Nessun rimborso delle spese legali se il dipendente è assolto per depenalizzazione del reato

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La depenalizzazione del reato che abbia determinato la commutazione di una sanzione amministrativa, inibisce al dipendente pubblico di reclamare le spese legali sostenute nel processo penale. Sono queste le indicazioni del TAR per il Lazio (sentenza n.7077/2022) che ha confermato il diniego dell’Amministrazione di appartenenza anche in conformità alle recenti indicazioni contenute nella legge n.178/2020 che, all’art. 1, comma 1018, prevede che il rimborso delle spese legali non è dovuto qualora il ricorrente sia stato assolto a seguito di depenalizzazione.

     Indice

  1. La vicenda
  2. La decisione del TAR

1. La vicenda

A seguito del diniego dell’Amministrazione di appartenenza, della domanda per ottenere il rimborso delle spese di patrocinio legale sostenute nel procedimento penale, un dipendente pubblico ha presentato ricorso al giudice amministrativo. A suo dire l’assoluzione ottenuta con formula piena, per non aver commesso il fatto, avrebbe comportato un illegittimo diniego dell’Avvocatura dello Stato riguardando, il procedimento penale, fatti ricollegabili solo in via occasionale al servizio prestato. Le disposizioni legislative (art. 18, comma 1, del D.L. 67/1997), infatti, prevedono che al dipendente vanno rimborsate le spese legali nei limiti ritenuti congrui dall’Avvocatura delle Stato, essendo di fatto inibita a quest’ultima di entrare nel merito del rimborso. Inoltre, la citata disposizione legislativa porrebbe a fondamento del diritto al rimborso delle spese legali due condizioni: a) i giudizi siano stati promossi, nei confronti dei dipendenti pubblici, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio; b) si siano conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la responsabilità degli stessi.


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2. La decisione del TAR

In via preliminare i giudici amministrativi di primo grado evidenziano come, l’art.18 comma 1 D.L. 25/03/1997, n. 67, abbia previsto che “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”. Avuto riguardo al presupposto della connessione dei fatti contestati con l’espletamento del servizio la giurisprudenza ha ritenuto che “Il rimborso previsto dall’art. 18, comma 1, D.L. n. 67/1997, conv. L. n. 135/1997, si propone di tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse della P.A., dalle spese legali sopportate per i procedimenti giudiziari relativi agli atti strettamente connessi all’espletamento dei compiti istituzionali. La ratio della disposizione è, perciò, quella di tenere indenne il dipendente pubblico dai danni dal medesimo subiti a causa dell’espletamento dei propri compiti, richiamandosi a tal fine pure una certa analogia con le norme dettate dal codice civile per regolare il rapporto di mandato e quindi con l’unico limite che non sussista, in atto, alcun conflitto di interessi tra le posizioni processuali delle parti” (tra le tante: T.A.R. Lazio Latina Sez. I Sent., 24/02/2015, n. 187), ovvero che tale requisito potrà risultare sussistente solo quando sia possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza (rapporto d’immedesimazione organica)” (T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. I, 25/02/2019, n. 193). In modo non diverso la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che, il diritto al rimborso, da parte dell’Amministrazione di appartenenza, delle spese legali sostenute dal dipendente per la propria difesa in giudizio presuppone che non vi sia un conflitto d’interesse con il datore di lavoro, ovvero che le attività poste in essere non siano frutto d’iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà dell’ente pubblico, secondo una valutazione ex ante che prescinde dall’esito del giudizio penale (tra le tante: Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2019 n. 3026; sez. lav.). Nel caso di specie, come correttamente evidenziato dall’Avvocatura, l’accusa mossa al dipendente pubblico non rientra tra le condotte compiute nell’esercizio di un dovere istituzionale attribuito per competenza al dipendente, prima imputato e poi assolto, ma che appaiono più propriamente ascrivibili a un intento di personale arricchimento che si pone, quindi, in evidente conflitto d’interesse con gli interessi del datore di lavoro pubblico.

E’ stata, inoltre, disattesa l’eccezione sollevata dal ricorrente, volta ad affermare che il parere dell’Avvocatura dello Stato deve avere ad oggetto il solo giudizio di congruità delle spese sostenute e non anche gli altri presupposti previsti dalla normativa per il rimborso, rientrando nella competenza dell’Avvocatura anche la pronuncia in ordine alla sussistenza degli altri presupposti, quali evincibili dalla normativa in materia ed elaborati dalla giurisprudenza.

In merito, poi, all’assoluzione reclamata dal dipendente, il Collegio amministrativo si è soffermato sull’assoluzione disposta per depenalizzazione del reato con commutazione in sanzione amministrativa. In altri termini, il fatto è stato accertato nella sua commissione e, tuttavia, non ha determinato l’applicazione della pena per il reato commesso ma di una sanzione amministrativa poiché nelle more lo stesso era stato depenalizzato. Pur se successiva, ma sintomatica del mancato rimborso delle spese sostenute in caso di depenalizzazione del reato, è la legge di bilancio 2021 (legge n.178/2020) che all’art.1, comma 1018, ha disposto che il rimborso delle spese legali sostenute in un procedimento penale non è dovuto qualora il ricorrente sia stato assolto a seguito di depenalizzazione del reato.

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Sentenza collegata

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Vincenzo Giannotti

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