Mercati e Regole Le placche tettoniche del mercato globale

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Le recenti notizie sulle difficoltà incontrate da gruppi stranieri, in particolare spagnoli, nelle acquisizioni presso altri Stati della Comunità porta ad alcune riflessioni sul rapporto concorrenza e regolamentazione.
         Si parla frequentemente di “fallimento del mercato” a seguito di una concorrenza imperfetta non in grado di garantire il massimo benessere sociale, questo con particolare riferimento all’esistenza di imprese aventi potere di monopolio naturale per la presenza di costi fissi molto elevati ed anche nel caso in cui il monopolio riguardi più semplicemente l’informazione commerciale, in particolare l’asimmetria informativa tra produttori e consumatori sulla qualità del prodotto.
         Quanto sopra esposto giustifica l’intervento pubblico sia come “arbitro” neutrale tra imprese e consumatori nella ricerca di un accordo tra privati di cui il pubblico funga da garante, sia come portatore di un interesse comune che conduca ad una soluzione socialmente ottima quale sintesi tra gli interessi in conflitto.
         In entrambe le ipotesi si avranno dei costi di gestione e di controllo che ricadranno sul pubblico erario, oltre alle possibili distorsioni che potranno introdursi nell’attività di impresa.
         La scuola di Chicago facendo leva su quest’ultimo aspetto ha introdotto la c.d. “teoria della cattura”, secondo la quale l’intervento pubblico è inefficace in quanto le imprese sebbene formalmente disciplinate in realtà sono in grado di condizionare gli organi di politica industriale, riducendo di fatto l’estensione degli interventi se non addirittura di piegarli per fini impropri quali la protezione del mercato dall’intervento di terzi rivali.
         Il fallimento del mercato si realizza in presenza di uno o più dei seguenti fattori:
 
·        Esternalità – i costi di produzione vengono proiettati all’esterno sugli altri agenti economici o sulla collettività senza essere mediati dal sistema di mercato;
 
·        Beni pubblici – esistenza di beni che non possono essere affidati alle scelte dei singoli individui (es. difesa);
 
·        Monopolio – uso distorto delle risorse per mercati imperfetti;
 
·        Assenza di mercati – impossibilità per motivi vari di assicurare ciò che si vuole o di vendere a termine;
 
·        Rendimenti crescenti nella produzione – in presenza di costi marginali decrescenti le imprese non hanno incentivi a eguagliare i prezzi ai costi marginali con un conseguente livello di produzione differente dall’ottimo paretiano.
 
 
D’altronde l’intervento pubblico è menomato nella sua efficienza dall’impossibilità di conoscere le vere preferenze dei singoli individui, l’effettivo valore dell’esternalità di produzione e dai costi di un apparato pubblico di dimensioni adeguate alle necessità dell’intervento regolatore e di produzione previsto, si può pertanto arrivare a prospettare un “fallimento” anche del pubblico.
Nella necessità di raggiungere un equilibrio, comunque sempre variabile, tra laissez faire e interventismo keynesiano si è inserita in questi ultimi decenni la potente globalizzazione anche economica in atto, circostanza che in termini ridotti si era già prodotta nei decenni a cavallo della metà dell’800, con conseguenti vantaggi ma anche possibili contraccolpi sia nelle economie in via di sviluppo che in quelle avanzate.
   Nasce di fatto un problema di regolamentazione dei mercati, questi risultano efficienti solo in presenza di omogeneità delle regole concorrenziali tali da impedire rendimenti crescenti nella produzione per ridotti costi del fattore lavoro ed esternalizzazione dei costi ambientali.
   Il risultato di una tale distorsione del mercato è l’abbattimento della qualità di vita sia nell’ambiente di lavoro che all’esterno dell’impresa, si deve pertanto evitare di parlare di un unico mercato globalizzato ma di aree entro cui vivono regole espressioni di qualità di vita diverse.
   Vi è pertanto l’obbligo dello Stato di impedire la perdita dei diritti fondamentali della persona, quali la salute, in una competizione al ribasso, trattandosi in realtà di concorrenza sleale che accentua le differenze sociali quale risultato di una malsana competizione. Lo scontro è tra regole di mercato differenti tra aree culturali ed economiche diverse, si tratta di imporre le proprie regole di mercato o subire quelle altrui con la conseguente colonizzazione.
   In questo autentico scontro economico si inseriscono le tensioni all’interno della Comunità Europea, quale tentativo di ciascuno Stato membro di mantenere il controllo nel proprio territorio delle maggiori attività economiche al fine di evitare lo spostamento dei baricentri settoriali con la conseguente perdita dei posti nonché della capacità di gestione e influenza strategica.
   La dialettica in atto è legittima, se solo si pensa a quello che vuol dire per un’area territoriale il suo impoverimento, in realtà si tratta di mediare gli interessi contrapposti di cui solo il pubblico con tutti i suoi difetti può essere artefice, questo anche per impedire che nella dialettica interna vengano compromesse le capacità di crescita e conseguente resistenza nel conflitto in atto tra visioni economiche diverse nelle varie placche tettoniche del mercato globale.      

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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