Nuova riforma strutturale del processo civile all’insegna della semplificazione ed efficientamento  delle procedure, riduzione dei riti e dei tempi

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Proprio qualche giorno fa, precisamente il 5 dicembre 2019, durante la riunione del Consiglio dei Ministri n. 15[1], è stato esaminato e licenziato il disegno di legge delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, proposto dal competente Dicastero della Giustizia, il cui Ministro è l’Avv. Alfonso Bonafede.

I principi sui quali si basa questo nuovo intervento novellatore sono stati illustrati ufficialmente nel corso della conferenza stampa del Presidente del Consiglio, Prof. Avv. Giuseppe Conte, e del predetto Ministro della Giustizia, al termine del Consiglio dei Ministri, con proiezione e discussione di slide illustrative[2].

Il disegno di legge, recante delega al Governo per l’adozione di decreti legislativi di riforma del processo civile, contiene disposizioni volte ad incidere significativamente oltre che in uno dei settori pregnanti del sistema giuridico e giudiziario, il processo civile, anche sugli istituti di risoluzione alternativa delle controversie, mediazione e negoziazione assistita. Ciò con l’obiettivo primario di rendere i riti più efficienti[3] e, in una prospettiva di miglioramento del servizio giustizia, di realizzare una necessaria accelerazione e semplificazione dei procedimenti, una razionalizzazione delle materie ed un efficientamento dei servizi, optando per un intervento sistematico sul corpo normativo delle disposizioni che regolano attualmente lo svolgimento dei processi in materia civile improntato, appunto, a criteri di maggiore celerità ed snellezza. Si vuole così assicurare innanzitutto la ragionevole durata del processo e garantire una giustizia più compatta, senza tuttavia indebolire le garanzie attribuite alle parti e, quindi, nel rispetto del principio del giusto processo[4].

Si punta a concretizzare questi principi direttivi, sia prodromicamente che nell’ambito proprio del processo civile, tanto in primo che in secondo grado, del procedimento attraverso:

  • un’analitica estensione o esclusione delle materie interessate dall’esperimento obbligatorio degli istituti della mediazione o della negoziazione assistita;
  • la riduzione dei riti speciali e l’abrogazione del procedimento sommario di cognizione, oggi previsto dall’articolo 702-bis e ss. del c.p.c. , introducendo, nell’ambito del libro secondo del codice di procedura civile, un “rito ordinario davanti al tribunale in composizione monocratica”, rito semplificato mutuato sullo schema procedimentale del rito sommario di cognizione in parte integrato sul modello del rito lavori stico, prevedendo che tale rito sia esclusivo ed obbligatorio in tutti i casi in cui il giudice decide in composizione monocratica fatta eccezione per le cause avanti al giudice del lavoro;
  • l’incentivazione dello strumento della negoziazione assistita da realizzarsi attraverso la possibilità di utilizzo di un unico modello di convenzione elaborato dal Consiglio Nazionale Forense: a tale scopo si prevede che gli avvocati possano svolgere attività istruttoria preventiva, diretta ad anticipare l’acquisizione del materiale probatorio da utilizzarsi nel corso della stessa procedura di negoziazione nel rispetto del contraddittorio delle parti e dei loro legali.
  • l’abolizione dell’atto di citazione, con contestuale utilizzo esclusivo del ricorso;
  • l’introduzione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte e del giudice;
  • l’implementazione e il potenziamento del processo civile telematico.

 

Si stima che nel breve e nel medio termine le modifiche che interverranno, rafforzeranno la fiducia dei cittadini nelle istituzioni[5] e contribuiranno a rendere più competitivo il sistema Paese[6]. Un sistema giudiziario efficiente è infatti presupposto essenziale per l’effettivo godimento dei diritti sociali ed economici, per promuovere gli investimenti e incoraggiare le imprese[7].

Tra gli obiettivi specifici dell’intervento c’è anche quello di valorizzare le professionalità e le competenze del mondo dell’avvocatura, quale attore primario chiamato alla responsabilità di un fattivo concorso alla deflazione preventiva del contenzioso civile. In particolare, in funzione deflattiva del processo si prevede che nell’ambito della negoziazione assistita possa aver luogo un’attività di istruzione stragiudiziale da svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio e con la necessaria partecipazione di tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte, al fine di agevolare l’accertamento dei fatti prima dell’inizio del processo e incoraggiare soluzioni transattive.

Valorizzando gli istituti della mediazione e della negoziazione assistita nei settori in cui si sono dimostrati più efficaci e rendendoli facoltativi negli altri casi l’intervento in esame reca altresì il vantaggio di far crescere la cultura della conciliazione stimolando le parti e gli addetti ai lavori a pervenire ad una amichevole composizione delle controversie. Il meccanismo della mediazione e quello della negoziazione assistita riflettono un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela delle parti e quella di interesse generale di contenimento del contenzioso in funzione degli obiettivi del giusto processo e della ragionevole durata delle liti oggettivamente pregiudicata dal volume eccessivo delle stesse.

Si evita inoltre che la conflittualità si prolunghi nel tempo anche oltre la definizione della singola controversia. Ciò consentirà nel medio-lungo termine una riduzione del carico di lavoro gravante sugli uffici giudiziari con ricadute positive dal punto di vista economico-competitivo del nostro Paese[8].

Lo schema di decreto si compone di 15 articoli (che ha subito lievi modiche rispetto alla precedente versione approvata nel Consiglio dei ministri n. 67 del 31 luglio 2019 del precedente Governo Conte, approvato salvo intese, consultabile al seguente link: https://www.nomoscsp.com/cdm/comunicato-cdm-n-67-del-31-luglio-2019.html) e nella prospettiva appena illustrata, sia pur in somma sintesi, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto il riassetto formale e sostanziale del codice civile, di procedura civile e della correlata legislazione speciale in funzione dei predetti obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione, incidendo sulle leggi e i regolamenti vigenti.

Più nello specifico, le novità rilevanti che saranno introdotte in materia di:

Strumenti di risoluzione alternativa delle controversie

Nella delega sono fissati i criteri diretti a rivedere la disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie da un lato escludendo sia il ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla mediazione in materia di responsabilità sanitaria, contratti finanziari, bancari e assicurativi, fermo restando il ricorso alle procedure di risoluzione alternativa delle controversie previsto da leggi speciali, sia il ricorso obbligatorio alla negoziazione assistita nel settore della circolazione stradale ; dall’altro, estendendo la mediazione obbligatoria alle controversie derivanti da contratti di mandato e da rapporti di mediazione e la possibilità di ricorrere, anche in alcune delle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, alla negoziazione assistita unicamente da più avvocati, senza tuttavia che la stessa costituisca condizione di procedibilità dell’azione e dunque fermo il disposto dell’art. 2213 c.c[9].

Sempre restando nell’ambito della procedura di negoziazione assistita, si prevede la possibilità di svolgere, nel rispetto del principio del contraddittorio, con la previsione di specifiche garanzie per ciò che concerne le modalità della verbalizzazione e con la necessaria partecipazione di tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte, attività istruttoria, denominata attività di istruzione stragiudiziale, consistente nell’acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto, ai fini di cui all’articolo 2735 del codice civile, la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente[10].

Processo di cognizione

In riferimento alla disciplina del processo di cognizione di primo grado dinanzi al tribunale in composizione monocratica. L’obiettivo dell’intervento è realizzare una maggiore semplicità del procedimento, al tempo stesso adottando alcune misure acceleratorie, dirette ad assicurare la ragionevole durata del processo. In questa prospettiva, la legge delega impone, come già anticipato, la sostituzione del procedimento ordinario di cognizione con un rito semplificato, modellato sullo schema procedimentale del rito sommario di cognizione, con alcune integrazioni ispirate all’ormai rodato rito del lavoro e la modifica di alcune disposizioni del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, coerentemente con l’abrogazione del rito sommario di cognizione, come disciplinato dagli articolo 702-bis e ss. c.p.c.

Rispetto al procedimento sommario disciplinato dagli artt. 702-bis e seg. del codice di procedura civile, che, come detto, è destinato ad essere abrogato, vi sono, in particolare, due significative novità: per un verso, si prevede l’eliminazione della possibilità di conversione, coerentemente con l’obiettivo perseguito di riduzione dei riti; per altro verso si prevede l’introduzione di un sistema di preclusioni destinate a consentire la fissazione del thema decidendum ancor prima dell’udienza di prima comparizione delle parti in funzione di un processo improntato a  celerità ed efficienza.

Più specificamente, la legge delega dispone che:

  • l’atto introduttivo sia sempre il ricorso;
  • che siano ridotti i termini a comparire, che nella loro estensione massima non potranno essere superiori ai centoventi giorni, contro i centocinquanta previsti attualmente dall’art. 163-bis del codice di procedura civile e sia invece portato a quaranta giorni prima dell’udienza il termine per la costituzione tempestiva del convenuto, allo scopo di consentire un termine congruo all’attore per la sua replica;
  • che al ricorrente sia concesso proporre le domande, le istanze di chiamata in causa e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni delle altre parti e replicare alle loro difese entro un termine perentorio non superiore a venti giorni prima dell’udienza;
  • che, a pena di decadenza, entro un termine perentorio non superiore a dieci giorni antecedenti all’udienza di prima comparizione sia consentita al convenuto e ai terzi chiamati in causa la precisazione o la modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni solo in quanto necessarie in relazione alle domande ed alle eccezioni proposte dalle altre parti;
  • che il giudice, assegnando termine alle parti per la definitiva formulazione delle loro istanze istruttorie, provveda già a fissare – entro un termine ragionevolmente contenuto (comunque non superiore a sessanta giorni dalla scadenza del secondo dei due termini istruttori) – l’udienza successiva, che dovrà tendenzialmente servire per l’assunzione delle prove ammesse e che potrà essere rinviata nel caso in cui il giudice, ritenuti superflui i mezzi di prova dedotti dalle parti, ritenga di fissare udienza per la discussione orale e decisione della causa, senza che sia necessario, in questo caso, assegnare termini predeterminati per il deposito di memorie conclusive, giacché non vi sono state attività idonee ad introdurre nel processo elementi di novità ed essendo invece rimessa al giudice l’individuazione delle misure necessarie per assicurare il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio;
  • che sia rivisto il meccanismo decisorio ordinario con la previsione della discussione orale preceduta solo dalla precisazione delle conclusioni, salvo che il giudice, per la complessità della controversia o perché le parti ne abbiano fatto istanza, non rinvii la discussione ad altra udienza, in tal caso provvedendo contestualmente ad autorizzare il deposito di note difensive.

Riguardo alla disciplina del processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale: coerentemente con l’obiettivo di semplificazione perseguito, si prevede la riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e che anche nel procedimento collegiale l’atto introduttivo sia il ricorso.

Inoltre, allo scopo di consentire al giudice di modulare le cadenze procedimentali in rapporto alla differente complessità, caso per caso, della controversia, si prevede che in via alternativa rispetto alla disciplina della fase decisoria prevista dagli articoli da 187 a 190 del codice di procedura civile, la causa possa essere definita anche secondo modalità analoghe a quelle previste per il procedimento dinanzi al giudice monocratico[11].

Non è stata espressamente prevista, rispetto alla fase decisoria di primo grado, la possibilità di un’istanza di parte per la fissazione di altra udienza per la discussione, considerato che il rinvio della causa per la decisione è comunque ineludibile, dovendo la discussione svolgersi davanti al collegio.

Si interverrà anche sul processo davanti al giudice di pace, disciplinandolo sul modello del procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica, eliminando, in tale prospettiva, la previsione dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione che oggi si ritiene rappresenti un appesantimento del processo, soprattutto quando il giudizio è stato preceduto da mediazione o negoziazione assistita.

Processo di appello

In relazione al giudizio di appello, tenuto conto anche dei recenti interventi normativi che hanno già accentuato gli oneri dell’appellante quanto alla specifica indicazione dei motivi di appello (art. 342 c.p.c., modificato dal decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134), il disegno di legge delega prevede:

  • sull’atto introduttivo del giudizio, che deve essere uniformato alla forma semplificata del ricorso prescritta per il primo grado di giudizio, con l’espressa indicazione di un termine, in funzione acceleratoria, non superiore a novanta giorni per la fissazione della prima udienza;
  • sulle modalità di esercizio dei diritti di difesa dell’appellato, con la fissazione di un termine perentorio, venti giorni prima della data di udienza, per l’esercizio di tutti i poteri e le facoltà processuali dell’appellato, ivi compresa la deduzione delle d. questioni assorbite, sulle quali cioè il giudice di primo grado non abbia provveduto né in maniera esplicita né implicita (e in relazione alle quali permane una problematica interpretativa nella giurisprudenza quanto alla rilevabilità oltre la prima udienza di trattazione)[12].
  • sulla forma di taluni provvedimenti di natura procedurale ma a contenuto definitorio del giudizio, che è indicata nella forma semplificata dell’ordinanza, in quanto il relativo contenuto è vincolato (e limitato) alla verifica dei relativi presupposti di legge;
  • sugli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., e, di conseguenza, sull’art. 436-bis, di cui è stata prevista l’abrogazione. Viene superato l’istituto introdotto dal d. l. n. 83 del 2012, che a conti fatti pare non aver inciso più di tanto, ed in termini percentuali significativi, sulla definizione dei giudizi di appello con il prescritto preventivo giudizio di ammissibilità, mentre ha determinato nella prassi giudiziaria un’ulteriore ipotesi di ricorso in Cassazione, all’interno del medesimo giudizio, sicché la complessiva valutazione dell’istituto in termini di costi/benefici è, infatti, da più parti ritenuta negativa, tenuto anche conto che le ipotesi in cui poteva essere utilizzato l’istituto ben potranno essere sostituite dalla decisione alla prima udienza, con sentenza, all’esito della discussione;
  • sulla fase decisoria, per la quale si prevede, in modo sostanzialmente conforme a quanto previsto per il giudizio di primo grado – al fine di evitare l’attuale assegnazione di ulteriori termini in scadenza dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni – che la sentenza, all’esito della trattazione ed eventuale attività istruttoria, sia pronunciata in udienza, al termine della discussione orale, previa precisazione delle conclusioni, ovvero al termine di successiva udienza di discussione all’uopo fissata, assegnando, in  tal caso, un termine perentorio non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito di sintetiche note difensive, contenenti anche le conclusioni finali, e prevedendo la facoltà del collegio (per consentire l’adeguata valutazione dei casi più complessi) di riservare il deposito della sentenza entro i sessanta giorni successivi[13];
  • Da ultimo, si interviene sulla disciplina dei provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello, allo scopo di implementare le garanzie offerte dall’istituto in relazione all’attuale durata non sempre contenuta dei giudizi di appello: Il primo presupposto per la concessione della sospensione è costituito da un giudizio prognostico di elevata – e non meramente possibile o probabile – fondatezza dell’impugnazione, tale da evidenziare la inutilità, prima ancora della dannosità, di una eventuale esecuzione del provvedimento impugnato. Il secondo presupposto, alternativo, è invece collegato alla presenza di un grave ed irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza.

Si prevede che la parte possa presentare l’istanza di sospensione anche non contestualmente alla proposizione dell’appello principale o incidentale, ma nel successivo corso del giudizio di appello. Ulteriormente, alla luce della non impugnabilità dell’ordinanza che si pronuncia sull’istanza di sospensione e del costante orientamento della Suprema Corte che esclude anche la possibilità di proporre ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., si introduce la possibilità, per la parte che si sia vista respingere una prima istanza, di ripresentarla, tuttavia esclusivamente sulla base di elementi sopravvenuti all’esame della prima istanza[14].

Viene altresì previsto che, nel caso di manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello, la competente Corte, qualora non ritenga necessarie ulteriori attività, possa provvedere invitando le parti alla immediata discussione della causa, decidendo contestualmente.

Procedimento di impugnazione dei licenziamenti

All’articolo 7 del testo si prevedono principi di delega per l’ulteriore semplificazione del sistema processuale civile, stabilendo l’unificazione dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere previamente risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro e la previsione della regola secondo la quale dette controversie devono essere trattate con priorità. E’ prevista l’applicabilità della disciplina vigente a tutte le impugnazioni successive all’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della presente delega, con conseguente superamento dell’applicazione residuale e ultrattiva della disciplina di cui all’articolo 1, commi da 47 a 66, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (cd. Rito Fornero).

Processo di esecuzione

Si interviene anche sul processo di esecuzione. In particolare, sulla procedura di espropriazione presso terzi, obbligando il creditore dare notizia al debitore ed al terzo pignorato, dell’avvenuta iscrizione a ruolo della procedura e del relativo numero di ruolo, così da consentire al terzo pignorato l’immediato svincolo delle somme pignorate in caso di mancata iscrizione a ruolo o mancata notifica[15]. Si interviene, altresì, sulla procedura di espropriazione immobiliare, allo scopo di accelerarne il corso e di contenerne i costi attraverso la collaborazione del debitore, il quale può avere interesse a farsi parte attiva nella ricerca di un acquirente, sia per velocizzare le operazioni di vendita e giungere più rapidamente alla definizione del procedimento, sia per evitare il deprezzamento del bene, quale si verifica, a volte, per effetto del meccanismo dei ribassi.

A questo fine, si prevede che il debitore possa essere autorizzato dal giudice dell’esecuzione a vendere direttamente il bene pignorato, con atto da celebrare dinanzi al notaio, ma con gli effetti purgativi propri della vendita coattiva.

Sono previsti alcuni limiti, diretti a garantire che tale facoltà non pregiudichi i creditori:

  • l’istanza del debitore deve essere proposta a pena di inammissibilità prima dell’udienza per l’autorizzazione alla vendita;
  • il prezzo della vendita deve riflettere l’effettivo valore di mercato del bene;
  • i creditori devono essere messi in condizione di valutare la convenienza dell’offerta e la loro opposizione può essere superata solo nel caso in cui sia ragionevole ritenere che la vendita competitiva non consentirebbe di conseguire un risultato migliore;
  • la vendita deve perfezionarsi in un lasso di tempo contenuto, in quanto la possibilità offerta al debitore non può tradursi in un ostacolo al corso della procedura;
  • per la stessa ragione, di cui al punto precedente, l’istanza non può essere reiterata.

Efficientamento dei procedimenti civili, notifiche e collaborazioni tra le parti e dei terzi

Si affrontano le problematiche relative all’arbitrato, in primo luogo imponendo al legislatore delegato di rafforzare le garanzie di imparzialità ed indipendenza dell’arbitro, anche ampliando le ipotesi di decadenza previste dall’art. 813-bis c.p.c. nel caso in cui, al momento di accettazione della nomina, l’arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell’articolo 815 del codice di procedura civile, possono essere fatte valere come motivi di ricusazione.

Sul lato dell’efficienza dei procedimenti civili, si prevede che, nei procedimenti civili, il deposito dei documenti e degli atti di parte abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, nonché l’introduzione, in via generale, del principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte e del giudice e la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, per assicurare, in particolare, un’agevole consultabilità degli atti e dei provvedimenti informatici; si prevede, inoltre, il divieto di sanzioni processuali sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico dell’atto, quando questo abbia comunque raggiunto lo scopo (ciò, si ritiene, allo scopo di dirimere i contrasti giurisprudenziali sorti in questi primi anni di operatività del processo telematico)[16]. Sempre in una prospettiva di semplificazione anche degli adempimenti tributari connessi al procedimento, la legge delega impone di rivedere la disciplina delle modalità di versamento del contributo unificato per i procedimenti dinanzi al giudice ordinario, modificando il d.P.R. n.115 del 2002. In particolare, si prevede che il pagamento debba essere eseguito telematicamente quando è effettuato contestualmente ad un atto depositato telematicamente e non telematicamente quando il pagamento è effettuato contestualmente ad un atto depositato su supporto cartaceo. Si vogliono in ogni caso agevolare le operazioni, di competenza della cancelleria o della segreteria, di controllo dell’avvenuto pagamento e di custodia della prova del pagamento.

Nella stessa prospettiva, la legge delega chiede di intervenire sulle modalità di pagamento dei diritti, spese ed indennità spettanti agli ufficiali giudiziari, consentendo l’utilizzazione di strumenti informatici di pagamento. La disposizione si occupa anche delle attestazioni di atti cartacei che debbano essere trasmessi con modalità telematiche affinché siano consentite tali attestazioni per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti.

Riguardo la disciplina del procedimento notificatorio, sia quando tale procedimento è eseguito a cura degli avvocati che quando è eseguito a cura degli ufficiali giudiziari, al fine di semplificarlo e accelerarlo, valorizzando il principio di responsabilità, che impone ai soggetti obbligati a munirsi di un domicilio digitale o che abbiano eletto un domicilio digitale, di verificarne costantemente il buon funzionamento e di consultarlo con regolarità ed incentivando l’utilizzazione di strumenti informatici e delle tecnologie più avanzate.

 

Da ultimo, si rileva che con l’intervento in parola si  mira a rafforzare i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi prevedendo:

  • il riconoscimento dell’amministrazione della Giustizia quale soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata e, conseguentemente, specifiche sanzioni a favore della Cassa delle ammende;
  • conseguenze processuali e sanzioni pecuniarie nei casi di rifiuto di consentire l’ispezione prevista dall’articolo 118 e di rifiuto o inadempimento ingiustificato dell’ordine di esibizione previsto dall’articolo 210 allo scopo di scoraggiare condotte ostruzionistiche dei destinatari dell’ordine;
  • la fissazione di un termine entro il quale la pubblica amministrazione deve rispondere alla richiesta di informazioni ai sensi dell’articolo 213, anche al fine di responsabilizzare la pubblica amministrazione nei rapporti con l’autorità giudiziaria rispetto all’obiettivo di contenere in tempi ragionevoli la durata del processo.

Volume consigliato e presto aggiornato

[1] Tutto sull’odg del Consiglio dei ministri n. 15 al seguente link: http://www.governo.it/it/articolo/convocazione-del-consiglio-dei-ministri-n-15/13482 e dal relativo comunicato stampa al seguente link: http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-15/13507

[2] Conferenza stampa al seguente link: http://www.governo.it/it/media/consiglio-dei-ministri-n-15-conferenza-stampa-del-presidente-conte-e-del-ministro-bonafede

[3] Dai risultati delle recenti analisi svolte dalla Commissione europea per l’efficienza della giustizia dei sistemi giudiziari misurata in quarantacinque Paesi europei (rapporto Cepej- 4 ottobre 2018)  è emerso che a fronte di un buon livello di produttività della magistratura italiana , i tempi di smaltimento delle controversie civili e commerciali e dei casi penali, registrati nei tre gradi del giudizio, appaiono estremamente alti rispetto alla media europea e collocano l’Italia negli ultimi posti delle classifiche generali. Per un approfondimento: https://ec.europa.eu/italy/news/20190426_quadro_di_valutazione_UE_giustizia_2019_it; http://www.marinacastellaneta.it/blog/cepej-pubblicato-il-rapporto-sulla-valutazione-dei-sistemi-giudiziari-cepej-released-the-report-on-evaluation-of-judicial-systems.html; https://webstat.giustizia.it/SitePages/CEPEJ.aspx;

https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01111190.pdf

[4] Anche i risultati delle indagini provenienti dal EU Justice Scoreboard 2019  con riferimento ai procedimenti civili, commerciali e amministrativi dei Paesi Membri, confermano che il nostro Paese si colloca agli ultimi posti della graduatoria degli Stati membri, sia per il tempo medio di risoluzione di una causa civile o commerciale a causa dell’elevato arretrato, sia per il livello di corruzione percepito. Nonostante i progressi riscontrati dal 2010 al 2018, ad oggi l’Italia è tra i Paesi UE che presenta il sistema giudiziario più lento d’Europa .

Il nostro Paese occupa la quartultima posizione per quanto riguarda il numero dei casi giudiziari pendenti, benché la percentuale di smaltimento registrata nel 2016 (ultimo dato del report Cepey) è stata del 113% in primo grado, e, del 111% in secondo grado, collocando l’Italia nei primi posti della classifica europea, a dimostrazione della produttività dei nostri giudici civili.

[5] Numerosi studi dimostrano che ci sono tre fattori che influenzano la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario. Il primo è la “giustizia distributiva”: se le persone ritengono che la legge sia applicata in modo uguale a tutti e che le decisioni emesse da un sistema giudiziario siano giuste e corrette. Il secondo fattore è la “giustizia procedurale”: se le persone coinvolte in procedimenti giudiziari sentono di essere state ascoltate, di aver avuto l’opportunità di presentare la loro versione della storia, il giudice e lo staff giudiziario le hanno trattate con dignità e rispetto, la procedura è stata imparziale ed equa e il giudice era affidabile come protettore della giustizia e indipendente dalle influenze esterne. Il terzo fattore è la percezione dell’efficienza: quando le persone ritengono che i procedimenti giudiziari sono organizzati in modo efficiente, eseguiti senza ritardi irragionevoli e i giudizi applicati in modo efficace.

[6] In esito a numerose ricerche europee e internazionali  risulta che l’efficienza giudiziaria, ossia la percezione che i cittadini hanno dei procedimenti giudiziari organizzati in modo efficiente, eseguiti senza ritardi irragionevoli e i giudizi applicati in modo efficace, svolge un ruolo cruciale nello Stato di diritto. È garanzia per le persone, le istituzioni e le entità, sia pubbliche che private, compreso lo Stato, di rimedi tempestivi, giusti ed equi. Supporta il buon governo, riduce il rischio di corruzione e contribuisce a rafforzare la fiducia nelle istituzioni. Un sistema giudiziario efficiente è presupposto essenziale per l’effettivo godimento dei diritti economici e sociali, per promuovere gli investimenti e incoraggiare le imprese. Per un approfondimento dottrinale: https://www.sipotra.it/wp-content/uploads/2016/09/12.9.1.pdf

[7] Nell’ambito delle controversie civili e commerciali la percentuale di smaltimento registrata nel 2016 (ultimo dato del report CEPEJ) è stata del 113% in primo grado, del 111% in secondo grado, mentre il valore di Clearance Rate presso la Corte di Cassazione si attestata nel 2016 al 92%.

Rispetto al settore penale il CR registrato nel 2016, in primo grado, ha registrato per la prima volta dal 2010 valori positivi, attestandosi al 107% e riducendo in tal modo il volume dei casi pendenti; in secondo grado, la percentuale di liquidazione rilevata è stata invece negativa risultando pari al 91%. Importanti miglioramenti delle percentuali di smaltimento dei casi penali si registrano per il 2016 presso la nostra Corte suprema che ha portato la percentuale di liquidazione oltre il 100% nel 2016 (111%). Si veda: European judicial systems Efficiency and quality of justice CEPEJ STUDIES No. 26. 2018 Edition (2016 data).

[8] Le analisi condotte, in particolare quelle già richiamate della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (CEPEJ), si basano sostanzialmente sulla durata dei procedimenti, sul numero di casi pendenti e sulla capacità dei tribunali di trattare con il carico di lavoro, c.d. clearance rate (CR). Il Clearance Rate è un rapporto ottenuto dividendo il numero di casi risolti per il numero di casi in arrivo, espresso in una percentuale. Una percentuale di liquidazione vicina al 100% indica la capacità del tribunale o di un sistema giudiziario di risolvere approssimativamente il numero di casi in arrivo entro un determinato periodo di tempo. Un Clearance Rate superiore al 100% indica la capacità del sistema di risolvere più casi rispetto a quelli ricevuti, riducendo così il numero di casi in sospeso alla fine del periodo di misurazione. Si veda: European judicial systems Efficiency and quality of justice CEPEJ STUDIES No. 26, Cit.

[9] Tale possibilità è prevista limitatamente alle controversie in cui si discuta di diritti già negoziabili secondo la legislazione vigente, quali, senza pretesa di esaustività, il diritto al preavviso ed il diritto al posto di lavoro (si vedano, a titolo esemplificativo, Cass. n. 13134/2000; Cass. n. 2716/1998; Cass. n. 2886/1992)

[10] Lo scopo è quello di agevolare l’accertamento dei fatti prima dell’inizio del processo, al fine di consentire alle parti di valutare meglio l’alea del giudizio, così incoraggiando soluzioni transattive. In particolare, si prevede la possibilità di sentire – nel contraddittorio tra le parti – persone a conoscenza di fatti rilevanti per la soluzione della controversia, di stimolare la confessione stragiudiziale o chiedendo alla controparte di dichiarare per iscritto la verità di fatti ad essa sfavorevoli. Gli elementi di prova così ottenuti, nel caso in cui non si pervenga ad una soluzione transattiva, saranno utilizzabili nel giudizio che si andrà successivamente ad instaurare, con effetti positivi sulla sua durata, fermo restando che sarà comunque consentito al giudice rinnovare l’attività istruttoria, ogni qual volta lo ritenga opportuno.

[11] Tale maggiore ricchezza di moduli decisionali rispetto al giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica e rispetto al giudizio d’appello si spiega per la tendenziale maggiore complessità delle controversie riservate al giudice collegiale, che deve essere tuttavia, in concreto, vagliata caso per caso e, rispetto al giudizio d’appello, in considerazione, invece, della maggiore delimitazione del thema decidendum dinanzi al giudice di secondo grado e della tendenziale necessaria completezza degli atti introduttivi in appello.

[12] Si vuole, dunque, limitare espressamente la riproponibilità, nel giudizio di appello, delle domande ed eccezioni assorbite dalla decisione di primo grado, conformemente con i principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo, nonché con il principio del contraddittorio. Si è inoltre ritenuto di non incidere sul termine per la costituzione in giudizio dell’appellato, considerato che il thema decidendum è già stato fissato nel giudizio di primo grado.

[13] Non è stata riproposta, rispetto alla fase decisoria di primo grado, la possibilità di un’istanza di parte per la fissazione di altra udienza per la discussione, in quanto tale facoltà, nel primo grado di giudizio, è funzionale alla eventuale necessità di precisare le difese all’esito dell’attività istruttoria, di regola mancante invece nel giudizio di appello. Nei casi in cui sia stato proposto appello incidentale, è utilizzabile solo il secondo modulo, che garantisce alla parte nei cui confronti è proposto appello in via incidentale la possibilità di una replica scritta all’impugnazione proposta nei suoi confronti, salvo che non sia la stessa parte a rinunciare a tale “garanzia” ed a consentire all’adozione di un modulo decisorio più snello.

[14] Si ritiene che la delega prevede, allo scopo di scongiurare la ripresentazione anche reiterata di istanze infondate o addirittura inammissibili, inoltre, sulla scorta dell’attuale ultimo comma dell’art. 283 c.p.c., l’introduzione – in caso di declaratoria di inammissibilità o manifesta infondatezza – di un’ulteriore pena pecuniaria da determinarsi nella misura da due a quattro volte rispetto a quella già attualmente prevista.

[15] È stata recepita, al fine di farvi fronte, la difficoltà, per il terzo pignorato, di monitorare lo svolgimento della procedura esecutiva e di accertarne l’eventuale estinzione conseguente alla mancata iscrizione a ruolo, che ostacola lo svincolo delle somme accantonate e spesso impedisce, anche alle Amministrazioni pubbliche, di disporre di somme a volte ingenti.

[16] L’irregolarità degli atti sotto tale profilo può essere solo valutata nella disciplina delle spese processuali, considerato che essa può determinare un aggravio dell’attività processuale ed incidere sui tempi del processo.

Dott. Silvio Garofalo Quinzone

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