Non può richiedersi al ‘trasportato’ l’obbligo attivo di imporre all’utente di ottemperare a quanto previsto dai commi 6 e 7 dell’art. 189 cod. strada in ordine all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza

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(Annullamento senza rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. strada, art, 189, c. 6 e c. 7)

Il fatto  

La Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado del Tribunale di Ancona con cui O. A. e P. B. erano stati ritenuti responsabili, in concorso fra loro, dei reati di cui all’art. 189, commi 6^ e 7^ C.d.S. e condannati alla pena ritenuta di giustizia, entrambi con sospensione della patente di guida per anni cinque.

Il fatto era stato così descritto nelle sentenze di merito nei seguenti termini: il giorno 23 novembre 2011, O. A. si trovava, in ora notturna, alla guida dell’autovettura di P. B., trasportato in quell’occasione come passeggero.

L’auto percorreva la strada statale SS 16 nel territorio del comune di M. quando investiva il pedone R. J. D. S., intento ad attraversare, il quale, dopo essere stato caricato sul cofano dell’auto, veniva sbalzato a terra e circa 70 metri dal luogo dell’impatto, riportando lesioni gravissime.

Il conducente ed il passeggero, a loro volta, si allontanavano dal luogo del sinistro senza fermarsi e senza fornire indicazioni sulla propria identità mentre invece posteggiavano l’auto in un parcheggio eliminando il parabrezza frantumatosi e si recavano nelle rispettive abitazioni.

S., dal canto suo, veniva soccorso dal teste oculare B. che chiamava il Pronto intervento e, trasportato in ospedale, in stato di coma, veniva sottoposto a diversi interventi chirurgici.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avvero questo provvedimento proponeva ricorso per cassazione  l’imputato P. B., a mezzo del suo difensore, affidandolo a quattro distinti motivi così formulati: 1) violazione della legge processuale penale, per inosservanza delle norme di cui agli artt. 178, 179 e 604, comma 4 cod. proc. pen., stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza nonché il vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità atteso che la difesa dell’imputato aveva preliminarmente eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dal medesimo rese a S.I.T., il giorno successivo al sinistro, in assenza del proprio difensore mentre dette dichiarazioni, nondimeno, erano state utilizzate dal giudice di primo grado, al fine della ricostruzione del fatto tenuto conto altresì del fatto che il giudice di seconda cura, investito della questione, dopo aver riconosciuto la sussistenza del vizio processuale, non ne aveva tratto le conseguenze imposte dal codice di rito, non aveva cioè dichiarato la nullità della sentenza appellata e dunque, a fronte di ciò, si assumeva come siffatta mancata declaratoria si fosse riverberata sulla sentenza d’appello anch’essa viziata di nullità; 2) violazione della legge penale con riferimento all’art. 189 C.d.S. nonché agli artt. 40 e 43 cod. pen. e 27 Cost. e vizio motivazionale posto che la sentenza impugnata aveva ritenuto P. B. responsabile dei delitti di cui all’art. 189, commi 6 e 7 C.d.S. nonostante egli non si fosse trovato alla guida dell’auto; si sosteneva a tal proposito che le due norme incriminatrici vengono riferite dalla stessa lettera della legge a “chiunque si trovi nelle condizioni di cui al comma 1” e cioè “all’utente della strada” solo per il caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento evidenziandosi al contempo  che l’imputato ricorrente, nell’occasione, era un passeggero ed un suo intervento, per fermare l’auto – di sua proprietà – condotta da O., avrebbe causato ulteriori gravi conseguenze anche perché la strada, in quel frangente percorsa, è strada ad elevata intensità di traffico veicolare; tal che se ne faceva conseguire che attribuire a P. B. l’omissione di soccorso e la mancata di ottemperanza all’obbligo di fermarsi e fornire le proprie generalità, in assenza di qualsivoglia elemento soggettivo, significasse ascrivere al medesimo il reato a titolo di responsabilità altrui; 3) violazione della legge processuale in relazione agli artt. 191, 192 e 431 cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione per avere la corte territoriale tratto elementi di prova dalla querela presentata dalla persona offesa il cui valore processuale era quello di mera condizione di procedibilità sostenendosi pertanto come non vi fossero sussistenti prove a carico dell’imputato stante l’inutilizzabilità sia delle dichiarazioni dal medesimo rese, che degli argomenti di narrazione dei fatti da parte del querelante; 4) inosservanza dell’art. 533, comma 1^ cod. proc. pen., e del principio di divieto di condanna qualora la responsabilità non sia provata ‘al di là di ogni ragionevole dubbio atteso che era stata fornita una credibile versione dell’accaduto secondo la quale il ricorrente si trovava in stato di dormiveglia al momento del sinistro quando, accortosi dell’accaduto, veniva immediatamente rassicurato da O. sul fatto che l’impatto era intervenuto con un animale tanto è vero che, accostata l’auto sul ciglio della strada, i due occupanti avevano verificato dal finestrino che sulla strada non vi fosse nulla; tuttavia, pur a fronte di tale ricostruzione del fatto, osservava il ricorrente, la corte territoriale aveva ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato B. pur dovendo, in assenza di riscontri probatori consistenti, far ricorso al principio dettato dalla disposizione di cui all’art. 533, comma 1 cod. proc. pen..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva accolto alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come dovesse essere preliminarmente affrontata la doglianza relativa alla configurabilità dei reati di cui all’art. 189, commi 6 e 7 C.d.S. a carico di soggetto diverso dal conducente del veicolo trattandosi di una questione che doveva essere risolta attraverso l’esame del significato attribuito dal legislatore ai lemmi utilizzati nel disciplinare la circolazione ‘dei veicoli, dei pedoni e degli animali sulle strade‘ (art. 1 C.d.S.).

Orbene, si evidenziava a tal proposito che la lettura delle disposizioni del titolo V del Codice della strada, relativo alle norme di comportamento, seppure in assenza di definizioni espresse, consente introdurre delle distinzioni fra le diverse categorie atteso che l’art. 140 C.d.S., dettando il principio informatore della circolazione stradale, si rivolge agli utenti della strada ai quali prescrive di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione affinché sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale e pertanto, ad avviso della Corte, da questa disposizione può trarsi l’ovvia considerazione che, in armonia con il significato linguistico comune, l’utente è chiunque utilizzi la strada, ossia colui che ‘attivamente‘ ne fa uso.

Ciò posto, una volta precisato che in siffatta generalissima categoria rientrano sia conducenti di veicoli sia, come chiarisce la lettura dell’art. 184, i conducenti di animali da soma, da sella, i guardiani di greggi o moltitudini di animali, che pedoni anch’essi destinatari, ai sensi dell’art. 190, di specifiche norme di comportamento, se ne faceva discendere che non tutti gli utenti della strada sono conducenti dei veicoli.

Oltre a ciò, si faceva altresì presente che l’art. 189 C.d.S., a sua volta, nel distinguere quattro tipi di figure: l’utente, il conducente, le persone coinvolte in un incidente e le persone danneggiate, rende chiaro, ad avviso della Corte, che fra le persone coinvolte in un incidente possono esservi le persone danneggiate e i conducenti ma non necessariamente i primi rientrano nella categoria dei secondi così come è possibile che in un sinistro siano coinvolte persone diverse dai conducenti e dalle persone danneggiate.

Chiarito questo, gli ermellini, a questo punto della disamina, ritenevano necessario chiarire – per risolvere del quesito posto con il motivo di ricorso – se il soggetto trasportato su un veicolo possa essere definito ‘utente‘ nell’accezione assegnata al termine dal codice della strada o se rientri in una diversa categoria.

Ebbene, per rispondere a questo quesito, si prendeva innanzitutto atto che se è vero che la lettura del secondo comma dell’art. 189, con cui si prescrive il comportamento da tenere alle ‘persone coinvolte’, supera il concetto di soggetto attivo nella circolazione visto che le persone coinvolte non necessariamente sono i conducenti, né i pedoni trattandosi, infatti, di una categoria più ampia di quella dell’utente, cioè di colui che attivamente utilizza la strada, a mezzo di un’attività (condurre o camminare), ben potendo coincidere con colui che viene trasportato dal conducente, è altrettanto vero che il codice della strada solo con l’art. 189, relativo al comportamento in caso di incidente, estende anche coloro che, pur coinvolti, non sono né conducenti, né pedoni, specifiche regole di condotta, e ciò perché il sinistro stradale è proprio quella situazione che giustifica l’imposizione di norme per la circolazione stradale, quale attività pericolosa che coinvolge la sicurezza delle persone e che rientra, come enuncia l’art. 1 del medesimo codice, fra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato; dunque proprio siffatta finalità, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, spiega perché, nell’ipotesi di incidente stradale, il legislatore abbia allargato il novero degli obbligati alla collaborazione.

Detto questo, si enunciava però al contempo che, non essendo prevista dall’art. 189 C.d.S. una parificazione fra tutti i soggetti, poiché, se con il comma 2 si prescrive a tutte le persone coinvolte, e quindi anche ai trasportati, di “porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinché non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità“, agli utenti, categoria richiamata dai commi 5, 6, e 7 della norma, vengono imposti obblighi ulteriori e, cioè, quello di fermarsi (commi 5 e 6, seppur si tratti di condotte diversamente punite a seconda che i danni siano solo alle cose o anche alle persone) e di prestare assistenza alle persone ferite (comma 7).

Tal che se ne faceva conseguire che, proprio dalla differenza fra gli obblighi imposti agli utenti, categoria di cui al comma 1, richiamata dai commi 5, 6, e 7, e quelli imposti dal comma 2 alle persone coinvolte, si trae ad avviso della Corte l’intenzione legislativa di limitare per coloro che rivestano un ruolo non attivo – esclusa quindi la conduzione di un veicolo o comunque l’utilizzazione diretta a mezzo di attività quali l’uso pedonale – ad oneri solidarmente, ma non penalmente rilevanti, l’intervento nel caso di incidente e, dunque, ciò comporta che non possa richiedersi al ‘trasportato‘ l’obbligo attivo di imporre all’utente di ottemperare a quanto previsto dai commi 6 e 7 della norma, in ordine all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza, in quanto soggetto che, non facendo uso attivo della strada, non è nella condizione di assicurare l’adempimento da parte del conducente fermo restando che resta salva l’ipotesi in cui emerga un vero e proprio concorso da parte del trasportato nella commissione dei reati di cui all’art. 189 C.d.S. consistente nella sollecitazione alla violazione delle norme o nel rafforzamento dell’intento di fuga o di omissione di soccorso, od in qualunque altra condotta volontariamente posta in essere che tenda a quel risultato ma ciò dipende dall’azione posta in essere dal trasportato rispetto agli obblighi gravanti sul conducente, e non dagli obblighi di cooperazione, definiti dal comma 2 dell’art. 189 C.d.S., che lo riguardano direttamente.

Fatta questa premessa, era evidente secondo la Corte di Cassazione che, nel caso di specie, mancasse nella sentenza qualsivoglia riferimento alla sussistenza di una condotta dell’imputato di sollecitazione della fuga e dell’omissione di soccorso o di rafforzamento della volontà di fuggire o di omettere di prestare assistenza e ciò, pertanto, induceva gli ermellini a disporre l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla posizione di P. B., per non avere commesso il fatto, rimanendo assorbiti gli altri motivi.

Conclusioni

La sentenza in commento è assai interessante nella parte in cui si postula che non può richiedersi al ‘trasportato‘ l’obbligo attivo di imporre all’utente di ottemperare a quanto previsto dai commi 6 e 7 dell’art. 189 cod. strada in ordine all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza in quanto soggetto che, non facendo uso attivo della strada, non è nella condizione di assicurare l’adempimento da parte del conducente.

La Corte di Cassazione, dunque, afferma che non risponde sic et simpliciter di questi illeciti penali il trasportato fermo restando però che, sempre secondo quanto dedotto in questa pronuncia, costui può rispondere in concorso con il conducente nella commissione dei reati di cui all’art. 189 C.d.S. quando solleciti la violazione delle norme o rafforzi l’intento di fuga o di omissione di soccorso, o ponga in essere qualunque altra condotta volontariamente posta in essere che tenda a quel risultato.

In questa pronuncia, dunque, viene chiarito, da un lato, che il trasportato, solo perché tale, non può rispondere dell’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza che spettano al conducente, dall’altro, che costui non può rimanere sempre esente da responsabilità penale ben potendone rispondere a titolo concorsuale in siffatti casi.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, proprio per la sua funzione chiarificatrice sul tale problematica giuridica, di conseguenza, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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