Omessa valutazione di una memoria difensiva: cosa comporta?

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    Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto 

In parziale riforma di una sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal G.u.p. del Tribunale di S.M.C.V., la Corte di Appello di Napoli dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di sequestro di persona perché estinto per prescrizione e per l’effetto, esclusa la recidiva e con la riduzione per il rito, ha rideterminato la pena per il reato di rapina in anni 4 e mesi 8 di reclusione e 934 euro di multa oltre pena accessoria, confermando nel resto la sentenza appellata.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato il quale deduceva, con unico motivo, la nullità della sentenza per violazione di legge e vizi della motivazione, in particolare, per omessa valutazione della memoria difensiva, della quale neppure era dato atto in sentenza.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto inammissibile in quanto, ad avviso del Supremo Consesso, esso era stato proposto per motivi solo formalmente deducibili, ma in realtà, generici e reiterativi perché diretti a riproporre la tesi alternativa, già vagliata e disattesa in sentenza con motivazione puntuale, non manifestamente illogica né carente, nonostante il mancato riferimento espresso alla memoria depositata.

In particolare, gli Ermellini ritenevano che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, potendo solo influire sulla congruità e correttezza della motivazione della sentenza, e, pertanto, va escluso che il semplice deposito di una memoria difensiva nel corso del procedimento, il cui contenuto non sia oggetto di specifica confutazione da parte del giudice, determini una nullità, in quanto sanzione non prevista dall’art. 121 cod. proc. pen. e, dunque, l’omesso esame della stessa può integrare il vizio di motivazione nella misura in cui sia dimostrato che argomenti difensivi rilevanti e decisivi non siano stati valutati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018).

Da ciò se ne faceva discendere che non è sufficiente il mancato riferimento formale ed espresso alla memoria depositata occorrendo verificare se i dati esposti ed i temi proposti, ritenuti decisivi nella prospettazione difensiva, siano stati pretermessi.

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di piazza Cavour reputavano che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, non risultava come gli elementi indicati nella memoria e riproposti nel ricorso non fossero stati considerati, avuto riguardo ai frequenti e specifici riferimenti contenuti in sentenza alla tesi ed agli elementi prospettati in chiave difensiva, al chiaro riferimento al contenuto decisivo del colloquio tra i correi, riportato in sentenza e interpretato in modo lineare, ma difforme da quello attribuitogli dal ricorrente, nonché alle ragioni della ritenuta inverosimiglianza della prospettazione difensiva, specificamente confutata.

Le censure difensive si risolvevano, pertanto, ad avviso del Supremo Consesso, nel contestare la mancata condivisione della chiave di lettura proposta, fondata su una ricostruzione di parte, del tutto inconciliabile con quella contenuta in sentenza, ampiamente e logicamente argomentata, peraltro, conforme a quella del primo giudice, ribaltata dal precedente giudice di appello con motivazione censurata dalla Cassazione perché ritenuta inidonea a disarticolare le argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità del ricorrente per i reati di rapina aggravata e sequestro di persona.

Da ciò se ne faceva derivare la (stimata) assoluta infondatezza della prospettazione difensiva respinta con (considerata) ampia, puntuale e logica motivazione affatto (ritenuta) contrastata dal ricorso.

4. Conclusioni

Nella decisione in esame si afferma che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, potendo solo influire sulla congruità e correttezza della motivazione della sentenza, dovendosi escludere al contempo che il semplice deposito di una memoria difensiva nel corso del procedimento, il cui contenuto non sia oggetto di specifica confutazione da parte del giudice, determini una nullità, in quanto sanzione non prevista dall’art. 121 cod. proc. pen. e, dunque, l’omesso esame della stessa può integrare il vizio di motivazione nella misura in cui sia dimostrato che argomenti difensivi rilevanti e decisivi non siano stati valutati dal giudice di merito.

Orbene, senza entrare nel merito della questione, si deve prima di tutto fare presente che tale sentenza ignora del tutto quel diverso orientamento nomofilattico secondo il quale, invece, l’“omessa valutazione di una memoria difensiva determina la nullità di ordine generale prevista dall’art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., in quanto impedisce all’imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice in ordine al fatto-reato, comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell’imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, in relazione al necessario vaglio delibativo delle questioni devolute con l’atto di impugnazione” (Cass. pen., sez. VI, 3/10/2013, n. 13085).

In particolare, secondo questo diverso approdo ermeneutico, dal momento che “la facoltà delle parti di presentare memorie ed istanze costituisce uno dei principali strumenti di attuazione del principio del contraddittorio sin dal momento delle indagini preliminari, prima ancora che sia instaurato il processo (Rel. prel., 177 ss.)” (Cass. pen., sez. I, 7/10/2010, n. 37531) e l’“incidenza dell’art. 121 c.p.p. sulla conformazione dialettica del processo postula, da un canto, l’operatività dell’obbligo del giudice di pronunciare sulle memorie e sulle richieste delle parti con carattere di decisi vita e, dall’altro, la sanzione della nullità in caso di omessa pronuncia, di cui è possibile scorgere un riflesso nella disciplina dell’art. 546, comma 1, lett. e) in relazione ai requisiti della sentenza e dell’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c bis per le misure cautelari personali” (ibidem), da ciò se ne fa conseguire “che l’omessa valutazione e il rigetto immotivato di una memoria difensiva presentata ai sensi dell’art. 121 c.p.p. determinano la nullità di ordine generale prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto impediscono all’imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal giudice, comportando la lesione dei diritti di intervento o assistenza difensiva dell’imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie (Cass., sez. 1, 7 luglio 2009, n. 31245, rv. 244321; Cass., sez. 1, 14 ottobre 2005, n. 45104, rv. 232702; Cass., sez. 1, 6 maggio 2005, n. 23789, rv. 232518)” (ibidem), fermo restando che l’omessa valutazione di memorie difensive può essere fatta valere “in sede di gravame quale causa di nullità dell’ordinanza impugnata, la cui motivazione può risultare indirettamente viziata per la mancata considerazione di quanto illustrato con memoria, in relazione alle questioni devolute con l’impugnazione (Cass., 15 febbraio 1996, n. 210, rv. 204478)” (ibidem).

Ebbene, per scrive, è sicuramente preferibile questo secondo indirizzo nomofilattico che sembra rispondere ad una più attenta lettura del nostro ordinamento processualpenalistico, in riferimento alla materia delle nullità processuali.

Se, infatti, nel primo orientamento ermeneutico, in riferimento a quanto postulato nella sentenza ivi richiamata, vale a dire Cass. pen., sez. II, 16/03/2018, n. 14795, si sostiene che l’altro indirizzo interpretativo, ossia quello appena citato, non può essere condiviso in considerazione del principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.), tale filone interpretativo, addivenendo a tale conclusione, non sembra però considerare che, come è noto, l’art. 178, co. 1, lett. c), cod. proc. pen. dispone che è “sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti: (…) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante”.

Orbene, ad avviso di chi scrive, è chiaro che la nullità non viene in questo caso applicata fuori dai casi previsti dal codice di procedura penale dato che la norma appena citata fa discendere tale invalidità giuridica ogni volta siano violate le disposizioni concernenti (in questo caso) l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e segnatamente, come evidenziato nell’altro orientamento ermeneutico, nel diritto di intervento o assistenza difensiva dell’imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie il che, comporterebbe comunque, stante il combinato disposto artt. 125, co. 3, cod. proc. pen. e 546, co. 1, lett. e), cod. proc. pen., la nullità della sentenza sempre per la lesione del medesimo diritto.

La circostanza che l’art. 121 cod. proc. pen. non prevede alcuna sanzione, come fatto presente nella pronuncia qui in commento, ad avviso di chi scrive, si appalesa quindi priva di qualsivoglia rilevanza nel caso di specie.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, dunque, per le ragioni appena esposte, non è positivo, fermo restando che sarebbe auspicabile che su tale questione intervenissero le Sezioni Unite.

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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