunti del paziente non possono invocare una violazione del predetto contratto per far valere la responsabilità della struttura sanitaria. La condotta della struttura sanitaria che ha provocato un danno a detti congiunti potrà invece essere fatta valere da questi ultimi come un illecito aquiliano e quindi azionando la responsabilità extracontrattuale.
Naturalmente, nel caso in cui i congiunti vogliano far valere nei confronti della struttura sanitaria delle pretese risarcitorie che hanno ereditato dal parente deceduto (per esempio il danno catastrofale subito dal paziente deceduto), potranno far valere la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.
In secondo luogo, il giudice ha esaminato i principi correlati alla seconda domanda formulata dagli attori: cioè la violazione del consenso informato del paziente.
In altri termini, il paziente deve ricevere tutte le informazioni necessarie per poter scegliere in maniera consapevole se compiere o meno un accertamento diagnostico rischioso.
Secondo il giudice, il consenso del paziente all’esecuzione dell’intervento sanitario deve essere completo: cioè il paziente deve ricevere tutte le informazioni su tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili. Inoltre, il consenso deve essere esplicito e non meramente presunto o tacito.
Sulla struttura sanitaria graverà l’onere di provare di aver correttamente adempiuto all’obbligo informativo a favore del paziente. 
Il consenso informato del paziente sarà validamente acquisito dalla struttura sanitaria se è completo, specifico e se è idoneo a rendere edotto il paziente delle conseguenze e dei rischi potenzialmente derivabili sulla propria integrità psico-fisica nel caso in cui decida di sottoporsi all’intervento sanitario.
Soltanto in questo modo la scelta del paziente sarà effettivamente libera e potrà dare pienezza alla libertà di autodeterminazione terapeutica.
Infine, il giudice ha ricordato che la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico non è idonea a ritenere assolto l’onere probatorio di cui sopra e quindi non è sufficiente a dimostrare che il consenso è completo ed effettivo.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, per quanto riguarda le prime domande formulate dagli attori, cioè quella volta ad ottenere il danno catastrofale subito dal paziente e quella volta ad ottenere il danno proprio per la perdita del rapporto personale, il Tribunale ha ritenuto che le stesse siano infondate.
Per ottenere il risarcimento dei danni subiti iure proprio dagli attori, avendo fatto valere una responsabilità extracontrattuale, questi ultimi avrebbero dovuto provare la condotta colposa dei sanitari e quindi che vi fosse stato un errore medico che ha determinato l’evento lesivo.
Dalla relazione dei CTU, depositata in sede di ATP, è emerso che la struttura sanitaria ha correttamente adempiuto la propria prestazione, avendo i sanitari scelto la tipologia di accertamento diagnostico consigliata dalle linee guida (cioè la biopsia) ed avendo anche seguito detto esame nel rispetto delle buone pratiche medico-assistenziali.
Pertanto, il giudice ha ritenuto che non solo gli attori non avessero assolto l’onere probatorio sui medesimi gravanti, ma addirittura che in giudizio fosse stata provata la correttezza della condotta della convenuta.
Conseguentemente, il giudice ha rigettato la prima domanda di risarcimento danni formulata dagli attori, ritenendo che la morte del paziente non è causalmente ascrivibile a una condotta colposa nell’esecuzione della prestazione sanitaria.
Per quanto riguarda la seconda domanda formulata dagli attori, cioè quella relativa alla lesione del consenso informato, il giudice ha ritenuto che la stessa sia fondata e l’ha accolta.
Infatti, dall’esame della cartella clinica del paziente è emersa l’assenza di documenti che dimostrino che il paziente sia stato coinvolto nella decisione di procedere alla biopsia che poi ha determinato la sua morte.
Siccome la biopsia comportava un rischio elevato di emorragia a danno del paziente, la scelta di eseguire detto intervento avrebbe dovuto essere preceduta da una informazione completa e comprensibile al paziente stesso, il quale solo così avrebbe potuto esprimere il proprio consenso in maniera effettiva libera.
Nel caso di specie, invece, il consenso del paziente non è stato neanche acquisito e le informazioni completamente omesse.
Per quanto riguarda la quantificazione del danno per la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, il giudice ha ritenuto che, in via presuntiva, è possibile ritenere che la violazione del consenso informato abbia determinato delle conseguenze pregiudizievoli di natura non patrimoniale al paziente (per non essersi potuto preparare alle conseguenze della sua libera scelta, salutando i suoi cari ed eventualmente spiegando loro le intime ragioni dell’estrema decisione), che il giudice ha quantificato in via puramente equitativa in €.20.000.

Avv. Muia’ Pier Paolo

Co-founder dello Studio Legale “MMP Legal”, svolge la professione di avvocato in Firenze, Prato e Pistoia, occupandosi in via principale con il suo staff di responsabilità professionale e civile; internet law, privacy e proprietà
intellettuale nonchè diritto tributario. …Continua a leggere

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