Nuove prospettive in materia di responsabilità medico-chirurgica

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Medicina difensiva e tutela della parte lesa

 Il settore della responsabilità del medico e i connessi problemi derivanti dal noto fenomeno della medicina difensiva sono oggi al centro di un ampio dibattito che coinvolge tutti i formanti del diritto, quali il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza.

Il fenomeno della medicina difensiva e i connessi rischi sul piano economico sembrano aver inciso profondamente sulle scelte del legislatore e sull’evoluzione della giurisprudenza in materia.

Con il termine medicina difensiva si fa riferimento a quel noto fenomeno per cui il singolo medico dirige il proprio operato, guardando al processo e non esclusivamente alla persona del paziente, prescrivendo esami  e accertamenti necessari a provare la sua assenza di colpa più che funzionali ad effettuare una corretta diagnosi.

Negli anni si è assistito ad un aggravamento della posizione processuale del medico, in particolare, con l’elaborazione e l’accoglimento della teoria del contatto sociale con cui si qualificava la responsabilità del medico nella struttura sanitaria in contrattuale. Da un’analisi superficiale del fenomeno, la spinta verso maggiori accorgimenti e accertamenti da parte del medico sembrerebbero migliorare l’efficienza del sistema tutelando maggiormente il singolo. Simili considerazioni non tengono conto, però, del vincolo di spesa e delle risorse limitate che ha lo Stato. La prescrizione di esami, non sempre necessari, infatti, incide sulla spesa pubblica, aumentandone le voci di costo, e rischiando di compromettere lo stesso sistema sanitario nazionale, il quale potrebbe non riuscire a sostenere un simile carico. A fronte di tale situazione il legislatore sarebbe costretto a metter mano sul sistema sanitario, aumentandone i costi a carico del privato o riducendo sovvenzioni e agevolazioni per esempio.

Il fenomeno reca con sé un rischio ulteriore, influenzando l’operato stesso del medico e limitandone l’azione a spese della guarigione del paziente.

La legge Gelli-Bianco (l. 8 marzo 2017 n.24) è intervenuta sulla materia al fine, proprio, di limitare simile fenomeno e tutelare la sostenibilità del sistema sanitario. Il legislatore ha così qualificato la responsabilità del medico nella struttura sanitaria quale extracontrattuale, ponendo apparentemente fine al lungo dibattito sorto rispetto alla corretta qualificazione della stessa.

Al fine di verificare lo stato dell’arte appare opportuno descrivere l’evoluzione del dibattito in tale materia.

Dall’obbligazione di mezzi al contatto sociale

L’analisi normativa e del diritto vivente sorto in materia mostrano una continua evoluzione del sistema; si è infatti passati da un approccio di favor verso il medico ad uno di maggiore tutela del paziente per poi mutare ancora una volta prospettiva con la Legge Gelli-Bianco. L’evoluzione del diritto, del resto, rispecchia la società e le esigenze del proprio tempo, modellandosi a sua volta in modo spesso irrazionale.

Storicamente la giurisprudenza qualificava l’obbligazione del medico in obbligazione di mezzi, rifacendosi alla distinzione tra obbligazione di mezzi e risultato, frutto dell’elaborazione della giurisprudenza francese, con ricadute sul piano della responsabilità del medico. Nello specifico si riteneva che la prestazione del medico non avesse ad oggetto un risultato, quale la guarigione, ma la mera predisposizione di mezzi a ciò adeguati, il che si identificava nell’essere diligenti. Il medico, pertanto, poteva esimersi da responsabilità provando di aver agito con diligenza professione, ai sensi dell’art. 1176 c.c., che da criterio di imputazione soggettiva diveniva oggetto della prestazione. In tal modo il rischio della causa ignota, incombente sul debitore ai sensi dell’art.1218 c.c., veniva trasferito dal medico al paziente. La distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato veniva, allora, utilizzata al fine di rendere meno gravoso l’onere probatorio del medico debitore che doveva, così, limitarsi a provare la propria diligenza.

La distinzione anzidetta è stata ad oggi ridimensionata. Dottrina e giurisprudenza hanno infatti evidenziato come in ogni obbligazione vi sia un risultato, anche in quelle aventi ad oggetto una prestazione intellettuale, e che pertanto il regime di responsabilità ex art.1218 c.c. debba essere unitario. Può al più ravvisarsi l’esistenza di risultati intermedi, come nelle obbligazioni del medico in cui lo stesso non si obbliga alla guarigione ma a porre in essere determinate pratiche che tendono alla guarigione ma che non si riducono all’agire con perizia, diligenza e prudenza. La distinzione anzidetta snaturava la funzione dell’art.1176 c.c. che delinea un criterio di imputazione soggettiva della responsabilità e non l’oggetto dell’obbligazione. Con la sentenza delle Sezioni Unite 577 del 2008[1] è stato sancito tale principio in un’ottica di maggiore tutela per il paziente.

La spinta, anche di matrice sovranazionale, verso una tutela piena del soggetto c.d. debole ha portato la giurisprudenza ad abbandonare l’anzidetta distinzione e ad elaborare successivamente la teoria della responsabilità da contatto sociale. L’esigenza sentita e avanzata, anche dalla società civile, era quella di semplificare l’azione in giudizio per il paziente e il proprio onere probatorio.

Deve rilevarsi tuttavia come il paziente poteva pacificamente agire in via contrattuale rispetto all’azienda ospedaliera, a fronte contratto esistente tra lo stesso e l’ente. Controversa, invece, appariva proprio la natura della responsabilità del singolo medico operante all’interno dell’ospedale il quale non è legato direttamente ex contractu con il paziente. Si ravvisava dunque una responsabilità extracontrattuale in capo al medico a fronte di cui spettava al paziente danneggiato provare il danno ingiusto, il nesso causale tra la condotta ed il danno, nonché la colpa del medico.

Parte della giurisprudenza ha accolto così la categoria tedesca del contatto sociale elaborando un sistema di tutela a favore del paziente danneggiato. L’accertamento di un contatto sociale qualificato esistente tra paziente e medico aveva l’effetto di trasformare la responsabilità aquiliana del medico in contrattuale, con ricadute in punto di prescrizione (decennale) e onere probatorio. L’istituto, nato in Germania per colmare il vuoto di tutela derivante dal sistema tipico della responsabilità aquiliana, è stato utilizzato per anni nel nostro ordinamento per trasferire ipotesi di responsabilità ex art.2043 c.c. sotto il regime dell’art.1218 c.c.

Elementi costitutivi del contatto sociale venivano rintracciati nel rapporto medico-paziente antecedente rispetto al danno, nella qualifica di rilievo pubblicistico del medico, che definiva il contatto come qualificato nonché nella nascita di un legittimo affidamento del soggetto debole di fronte al medico. Simile contatto veniva ascritto a fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art.1173 c.c. con le indicate ricadute sul piano risarcitorio.

Si faceva riferimento ad un’obbligazione senza prestazione sorta dal contatto sociale ed avente ad oggetto un vero e proprio obbligo di protezione (fattispecie utilizzata anche al di fuori del settore sanitario per qualificare la responsabilità dell’insegnate per gli atti di autolesionismo dell’alunno).

La teoria del contatto sociale qualificato ha portato, tuttavia, ad un aumento dei giudizi risarcitori contro l’operatore medico-sanitario, contribuendo al noto fenomeno della medicina difensiva. Il paziente, infatti, esonerato dal dover provare la colpa del medico, doveva limitarsi a provare l’esistenza di un danno subito a seguito di un intervento  o trattamento. Al  medico, al contrario, spettava la prova di aver adempiuto all’obbligo di protezione o di non aver potuto adempiere per causa a lui non imputabile, gravando sullo stesso il rischio della causa ignota. La materia è stata oggetto per anni di ampio dibattito tra i sostenitori della teoria del contatto sociale e coloro che inquadravano in modo differente simile responsabilità.

La legge Gelli-Bianco è intervenuta espressamente a dirimere la controversia sancendo la natura extracontrattuale della responsabilità del medico. La riforma è figlia del suo tempo e mira proprio a contenere le ipotesi di contenzioso e arginare il fenomeno della medicina difensiva.

Deve allora porsi la questione di quali saranno gli effetti di questo intervento del legislatore che, in un’ottica di tutela dello Stato sociale, ha modificato la rotta tracciata per anni dalla giurisprudenza.

Recentemente la terza Sezione della Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla materia analizzandola sotto vari profili.

La ripartizione dell’onere probatorio

Appare interessante descrivere lo stato dell’arte relativo in particolare alla ripartizione dell’onere probatorio in materia di responsabilità medica a seguito, anche, di recenti interventi della Cassazione sul punto.

Deve distinguersi la responsabilità del medico operante nella struttura sanitaria da quella dell’ospedale.

Superata con la legge Gelli-Bianco la teoria del contatto sociale la responsabilità dell’operatore medico ha natura extracontrattuale. Ai sensi dell’art. 2043 c.c. spetterà al pazienta provare il danno subito, il nesso causale tra danno e condotta del medico e la colpa.

La prova del nesso di causalità deve effettuarsi alla stregua della c.d. doppia causalità accertando, dapprima, il danno evento (causalità materiale) e poi quello conseguenza (causalità giuridica). Secondo l’orientamento oggi unanime di dottrina e giurisprudenza l’accertamento della causalità materiale deve essere condotto secondo un procedimento di eliminazione mentale che, eliminando la condotta del medico, provi che il danno non si sarebbe verificato secondo il criterio del più probabile che non. Si fa riferimento ad un accertamento probabilistico che superi la soglia del 50% non richiedendosi una valutazione puntuale quale quella tipica del giudizio penale dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Simile tipo di accertamento è giustificato dalla stessa natura riparatoria del risarcimento. La verifica del nesso è allora funzionale a identificare il soggetto su cui deve gravare il danno verificatosi, potendosi accogliere l’utilizzo di criteri probabilistici e di presunzioni. In sede processuale è, pertanto, fondamentale il ruolo del consulente.

Accertato tale profilo deve valutarsi l’esistenza del danno conseguenza, ad essere risarcito infatti non è la mera lesione di un interesse protetto ma la conseguenza dell’evento lesivo sul piano patrimoniale e non. Ai sensi dell’art.1227 c.c. oggetto del risarcimento sono le conseguenze dirette e immediate. La declaratoria della risarcibilità della sola conseguenza, coerente con la funzione della responsabilità civile, è frutto di una lunga elaborazione in materia.

La principale distinzione tra responsabilità aquiliana e contrattuale è tuttavia la valutazione della colpa del medico, elemento che rispetto all’azione verso il professionista deve essere provata dal danneggiato. È questo l’elemento tipico dell’art.2043 c.c.

La Cassazione si è recentemente pronunciata rispetto alla responsabilità dell’ospedale e al diverso accertamento sotto il profilo del onere probatorio del paziente, sottolineando aspetti spesso trascurati.

Deve rilevarsi, infatti, come spesso si affermava che ai fini della responsabilità dell’ente bastasse l’allegazione del contratto in virtù del diverso onere probatorio dell’art.1218 c.c., senza far espresso riferimento al danno. Aumentava in tal modo il discrimine tra l’onere probatorio ex art.2043 cc, sopra sommariamente delineato, e quello ex art. 1218 c.c. In particolare la giurisprudenza più risalente richiedeva al creditore/paziente soltanto l’allegazione del danno (anche, ad esempio, adducendo l’aggravamento del proprio stato di salute o l’insorgenza di nuove patologie), e non già la prova dello stesso, dovendo il debitore/medico farsi carico di provare l’interruzione del nesso di causalità tra la sua condotta e l’evento infausto patito dal paziente.

La Terza Sezione della Cassazione pronunciatasi sul punto ha, al contrario, evidenziato che la prova del danno subito a seguito dell’inadempimento è onere dell’attore danneggiato.

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalita` tra l’evento di danno, che può consistere nell’aggravamento della patologia preesistente ovvero nell’insorgenza di una nuova patologia, e l’azione o l’omissione dei sanitari[2].

La disciplina dell’art. 1218 c.c. solleverebbe il paziente dall’onere di provare la colpa del debitore inadempiente ma non da quello di provare il nesso di causalità tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento.

Rispetto anche alla causa ignota occorre allora fare alcune precisazioni. Il regime della responsabilità contrattuale pone in capo al danneggiante tale rischio rispetto alla colpa, in quanto lo stesso deve provare che l’evento che ha prodotto quella conseguenza (oggetto di prova del dannaggiato) non sia imputabile alla sua condotta. Se, pertanto, risulta incerta la prova su tale elemento la struttura ospedaliera è responsabile.

Secondo l’orientamento più recente della Cassazione[3] in capo al paziente, tuttavia, permane il rischio rispetto alla prova del nesso causale tra condotta e danno. Nel caso in cui vi sia un’incertezza, inferiore al 50%, rispetto ad esso la domanda del paziente deve essere rigettata. In particolare la Terza Sezione afferma che l’inversione dell’onere probatorio sul punto non avrebbe ragione d’essere non potendosi predicare il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore.

In conclusione può dirsi, pertanto, che ai fini di qualsiasi tipo di risarcimento l’onere probatorio sull’esistenza del danno e sul suo legame con la condotta del danneggiante grava sul danneggiato-creditore, che non può ridursi alla mera allegazione dovendo provare il danno anche tramite presunzioni.

La Cassazione sul punto ha affermato che il tratto distintivo allora della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, del rapporto obbligatorio a cui è legato il risarcimento per inadempimento. Il danno non richiede la qualifica dell’ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perché la rilevanza dell’interesse leso dall’inadempimento è affidata alla corrispondenza dello stesso con la prestazione dedotta in obbligazione.

Elemento di discrimine appare allora principalmente la colpa, oggetto di specifica prova rispetto al singolo medico ai sensi dell’art.2043 c.c., nonché il diverso termine di prescrizione quinquennale. È questa l’orientamento della giurisprudenza più recente, la quale sembra condividere le finalità della Legge Gelli-Bianco e assumere un atteggiamento di favor verso il medico.

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Note

[1]Cass. Civ. Sez. Un. n. 577/2008 “Il paziente che si pretenda danneggiato dall’inadempimento della prestazione di cura ha l’onere di provare il fatto costitutivo del rapporto obbligatorio (legge o contratto) e di allegare un inadempimento efficiente alla causazione del danno. Anche al fine della distribuzione dell’onere della prova non può essere riconosciuto alcun rilievo alla considerazione dell’obbligazione sanitaria come un’obbligazione di mezzi. Il paziente danneggiato che chiede il risarcimento deve limitarsi a provare il contratto con la struttura sanitaria (o il “contatto sociale” con il medico), l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione; all’ammalato-creditore basterà allegare un inadempimento del debitore che sia “qualificato”, cioè astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato: starà poi al debitore dimostrare che l’inadempimento non c’è stato o che, pur esistendo, esso non è stato rilevante sotto il profilo eziologico”.

[2]Sul punto si veda anche Cass., 15 febbraio 2018, n. 3704 secondo cui nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del ‘più probabile che non’, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata.

[3] Cass. Civ. n. 26824/2017 secondo cui l’onere della prova del nesso causale tra i trattamenti sanitari e il danno per cui si chiede il ristoro incombe sul paziente danneggiato, già creditore della prestazione sanitaria, invece che gravare sulla struttura (o sul medico in essa operante) il peso di dimostrarne l’insussistenza; Cass. 18392/2017; Cass. 19204/2018 ;Cass., 15 febbraio 2018, n. 3704. In senso contrario parte della giurisprudenza avallante le storiche S.U. n. 13533/2001 e 577/2008.

Dott.ssa Sonia Sasso

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