Non può sottrarsi alla tutela reale la società che simula con artifizi di occupare un numero di dipendenti inferiore a 15

Redazione 13/12/12
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Lilla Laperuta

In caso di licenziamento, nel computo dei dipendenti occupati ai fini dell’applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 L. 300/1970, devono comprendersi anche i dipendenti che sebbene non risultanti nel libro matricola dell’azienda, bensì in quello di una ditta individuale, prestino, tuttavia, la propria attività per l’azienda (che ha irrogato i provvedimenti espulsivi), stante il regime di commistione fra le due attività produttive. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 22396 del 10 dicembre 2012 a fronte della produzione di documentazione idonea a dimostrare la dedotta fittizietà dei rapporti di lavoro ed il collegamento economico-funzionale fra l’azienda e la ditta individuale. La decisione, nella fattispecie all’esame del giudice di legittimità, è stata dunque quella di respingere il ricorso della società in quanto ha utilizzato in modo esclusivo personale fittiziamente inquadrato presso il vicino distributore di carburanti. Non solo. La Suprema corte ha inoltre chiarito che nel computo dei dipendenti “normalmente” occupati presso la società andava inserito anche un’altra lavoratrice “benché assunta con contratto a termine della durata di tre mesi, perché le mansioni di impiegata da lei svolte non potevano ritenersi legate ad esigenze momentanee e contingenti”. Come già emerso in altre occasioni, la Cassazione nell’individuare l’arco temporale antecedente al licenziamento da prendere in considerazione ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo del criterio della “normale occupazione” non ha fissato un criterio rigido, evidenziando che lo stesso deve essere congruo per durata, avuto riguardo all’attività e alla natura dell’impresa.

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