Nel condominio già dotato di tabelle, i nuovi criteri di ripartizione delle spese previsti da un successivo regolamento di natura contrattuale, sulla base di nuovi valori millesimali “a redigersi”, non deve necessariamente interpretarsi come impegno contrattuale a modificare le tabelle già esistenti

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riferimenti normativi: art. 1138 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. I, Sentenza n. 9755 del 04/05/2011

La vicenda

Un condominio era dotato di tabelle millesimali dal 1986. Successivamente (nel 1991), però, i condomini adottavano all’unanimità un regolamento contrattuale (sottoscritto da tutti i condomini e raccolto in atto notarile) che prevedeva nuovi criteri di ripartizione delle spese rispetto a quelli di cui alle tabelle del 1986, subordinandoli, però, a valori millesimali “a redigersi”, nei fatti poi mai redatti. Nell’incertezza sull’operatività o meno delle nuove norme del regolamento, l’assemblea decideva di ripartire solo provvisoriamente l’importo (determinato a seguito di accordo transattivo) dovuto da ciascun condomino all’amministratore uscente, divideva in parti uguali fra i condomini un debito verso l’acquedotto, ripartiva le spese legali secondo le tabelle di proprietà; in ogni caso, deliberava di “interpellare un esperto” per risolvere la questione dell’imputazione delle spese.

Un condomino impugnava tali decisioni, sostenendo che i nuovi criteri di ripartizione delle spese previsti dal regolamento erano operativi, atteso che l’espressione “tabelle a redigersi” non doveva interpretarsi come impegno contrattuale a modificare le tabelle già esistenti, trattandosi di mero errore materiale. Secondo l’attore, invece, bisognava applicare i nuovi criteri servendosi delle “vecchie” tabelle del 1986. Il Tribunale prima e la Corte d’Appello dopo respingevano la domanda; in particolare, secondo i giudici di secondo grado si dovevano disapplicare i nuovi criteri di ripartizione delle spese condominiali dettati dal regolamento contrattuale del 1991 fino all’approvazione delle nuove tabelle millesimali; inoltre la ripartizione provvisoria delle spese si poteva giustificare per l’assoluta incertezza correlata all’inoperatività del regolamento e per le “contrastate” decisioni sulla ripartizione delle spese adottate dagli amministratori.

Il condomino decideva di ricorrere in cassazione, evidenziando come molte norme del regolamento presupponessero l’applicazione immediata dei nuovi criteri di ripartizione delle spese.

La questione

Nel condominio, già dotato di tabelle, i nuovi criteri di ripartizione delle spese previsti da un successivo regolamento di natura contrattuale sulla base nuovi valori millesimali “a redigersi” deve necessariamente interpretarsi come impegno contrattuale a modificare le tabelle già esistenti o è necessario valutare lo scopo pratico che i condomini hanno voluto realizzare con l’approvazione delle norme regolamentari?

La soluzione

La Cassazione ha dato pienamente ragione al condomino-ricorrente.

Secondo i giudici supremi l’interpretazione prescelta dalla Corte d’appello non è condivisibile per violazione dei canoni di ermeneutica ex art. 1362 e 1363 c.c.; in particolare, la Cassazione ha sottolineato come i giudici di secondo grado erroneamente si siano limitati ad individuare il significato lessicale dell’espressione “tabelle a redigere”, adoperata nel testo negoziale al fine di ricostruire l’intenzione comune dei condomini. Per i giudici supremi, invece, era necessaria un’interpretazione c.d. “sistematica” o complessiva dell’atto di cui all’art. 1363 c.c., la quale avrebbe condotto ad un diverso plausibile risultato ermeneutico.

LE RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Merita di essere ricordato che un regolamento condominiale (come quello della vicenda esaminata) si compone di previsioni per la lettura delle quali si applicano le norme introdotte dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile, cioè si applicano i criteri interpretativi previsti per il contratto.

Per capire gli obiettivi della collettività condominiale, quindi, può bastare il senso letterale delle espressioni usate, se rivelino, però, con chiarezza ed univocità la comune volontà dei condomini.

Infatti, l’art. 1362 c.c., allorché nel comma 1 prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile; quando le espressioni letterali del contratto, però, non sono chiare, precise ed univoche, si deve ricordare che concorre con l’art. 1362 c.c. il criterio di cui all’art. 1363 c.c.; di conseguenza bisogna aver riguardo in primo luogo allo scopo pratico che le parti hanno inteso realizzare con la stipulazione del contratto e, comunque, interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, nonché dal comportamento tenuto dalle parti anche dopo la conclusione dello stesso. Nel caso in questione il reale contenuto del regolamento del 1991 poteva dar luogo esso stesso ad una convenzione sui criteri di riparto delle spese immediatamente operante in base alle carature millesimali esistenti dal 1986, e ciò alla stregua della portata delle altre clausole regolamentari ignorate dai giudici di secondo grado.

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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