Matrimonio, sesso ed evoluzione nel tempo: dal ripudio per rifiuto all’assenza di obblighi

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Secondo la Suprema Corte di Cassazione il diritto dei rapporti sessuali tra i coniugi non esiste.

In epoche passate si aspettava il matrimonio per andare a letto con la moglie, ed era accettato a livello sociale il fatto che, in presenza di un rifiuto ingiustificato da parte della donna, il marito la  potesse ripudiare.

Nonostante quei tempi siano passati resta ancora qualche residuo di una concezione legata al fatto che i rapporti sessuali tra i coniugi possano rappresentare un dovere.

 In tema di “nullità del matrimonio”, se lo stesso non viene consumato, il giudice ne potrà cancellare ogni effetto senza neanche bisogno di previa separazione (Cass. sent. n. 1729/15 del 29/01/2015).

Come se la coppia non si fosse mai sposata, e questo significa niente assegno di mantenimento.

Oltre a questo c’è il dovere di prestarsi “reciproca assistenza morale e materiale” imposto dal codice civile, dove, secondo la giurisprudenza, è compreso anche il sesso.

Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. sent. n. 17676/19 del 29/04/2019) è ritornata sull’argomento chiedendosi se esiste il diritto ai rapporti sessuali tra coniugi, e  che cosa si possa fare davanti  a un rifiuto della moglie o del marito e altre questioni simili.

Sono domande sempre attuali, anche se di solito non trovano ampia discussione sociale, a causa dell’imbarazzo che si prova nel rivelare simili confidenze.

Da quando esiste internet sono nati numerosi forum dove la questione viene trattata in diversi modi.

Molte mogli o mariti si chiedono che cosa rischiano se rifiutano di avere una vira intima con il coniuge.

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I rapporti sessuali in una coppia sposata

Non esiste nessuna norma che regoli la frequenza dei rapporti sessuali nel matrimonio, e non vengono mai menzionati tra i diritti e doveri dei coniugi.

Potrebbe sembrare strano, visto che la legge disciplina ogni aspetto della vita quotidiana.

Spesso si parla di un eccesso di “normazione” in relazione alla mole di disposizioni che regolano l’esistenza dei cittadini, e ci si può chiedere perché i rapporti sessuali non vengano menzionati. Forse per pudore del legislatore che ha scritto il diritto di famiglia nel 1942, data alla quale risale l’attuale codice civile.

Nel documento normativo non esiste nessun articolo che menzioni il diritto a fare sesso, e la giurisprudenza spesso ricorre all’analogia.

Secondo numerose sentenze, se non ci sono motivi che lo giustifichino, è illegittimo, il rifiuto di rapporti sessuali, perché il dovere morale, che il codice civile prevede in modo esplicito, consiste nel soddisfare le reciproche necessità, che non sono esclusivamente economiche ma anche fisiche.

Il rifiuto di avere rapporti sessuali per la legge rappresenta la manifestazione di una volontà  che dichiara di non avere intenzione di adempiere a un dovere coniugale.

La questione è più grave quando nella maggioranza dei casi si inizia a rifiutare di avere rapporti sessuali con il coniuge, arrivando a rifiutare la persona nel complesso, ferendola a livello psicologico e soprattutto negli affetti.

In relazione alla frequenza dei rapporti stessi, bisogna affidarsi al buon senso e a una “normale” vita sessuale che, in ambito matrimoniale, potrebbe anche essere più o meno intensa o assente, purché ci sia sempre il consenso di entrambi i coniugi.

Le questioni nascono quando il consenso non si trova e uno dei due è soggetto a pulsioni che l’altro non ha.

In simili circostanze si deve trovare un compromesso per non cadere in due rischiosi eccessi.

Chi vuole avere per forza i rapporti sessuali deve stare attento a non commettere il reato di violenza sessuale, mentre dal lato opposto, c’è il rischio, per chi si vuole sottrarre, di subire il cosiddetto addebito e di perdere il diritto al mantenimento.

In simili casi si riscorre alla sentenza della Cassazione menzionata all’inizio.

Se la moglie vine intimidita per accettare il rapporto sessuale è violenza.

Ad esempio:

Una moglie accetta il rapporto sessuale chiesto con insistenza dal marito, brusco e violento, e lo fa perché ha paura di conseguenze peggiori, magari essere lasciata o essere picchiata.

In queste ipotesi si configura lo stesso il reato di violenza sessuale.

La Suprema Corte di Cassazione, in questa occasione, sembra cambiare parere rispetto al passato e avverte che non esiste un diritto all’amplesso in relazione al rapporto coniugale o paraconiugale e non si può imporre o esigere una prestazione senza il consenso del partner. 

Se la moglie non vuole il marito non si può imporre.

Se negare i rapporti sessuali rappresenta un comportamento costante, non occasionale e privo di validi motivi, il marito può chiedere la separazione con addebito a carico della moglie “fredda”.

Non scatta nessun addebito se lei si rifiuta di fare l’amore quando ci sono altre cause per le quali i due coniugi si sono allontanati.

Se la coppia era in crisi se ne si prende atto e si procede alla separazione senza colpe.

Nel caso deciso dalla Corte, tra i due coniugi non c’era più accordo e c’era tra loro un rapporto di estrema conflittualità anche dipeso dalla perdita del lavoro da parte dell’imputato e del consumo di alcol.

La Cassazione ha ricordato che integra il reato di violenza sessuale nella forma “per costrizione” qualunque forma di costrizione psico – fisica che incida sulla libertà di autodeterminazione altrui, compresa l’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare l’obbligo della vittima a subire gli atti sessuali.

Non rileva l’esistenza di un rapporto coniugale o para coniugale, e non esiste nel rapporto un diritto all’amplesso, né di conseguenza il potere di imporre o esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner.

La Corte conclude sostenendo:

“Non esclude l’esistenza del crimine il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali”.

Ci sono stati altri casi nei quali la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che la violenza potesse essere stata espressa in modo tacito.

 

 

 

 

Dott.ssa Concas Alessandra

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