Notifica non andata a buon fine per irreperibilità del destinatario nonostante domicilio dichiarato

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Nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell’art. 161, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. cosa integra il tentativo di notificazione col mezzo della posta, demandato all’ufficio postale ai sensi dell’articolo 170, cod. proc. pen. e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario.

(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 161, c. 1, c. 2 e c. 3, 170)

Indice:

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione
  4. La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
  5. Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite
  6. Conclusioni

Il fatto

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza del Tribunale di Latina che aveva condannato per il delitto di cui all’articolo 570-bis cod. pen., così riqualificato il fatto originariamente contestato ai sensi dell’articolo 570, secondo comma, n. 2, cod. pen. l’imputato per avere, dal gennaio 2011 fino alla data della decisione di primo grado, omesso di corrispondere al coniuge separato ed al figlio minorenne la somma mensile di euro 1500,00, oltre ad un importo pari al 50% delle spese straordinarie del minore, come stabilito in sede civile dal Tribunale di Latina con provvedimento del 10 gennaio 2011, facendo così mancare loro i mezzi di sussistenza.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge, in relazione agli artt. 161, comma 4, 179 e 420-bis cod. proc. pen., 111 e 117 Cost., 6 CEDU, per avere la Corte di Appello disatteso l’eccezione difensiva di nullità assoluta degli atti del giudizio di primo grado, per omessa citazione a giudizio; 2) violazione di legge, in relazione all’art. 570 bis, cod. pen., e vizio di motivazione per avere la Corte di Appello affermato che  la riqualificazione del fatto era esente da vizi senza però prescindere da una correzione della pena e senza considerare che il mancato versamento al coniuge separato era ipotesi non contemplata dall’art. 3 della legge n. 54 del 2000 che individua gli obblighi di natura economica, oggetto di tutela penale, solo in quelli posti a carico di un genitore a favore dei figli, escludendo quindi gli obblighi posti a carico di un coniuge a favore dell’altro.

Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

La Sesta sezione della Cassazione, quale sezione assegnataria del ricorso in questione, dal canto suo, lo rimetteva alle Sezioni Unite, avendo ravvisato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito al primo motivo di censura, attinente al rapporto esistente tra la norma dettata dall’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen., di cui era stata lamentata la violazione, e quella prevista dall’articolo 170, comma 3, dello stesso codice che, pur non richiamata espressamente nell’atto di impugnazione, doveva ritenersi evocata in ragione della doglianza difensiva in ordine alle concrete modalità di effettuazione della notificazione nel caso in esame.

In particolare, questa Sezione rilevava che, secondo un primo e maggioritario filone interpretativo, deve ritenersi affetta da nullità assoluta la notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, co. 4, cod. proc. pen., se, dopo che l’addetto al servizio postale ha accertato l’irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato o eletto, non siano state attivate le modalità di notifica ordinarie, ai sensi dell’art. 170, comma 3, cod. proc. pen..

Invece, secondo un altro orientamento nomofilattico, segnalava sempre la Sezione sesta ritenendolo al contempo maggiormente condivisibile, è legittima la notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., nel caso in cui l’addetto al servizio postale, incaricato delle notificazioni, ha attestato l’irreperibilità del destinatario nel domicilio dichiarato o eletto, perché, ai fini dell’integrazione del presupposto dell’impossibilità di notificazione in tale domicilio, legittimante la notificazione sostitutiva al difensore, sono sufficienti anche solo la temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore o la non agevole individuazione dello specifico luogo.

Più nel dettaglio, secondo tale diverso orientamento, l’art. 170, comma 3, cod. proc. pen., in base al quale, se l’ufficio postale restituisce il piego per irreperibilità del destinatario, l’ufficiale giudiziario deve procedere alle notificazioni nei modi ordinari, troverebbe applicazione unicamente con riguardo alle ipotesi di prima notificazione all’imputato non detenuto.

La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Il Procuratore generale depositava, da far suo, una memoria nella quale, esaminati gli opposti orientamenti e richiamata anche la giurisprudenza costituzionale in materia, attraverso una interpretazione sistematica, illustrava le ragioni per le quali aderiva al secondo orientamento e riteneva, pertanto, legittima la notificazione eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., nel caso in cui l’addetto al servizio postale, incaricato della notificazione, abbia in precedenza attestato l’impossibilità di eseguire la notifica presso il domicilio dichiarato o eletto fermo restando che, ai fini dell’integrazione di tale presupposto, si ritiene sufficiente – oltre all’ipotesi dell’irreperibilità del destinatario – anche solo la sua temporanea assenza o la non agevole individuazione dello specifico luogo.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione, procedevano a delimitarla nei seguenti termini: “se, attestata dall’addetto al servizio postale, incaricato della notificazione della citazione a giudizio, la irreperibilità dell’imputato presso il domicilio dichiarato o eletto, sia legittima la notificazione successivamente eseguita mediante consegna al difensore a norma dell’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen., ovvero sia necessaria l’osservanza delle modalità ordinarie ai sensi dell’articolo 170, comma 3, cod. proc. pen.”.

Precisato ciò, al fine di meglio delineare la questione controversa, per gli Ermellini, appariva utile ricordare i tratti essenziali dell’istituto della notificazione, deputato a fungere da equilibrato momento di raccordo tra l’esigenza di assicurare la conoscenza effettiva dell’atto e quella di stabilire il regime della conoscenza legale come generatrice degli effetti processuali, il che veniva fatto nei seguenti termini: “La funzione propria della notificazione è quella di portare l’atto a conoscenza del destinatario, al fine di consentire l’instaurazione del contraddittorio e l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Compete naturalmente al legislatore – nel bilanciamento tra i diversi interessi – determinare i modi attraverso i quali tale scopo possa realizzarsi e individuare i rimedi per evitare che il diritto di agire in giudizio sia paralizzato da circostanze non pertinenti. (…)Tra un sistema “legale” in virtù del quale dal compimento di determinate formalità scaturisce la presunzione che l’interessato abbia avuto o potuto avere notizia dell’atto e quello “reale”, per il quale occorre avere la assoluta certezza che l’atto da notificare sia stato effettivamente portato a conoscenza dell’interessato, si collocano situazioni intermedie, oggetto di una disciplina differenziata, modulata sulla base di esigenze diverse: l’agevolazione della conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario; l’interesse di chi promuove la procedura di notificazione  ad assolvere all’onere impostogli dalla legge a prescindere dal comportamento del destinatario. I modelli di notificazione sono vari e il legislatore, a seconda dei casi, stabilisce quale di essi debba essere adottato, anche tn considerazione della maggiore idoneità, dell’uno rispetto all’altro, allo scopo di portare l’atto notificato a conoscenza del destinatario. Proprio perché le forme stabilite per le notificazioni sono dirette ad assicurare la conoscibilità dell’atto da parte del destinatario, ai sensi degli artt. 171 e 177 cod. proc. pen, la notificazione è nulla quando non siano state osservate le norme processuali Indicate nella prima delle disposizioni appena citate. Quando invece tali forme sono state rispettate, la notifica deve ritenersi In sé valida anche se il destinatario non ha avuto effettiva conoscenza dell’atto a lui diretto.  Mentre sotto la vigenza del codice Rocco la «conoscenza legale» assurgeva a  scopo delle notificazioni», ritenendosi «momento perfezionativo della notificazione quello In cui risulta compiutamente realizzata tutta l’attività richiesta dalla legge affinché il soggetto destinatario sia posto in grado di prendere conoscenza dell’atto che gli si vuole notificare, prescindendo dal fatto che tale conoscenza fosse avvenuta realmente», l’assetto normativo scaturito dal nuovo codice di rito, dalla giurisprudenza della Corte europea del diritti dell’uomo e dalle riforme del 2005 (d.l. n. 17 del 2005 convertito con modificazioni dalla legge n. 60 del 2005) e del 2014 (legge n. 67 del 28 aprile 2014) è caratterizzato dal superamento del dualismo che tradizionalmente separava la conoscenza legale, conseguente al solo rispetto delle forme stabilite dall’ordinamento, da quella effettiva. (…) Con specifico riguardo al tema che direttamente ci occupa, e cioè quello della notificazione della citazione a giudizio, il sistema normativo, delineato soprattutto dalla novella del 2014, è teso a garantire l’effettività della conoscenza del processo in capo all’imputato, in linea con I moniti provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha messo in luce talune criticità del sistema legale di presunzioni di conoscenza degli atti proprie dell’ordinamento processuale penale italiano. La Corte europea, già nelle pronunce Brozicek c. Italia del 19 dicembre 1989 e T. c. Italia del 28 agosto 1991, aveva affermato che la situazione di irreperibilità o latitanza dell’imputato non poteva essere interpretata come una sua consapevole rinuncia a comparire in udienza. Nelle successive decisioni Somogyi c. Italia del 18 maggio 2004 e Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004 ha sottolineato come la presenza dell’imputato all’udienza costituisca un elemento d’importanza essenziale per poter considerare equo il processo, nonché condizione irrinunciabile per il rispetto delle garanzie del “giusto processo”. È stato così specificato, con le decisioni Kollcaku c. Italia e Pititto c. Italia del 8 febbraio 2007, che la notifica delle azioni Intentate nei confronti del contumace richiede condizioni formali e sostanziali idonee a garantire l’esercizio effettivo dei diritti dell’accusato. Detto diritto non può, però, considerarsi assoluto, potendosi ammettere limitazioni dettate dall’esigenza di salvaguardare la corretta amministraziòne della giustizia dall’abuso dei diritti delta difesa o dalla volontaria rinunda di partecipare al processo da parte dell’imputato. Quest’ultima deve consistere in una chiara e inequivoca volontà di non voler presenziare al processo, formulata da parte dell’imputato, a seguito di una corretta e valida vacatio in iudicium. Lo Stato, a sua volta, deve esplicare la massima diligenza nel verificare l’effettività della conoscenza e la volontà di rinuncia a comparire. La CEDU ammette che determinate circostanze siano indicative della conoscenza da parte dell’imputato della natura delle accuse mosse nei suoi confronti e del provvedimento di vacatio in iudicium e, in tale prospettiva, attribuisce rlllevo all’assenza dell’imputato, pur regolarmente avvisato, affermando che Il suo disinteresse equivale ad una rinuncia a presenziare alle udienze (sentenze Kimmel c. Italia, 2 settembre 2004; Booker c. Italia, 14 settembre 2006; Zaratin c. Italia, 23 novembre 2006). Il fondamento del sistema, introdotto con la legge n. 67 del 2014, è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo dell’udienza. l’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen., nell’ottica di una agevolazione del compito del giudice, ha indicato alcuni casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vacatio in iudicium, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell’imputato, quando vi sia comunque prova della conoscenza del procedimento, determinata o dall’essere stato l’imputato l’autore di alcuni determinati atti processuali (la dichiarazione o l’elezione di domicilio ovvero la nomina di un difensore di fiducia) oppure il destinatario di misure restrittive della libertà personale (arresto, fermo, misure cautelari) o, ancora, dall’acquisizione di dati che dimostrino, con certezza, che l’imputato abbia avuto cognizione del procedimento o che si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del medesimo o dei suoi atti. Indici di conoscenza che, come affermato dalle Sezioni Unite l. (n, 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 279420), non possono però essere interpretati come presunzioni di conoscenza, pena la innaturale regressione al sistema del processo contumaciale anteriore alla riforma dei 2005, in violazione delle disposizioni convenzionali, come interpretate dalla Corte Edu. Le Sezioni Unite L. (n. 14498 del 26/11/2020, dep. 2021), nell’affrontare il tema della rescissione del giudicato, hanno affermato che «l’art. 629-bis cod. proc. pen. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell’art. 420-bis cod. proc. pen. e offre una forma di tutela all’imputato non presente fisicamente in udienza, mediante la possibilità di proposizione di un si n ezzo straordinario di impugnazione, che realizza la reazione ripristinatoria del corretto corso del processo per situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, in dipendenza dell’ignoranza incolpevole della celebrazione del processo stesso, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione, senza Instaurare alcun automatismo con riferimento alle condizioni che, ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen. autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza». Anche le Sezioni Unite C. (n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022), hanno sottolineato l’importanza attribuita dall’ordinamento alle condizioni di effettività _ dell’esercizio del diritto a intervenire nel processo, rilevando come la sua corretta instaurazione può basarsi solo sulla eliminazione di qualsiasi ostacolo alla partecipazione che sia in potere del giudice superare, perché solo tale verifica consente di ricondurre la mancata comparizione esclusivamente ad una scelta libera dell’imputato. Può quindi affermarsi che le Sezioni Unite hanno fornito una lettura convenzionalmente orientata dell’art. 420-bis cod. proc. pen. in termini di effettività della conoscenza correlata all’instaurazione del processo, tecnicamente inteso, mediante un formale provvedimento di vacatio in iudicium. Nel caso in cui non sia acquisita la certezza effettiva della conoscenza il processo deve essere sospeso. Proprio questo è il punto di diversità rispetto al processo in contumacia, che si svolgeva comunque, sulla base della notifica formalmente regolare, riconoscendosi all’imputato inconsapevole il solo diritto all’impugnazione, previa restituzione del termine per impugnare. Diversamente, il processo in assenza ha come presupposto che la notifica sia regolare (la novella del 2014 non ha modificato l’art. 420, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il giudice debba disporre la rinnovazione della citazione di cui accerta e dichiara la nullità) e che si sia proceduto con la certezza sostanziale che l’imputato sia a conoscenza del processo e non si sia presentato per sua libera scelta, conoscendo il contenuto delle accuse, nonché la data e li luogo dell’udienza”.

Orbene, terminata questa prima ricognizione di tale istituto, per il Supremo Consesso, a questo punto della disamina, poteva quindi osservarsi che, in una visione di sintesi, la tradizionale dicotomia di fondo tra conoscenza legale – conseguente, cioè, al solo rispetto delle forme stabilite dall’ordinamento – e conoscenza effettiva, che ha animato la novella del 2014, così come interpretata dalle Sezioni Unite, è stata spostata a vantaggio della seconda nel senso che, in dichiarata continuità con la introduzione di maggiori garanzie di effettività della partecipazione al processo, si è giunti al definitivo superamento del processo in contumacia con l’introduzione del processo in assenza “volontaria” dell’imputato.

Ciò posto, si notava che, come suesposto anche prima, il quesito a cui dare risposta nel caso di specie – come espressamente messo in luce dalla Sezione rimettente – era quello di verificare se, nel caso in cui la notificazione dell’atto venga effettuata all’imputato con il mezzo della posta – anche laddove questi abbia dichiarato o eletto domicilio, ai sensi dell’articolo 161 cod. proc. pen. – l’attestazione di irreperibilità del destinatario effettuata dall’addetto al servizio postale imponga in ogni caso, ai fini del regolare perfezionamento del procedimento di notificazione, la necessità di attivare la notifica con le modalità ordinarie, ai sensi dell’art. 170, comma 3, cod. proc. pen. e, pertanto, alle Sezioni Unite era demandata la questione della corretta interpretazione dell’art. 170, comma 3, cod. proc. pen. nel caso di irreperibilità del destinatario a fronte di dichiarazione o elezione di domicilio.

Precisato ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano prima di tutto che, da un lato, l’art. 148 cod. proc. pen., intitolato “Organi e forme delle notificazioni”, prevede che: “Le notificazioni degli atti, salvo che la legge disponga altrimenti, sono eseguite dall’ufficiale giudiziario o da chi ne esercita le funzioni”, dall’altro, in base all’art. 170 cod. proc. pen. le notificazioni possono essere eseguite col mezzo degli uffici postali, nei modi stabiliti dalle relative norme speciali: anche in tali casi la titolarità della funzione non cessa di essere dell’ufficiale giudiziario posto che, se la legge 20 novembre 1982 n. 890, che ha riordinato la disciplina delle notificazioni a mezzo posta, all’art. 1 stabilisce che in materia civile, amministrativa e penale, l’ufficiale giudiziario può “avvalersi” del servizio postale per la notificazione degli atti, con ciò ribadendo che egli resta l’organo della notificazione, l’art. 3, in particolare, conferma che la posta costituisce un mezzo attraverso cui portare a compimento il procedimento di notificazione e che anche l’attività svolta da un soggetto diverso è riferita all’ufficiale giudiziario che ne assume la paternità: la norma, invero, attribuisce a quest’ultimo la funzione dl redigere la relata di notificazione (sull’originale e sulla copia dell’atto), facendo menzione dell’ufficio postale “per mezzo del quale” spedisce la copia al destinatario (in piego raccomandato con avviso di ricevimento}.

In definitiva, quindi, per la Corte di legittimità, tutta l’attività dell’ufficiale postale è direttamente riferita all’ufficiale giudiziario di cui il primo è un alter ego, rilevando al contempo che questi rilievi, che attengono al profilo soggettivo e alla titolarità dell’ufficio, spiegano i loro riflessi sull’attività dell’ufficiale postale oggettivamente considerata che, In quanto ricondotta alla sfera di competenza dell’ufficiale giudiziario, è soggetta alle regole generali che disciplinano le notificazioni e le relative nullità, tanto più se si considera che la legge n. 890 del 1982 non contiene un autonomo regime e quindi necessariamente rimanda, per quanto interessa il processo penale, alle regole generali poste dagli artt. 171 e 177 cod. proc. pen. mentre lo stesso art. 1, comma 1, legge cit. prevede solo come mera opzione (per disposizione del giudice o per richiesta di parte) la notificazione a mezzo dell’ufficiale giudiziario rispetto a quella a mezzo posta, con la conseguenza che per il resto, e in particolare per le comminatorie di nullità, è implicita la perfetta equiparazione dei due mezzi.

La notificazione degli atti a mezzo del servizio postale non è, pertanto, per la Suprema Corte, in rapporto di sussidiarietà rispetto a quella ordinaria, potendo sempre essere eseguita dall’organo incaricato nei modi stabiliti dalle relative norme speciali, salvi i limiti, specificamente inerenti al processo penale, derivanti dalla diversa disposizione dell’autorità giudiziaria procedente o dall’esigenza di forme particolari incompatibili con il ricorso al servizio postale (in tal senso: Sez. U, n. 15 del 08/4/1998; Sez. 5, n. 12451 del 23/02/2005, che richiama Sez. 1, n. 3867 del 30/06/1998).

In particolare, si faceva presente che le stesse Sezioni Unite, nella decisione n. 15/1998, avevano affermato che la diversità dei procedimenti di notificazione, a seconda che questo avvenga ad opera dell’ufficiale giudiziario personalmente ovvero mediante il ricorso al servizio postale, non comporta diversità di garanzie in ordine alla presunzione legale di conoscenza da parte del destinatario dell’atto e, conseguentemente, diversità del regime di nullità dei due differenti tipi di notificazione, evidenziando contestualmente che lo stesso principio era stato affermato anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 211 del 13/05/1991 che aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 170 cod. proc. pen., in relazione all’art. 8, comma 2, legge n. 890 del 1982, con riferimento all’art. 24, secondo comma, e all’art. 3, primo comma, Cost., proprio in quanto non vi sarebbero l’affermata uguaglianza tra cittadini ed il pari diritto di difesa se l’una forma di notificazione fosse meno garantita, anche sotto il profilo delle nullità, rispetto all’altra.

Proprio la perfetta parità, sotto ogni profilo, dei due tipi di notificazioni, ritenuta anche dalla Corte costituzionale, spiegava, dunque, per la Corte di legittimità, la mancata previsione di nullità afferenti esclusivamente a quelle a mezzo posta.

Da ciò la Cassazione giungeva alla conclusione secondo cui la notificazione di atti giudiziari a mezzo posta è del tutto equiparabile alle notificazioni compiute personalmente dall’ufficiale giudiziario che mantiene, comunque, sempre la titolarità della funzione, dal momento che l’articolo 170 cod. proc. pen. e la legge n. 890 del 1982 non pongono limiti alla possibilità per l’ufficiale giudiziario di avvalersi del servizio postale per la notificazione di atti, escludendo le sole ipotesi in cui l’autorità giudiziaria disponga che la notificazione sia eseguita personalmente dal predetto ufficiale giudiziario o in cui il rispetto di determinate forme sia incompatibile con il ricorso al mezzo postale.

Era evidente, pertanto, sempre a giudizio di questo Supremo Consesso, che l’utilizzo del mezzo postale è possibile sia in caso di prima notifica all’imputato non detenuto, che in caso di domicilio dichiarato o eletto visto che l’art. 170 cod. proc. pen. posto a chiusura del Titolo V sulle notificazioni, non fa espresso rinvio ad alcuna delle ipotesi ivi specificate, lasciando supporre un’operatività generale della stessa, e tenuto altresì conto che le stesse Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale si limitano ad affermare sul punto che detto articolo è una riproduzione del previgente art. 178, cod. proc. pen. del 1930, ritenuta l’opportunità di «mantenere la possibilità · di utilizzare· il servizio postale quale mezzo di notificazione, non essendo emerse controindicazioni di qualche pregio».

Ciò premesso, veniva altresì rilevato che, come indicato anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19602 del 27/03/2008, gli artt. 157 e 161 e seguenti cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all’imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall’inizio testuale del primo di detti articoli «salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162» cod. proc. pen., trattandosi di modalità di notificazioni da considerarsi alternative tra loro, nel senso che la prima è consentita nel caso in cui l’imputato non ha ancora avuto un contatto con le autorità indicate nell’art. 161 cod. proc. pen., e impone il rispetto della sequenza procedimentale descritta dall’articolo 157, cod. proc. pen. mentre la seconda presuppone il preventivo contatto con l’autorità e l’invito formulato da quest’ultima ad indicare un domicilio ai fini delle notifiche, e in tal senso si erano pronunciate anche le Sezioni Unite, nelle pronunce n. 28451 del 28/04/2011, e n. 58120, del 22/06/2017, che avevano ribadito che Il sistema delineato dagli artt. 161, 162, 163 e 164, cod. proc. pen., per le notificazioni da eseguirsi presso il domicilio dichiarato o eletto ovvero mediante consegna dell’atto al domiciliatario, si palesa quale complesso di disposizioni esaustivo, ai fini del perfezionamento della notificazione, e si pone come alternativo a quello previsto dall’art. 157 cod. proc. pen. per la prima notificazione all’imputato non detenuto, poiché tale sistema è fondato sul dovere dell’imputato, che ne sia stato adeguatamente edotto, di dichiarare o eleggere domicilio e di comunicare alla autorità giudiziaria ogni successiva variazione ai sensi dell’art. 161, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e non può essere contaminato con l’applicazione di disposizioni riguardanti le ipotesi della prima notificazione, con esso incompatibili.

Orbene, a fronte di tale argomentazione giuridica, i giudici di legittimità ordinaria notavano che le Sezioni Unite, nella pronuncia n. 58120/2017, avevano precisato che, quando si deve eseguire la prima notificazione all’imputato non detenuto che non abbia eletto o dichiarato domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dall’articolo 157 cod. proc. pen.; una volta effettuata regolarmente la prima notificazione, se l’imputato nomina il difensore di fiducia, tutte le successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore ex articolo 157, comma 8-bis, cod. proc. pen. mentre, se invece vi è stata dichiarazione o elezione di domicilio – e, dunque, vi è stato un primo contatto tra l’imputato e i soggetti indicati nell’articolo 161 cod. proc. pen., – devono essere seguite le forme dettate da quest’ultima disposizione del codice di rito e l’articolo 157, comma 8-bis, non trova applicazione.

Oltre a ciò, era altresì sottolineato che sempre le Sezioni Unite, ma nella decisione n. 28451/2011, a loro volta, avevano chiarito che il rinvio operato dall’articolo 163 cod. proc. pen. alle formalità previste dall’articolo 157 non ha ad oggetto i luoghi di effettuazione della notifica, chiaramente esplicati nel disposto degli articoli 161 e 162, bensì le persone consegnatarie dell’atto (in particolare conviventi e portiere), oltre a quelle specifiche forme di tutela della riservatezza indicate dall’art. 157, comma 6, cod. proc. pen., affermandosi al contempo che la impossibilità di procedere alla notifica a mani della persona designata quale domiciliataria, a seguito del rifiuto di ricevere l’atto ovvero del mancato reperimento del domiciliatario o dell’imputato stesso o di altre persone idonee nel luogo di dichiarazione o elezione di domicilio, integra l’ipotesi della impossibilità della notificazione (che legittima il ricorso alle modalità indicate nell’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen.), sicché non è consentito, in tali casi, procedere con le forme previste dall’art. 157, comma 8, cod. proc. pen..

Per di più, veniva oltre tutto denotato che, in linea con quanto indicato dalle Sezioni Unite, nei provvedimenti da ultimo citati, e dalla giurisprudenza maggioritaria {in questo senso, fra le tante: Sez. 6, n. 24864 del 19/4/2017; Sez, 6, n. 52174 del 6/10/2017; Sez. 3, n. 12909 del 20/01/2016; Sez. 6, n. 42548 del 15/09/2016), che, per integrare il presupposto di una “impossibilità” della notifica, a norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., è sufficiente l’attestazione di mancato reperimento dell’imputato nel domicilio dichiarato – o del domiciliatario nel domicilio eletto – non occorrendo alcuna indagine che attesti la irreperibilità dell’imputato, doverosa solo qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art. 157, come si desume dall’incipit dell’art. 159 cod. proc. pen. e, di conseguenza, secondo quanto dedotto dal Supremo Consesso nel caso di specie, anche la temporanea assenza dell’imputato o la non agevole individuazione dello specifico luogo indicato come domicilio abilitano l’ufficio preposto alla spedizione dell’atto da notificare a ricorrere alle forme alternative previste dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., dal momento che la dichiarazione e l’elezione di domicilio possono essere ritenute «inidonee», in linea con il comune significato linguistico del vocabolo, non solo quando è praticamente “impossibile” la notificazione nel luogo indicato, ma anche quando, per cause diverse dal caso fortuito e dalla forza maggiore, le stesse non sono “funzionali” ad assicurare il pronto ed efficace esito positivo dell’adempimento comunicativo, fermo restando che la fattispecie della non reperibilità (per «destinatario sconosciuto, trasferito, irreperibile, deceduto, indirizzo inesatto, indirizzo insufficiente, indirizzo Inesistente»)trova disciplina anche nell’art. 9 legge n. 890 del 1982, come modificato dall’articolo 1, comma 461, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, in cui viene disposto che tale circostanza debba essere documentata dall’agente postale con attestazione datata e sottoscritta nell’avviso di ricevimento, cui segue la restituzione del plico al mittente.

Di conseguenza, sulla scorta delle considerazioni espresse, ribadita la perfetta parità, sotto ogni profilo, delle due notificazioni (a mezzo posta e a mezzo ufficiale giudiziario) tale da fare ritenere valida l’attività di ricerca già svolta dall’agente postale e pienamente fidefacenti le sue attestazioni di merito (sull’argomento Sez. 2, n. 9544 del 19/02/2020; Sez. 2, n. 33870 del 18/6/2019; Sez. 3, n. 7865 del 12/01/2016), le Sezioni Unite ritenevano che l’articolo 170, comma 3, cod. proc. pen., nello stabilire che «qualora l’ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, l’ufficiale provvede alle notificazioni nei modi ordinari», intenda far riferimento all’esigenza che la procedura prosegua secondo le due diverse e fra loro alternative modalità previste dal codice di rito: quella di cui agli articoli 159 e 160 cod. proc. pen. che prevedono nuove ricerche, finalizzate all’adozione del decreto di irreperibilità, nel caso si tratti di prima notifica all’imputato ex art. 157 cod. proc. pen.; quella di cui all’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen., mediante notifica al difensore, qualora vi sia stata dichiarazione ed elezione di domicilio ex art. 161, salvo che l’imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli articoli 157 e 159 cod. proc. pen. stante il fatto che tale soluzione trova conforto nella dizione letterale dell’art. 170, comma 3, cod. proc. pen..

Pertanto, con riguardo al quesito proposto, gli Ermellini formulavano il seguente principio di diritto: «nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell’art. 161, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. il tentativo di notificazione col mezzo della posta, demandato all’ufficio postale ai sensi dell’articolo 170, cod. proc. pen. e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, integra, senza necessità di ulteriori adempimenti, l’ipotesi della notificazione divenuta impossibile e/o della dichiarazione mancante o insufficiente o inidonea di cui all’articolo 161, comma 4, prima parte, cod. proc. pen. In questo caso, di conseguenza, la notificazione va eseguita da parte dell’ufficiale giudiziario, mediante consegna al difensore, salvo che l’imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli articoli 157 e 159, cod. proc. pen.».

Conclusioni

La decisione è assai interessante in quanto, con essa, viene data risposta al seguente quesito: “se, attestata dall’addetto al servizio postale, incaricato della notificazione della citazione a giudizio, la irreperibilità dell’imputato presso il domicilio dichiarato o eletto, sia legittima la notificazione successivamente eseguita mediante consegna al difensore a norma dell’articolo 161, comma 4, cod. proc. pen., ovvero sia necessaria l’osservanza delle modalità ordinarie ai sensi dell’articolo 170, comma 3, cod. proc. pen.”.

A fronte di tale quesito, infatti, le Sezioni Unite, con un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico, ha fornito risposta attraverso la formulazione del seguente principio di diritto: “nel caso di domicilio dichiarato, eletto o determinato ai sensi dell’art. 161, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. il tentativo di notificazione col mezzo della posta, demandato all’ufficio postale ai sensi dell’articolo 170, cod. proc. pen. e non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, integra, senza necessità di ulteriori adempimenti, l’ipotesi della notificazione divenuta impossibile e/o della dichiarazione mancante o insufficiente o inidonea di cui all’articolo 161, comma 4, prima parte, cod. proc. pen. In questo caso, di conseguenza, la notificazione va eseguita da parte dell’ufficiale giudiziario, mediante consegna al difensore, salvo che l’imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli articoli 157 e 159, cod. proc. pen.”.

Pertanto, ove si verifichi una situazione di questo genere, come appena visto, la notificazione va eseguita da parte dell’ufficiale giudiziario, mediante consegna al difensore, salvo che l’imputato, per caso fortuito o forza maggiore, non sia stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, dovendosi in tal caso applicare le disposizioni degli articoli 157 e 159, cod. proc. pen. le quali, come è noto, prevedono rispettivamente quanto segue: “1. Salvo quanto previsto dagli articoli 161 e 162, la prima notificazione all’imputato non detenuto è eseguita mediante consegna di copia alla persona. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa, mediante consegna a una persona che conviva anche temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. 2. Qualora i luoghi indicati nel comma 1 non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l’imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna a una delle predette persone. 3. Il portiere o chi ne fa le veci sottoscrive l’originale dell’atto notificato e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. 4. La copia non può essere consegnata a persona minore degli anni quattordici o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere. 5. L’autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato e risulta o appare probabile che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto notificato. 6. La consegna alla persona convivente, al portiere o a chi ne fa le veci è effettuata in plico chiuso e la relazione di notificazione è effettuata nei modi previsti dall’articolo 148, comma 3. 7. Se le persone indicate nel comma 1 mancano o non sono idonee o si rifiutano di ricevere la copia, si procede nuovamente alla ricerca dell’imputato, tornando nei luoghi indicati nei commi 1 e 2. 8. Se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, l’atto è depositato nella casa del comune dove l’imputato ha l’abitazione, o, in mancanza di questa, del comune dove egli esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Avviso del deposito stesso è affisso alla porta della casa di abitazione dell’imputato ovvero alla porta del luogo dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa. L’ufficiale giudiziario dà inoltre comunicazione all’imputato dell’avvenuto deposito a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. 8-bis. Le notificazioni successive sono eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi dell’articolo 96, mediante consegna ai difensori. Il difensore può dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione. Per le modalità della notificazione si applicano anche le disposizioni previste dall’articolo 148, comma 2-bis”, cod. proc. pen. (così: art. 157 cod. proc. pen.); “1. Se non è possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dall’articolo 157, l’autorità giudiziaria dispone nuove ricerche dell’imputato, particolarmente nel luogo di nascita, dell’ultima residenza anagrafica, dell’ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l’amministrazione carceraria centrale. Qualora le ricerche non diano esito positivo, l’autorità giudiziaria emette decreto di irreperibilità con il quale, dopo avere designato un difensore all’imputato che ne sia privo, ordina che la notificazione sia eseguita mediante consegna di copia al difensore. 2. Le notificazioni in tal modo eseguite sono valide a ogni effetto. L’irreperibile è rappresentato dal difensore” (così: art. 159 cod. proc. pen.).

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica procedurale, non può che essere positivo.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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