Mancata nomina interprete: conseguenze sugli atti

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In tema di ricezione di denuncia orale e di successiva ricognizione fotografica della persona offesa di nazionalità straniera, la mancata nomina di un interprete non è causa di inutilizzabilità né di nullità degli atti medesimi

Corte di Cassazione -sez. II pen.- sentenza n.5658 del 10-01-2023

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Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza del Tribunale della medesima città con cui l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia in ordine al delitto di concorso in rapina aggravata (commessa da più persone riunite), con l’equivalenza delle attenuanti generiche.
Ciò posto, avverso questo provvedimento la difesa dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi addotti, costui deduceva nullità della sentenza per inosservanza e/o erronea applicazione delle garanzie procedurali nell’acquisizione degli atti predibattimentali ex art. 512 cod. proc. pen. dal momento che era stata acquisita una querela sporta dal cittadino straniero che non parlava e comprendeva la lingua italiana, non coadiuvato da un interprete nel corso della presentazione della denuncia-querela, essendo tale funzione stata informalmente svolta da un conoscente il quale, a sua volta, al dibattimento era stato assistito da un interprete sul rilievo che non comprendeva e parlava la lingua italiana.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato manifestatamente infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in “tema di ricezione di denuncia orale e di successiva ricognizione fotografica della persona offesa di nazionalità straniera, la mancata nomina di un interprete, trattandosi di dichiarazioni e atti compiuti da persona diversa dall’imputato, non è causa di inutilizzabilità né di nullità degli atti medesimi (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittimamente utilizzabili, a seguito di lettura dibattimentale per sopravvenuta e impossibilità di ripetizione, la denuncia della persona offesa e la ricognizione fotografica effettuata da straniera assistita da connazionale, capace di esprimersi in lingua italiana” (Cass. pen., sez. f., 13/09/2002, n. 38508; in senso conforme, Sez. 5, n. 17967 del 22/01/2013).

3. Conclusioni

La decisione in esame, ad avviso di chi scrive, non è condivisibile.
Fermo restando che, successivamente alla giurisprudenza richiamata nella decisione qui in commento, per effetto dell’art. 1 del d.lgs., 15/12/2015, n. 212, il legislatore, per effetto del “nuovo” art. 143-bis cod. proc. pen., riconosce che, oltre all’imputato (come già preveduto dall’art. 143 cod. proc. pen.), anche in altri casi il diritto all’interprete e, segnatamente, anche “quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana” (così: l’art. 143-bis, co.1, primo periodo, cod. proc. pen.).
In questo caso, quindi, anche se, ad onor del vero, chi scrive non può sapere se i fatti in questione risalissero a prima o dopo l’entrata in vigore di questa normativa, assumendo per ipotesi che ciò sia avvenuto dopo il 2015, ben si sarebbe dovuto procedere alla nomina di un interprete nel caso di specie.
Del resto, anche a voler concedere che queste dichiarazioni siano state rese in epoca antecedente al 2015, pur trattandosi di dichiarazioni e atti compiuti da persona diversa dall’imputato, la sua acquisizione negli atti predibattimentali ex art. 512 cod. proc. pen., senza che si fosse verificato che nella querela fosse riportato correttamente quanto contestato dal querelante, non poteva che comportare una evidente violazione del diritto dell’imputato ad essere giudicato sulla base di prove correttamente acquisite a suo carico.
Ad ogni modo, la giurisprudenza richiamata in questa decisione, alla luce di quanto adesso preveduto dall’art. 143-bis cod. proc. pen., ad avviso di colui che scrive, si ritiene ormai superata e ci si auspica la formazione di un diverso orientamento nomofilattico per il futuro, più favorevole per l’imputato.

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