Spetta all’interprete individuare degli indicatori di normalità economica entro i quali possa escludersi che il tasso di mora in rapporto al tasso soglia sia da ritenersi usurario

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Il Tribunale di Monza con la sentenza n. 3083 del 15.12.2015, estensore dott. Davide De Giorgio, si è occupato di una serie di domande proposte dal cliente nei confronti della banca (accertamento negativo del credito, accertamento della nullità della clausola di determinazione degli interessi;  risoluzione del contratto; ripetizione di indebito, con eventuale compensazione del dovuto a tale titolo con il debito residuo per la restituzione del capitale,risarcimento dei danni derivanti dalla originaria pattuizione di interessi usurari).

Il Tribunale si è espresso in modo favorevole per la banca,  ma è sulla domanda in materia di usurarietà del tasso di mora in rapporto al tasso-soglia, che ha offerto una soluzione originale, fondata sull’applicazione in via interpretativa dei principi di ragionevolezza e equità.

L’attore ha documentato che il tasso soglia vigente nel trimestre in cui il contratto era stato concluso per i mutui era pari all’8,73%, che dall’esame del contratto prodotto  il tasso degli interessi convenzionali pattuito era pari al 4,75%, mentre il tasso degli interessi moratori era pari al 9,80%, superiore quindi al tasso soglia.

In virtù di tanto il giudice ha ritenuto superflua ogni ulteriore verifica mediante accertamenti peritali ed ha operato una ricostruzione della questione sotto il profilo giuridico.

In particolare ha osservato che la disciplina degli interessi moratori si rinviene nell’art. 1224 c.c. che riguarda i danni nelle obbligazioni pecuniarie.

L’ultimo comma dell’articolo innanzi menzionato prevede quanto segue: “Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore (rispetto agli interessi moratori nella misura determinata dalla legge: n.d.e.) spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori”.

Quindi, secondo il Tribunale di Monza, è evidente che nella determinazione degli interessi di mora vi sia una componente risarcitoria che impedisce di trattare gli stessi nel medesimo modo degli interessi corrispettivi, che hanno diversa natura;  inoltre, gli interessi moratori risultano espressamente esclusi dalle rilevazioni della Banca d’Italia ai fini della determinazione dei tassi medi.

La Banca d’Italia nei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013, ha  specificato che “l’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo” in quanto “essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela”.

Sempre nello stesso documento si legge quanto segue: “In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.

Quindi, mancando una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.

Secondo il Tribunale di Monza tali considerazioni, anche se sono condivisibili nel loro intento di contemperare le opposte esigenze di parametrare il tasso di mora in misura diversa rispetto al tasso degli interessi corrispettivi ed al contempo stabilire un tetto massimo rispetto ad un eccessivo innalzamento del primo rispetto al secondo, incontrano tuttavia il limite consistente nel fatto che si tratta pur sempre di determinazione non ufficiale, per giunta avvenuta una volta per tutte e dunque non oggetto di rilevazione periodica.

In questo prospetto si inserisce l’orientamento interpretativo degli Ermellini (cfr.: Cass., Sez. 1, sentenza n. 350 in data 9 gennaio 2013), in base al quale “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”; Cass., n. 5324/2003)”.

Il giudice pur  condividendo in linea di principio il su citato orientamento, ritiene che comunque il tasso soglia rilevato dalla Banca d’Italia si riferisce ai soli interessi corrispettivi connessi all’erogazione del credito e che il tasso di mora, pur dovendo essere contenuto in una misura ragionevole onde non divenire esso stesso usurario, risulta, secondo la normale esperienza, di entità superiore rispetto ai primi.

Ne consegue che, in assenza di un dato normativo univoco, spetta all’interprete individuare degli indicatori di normalità economica entro i quali possa escludersi che il tasso in questione sia da ritenersi usurario.

Ebbene, nonostante quanto su menzionato, si deve ritenere che l’aumento del 2,1% rispetto al tasso soglia stabilito per gli interessi corrispettivi sia idoneo ad individuare un indicatore ragionevole di assenza del carattere usurario in relazione al tasso di mora, ciò anche per un’epoca, quale il secondo trimestre del 2000, in cui lo studio della Banca d’Italia su indicato non era stato ancora svolto.

Se poi, secondo il Tribunale di Monza, si opera un confronto tra il tasso di mora pattuito in concreto dalle parti (9,80%) con quello dell’epoca relativo agli interessi corrispettivi (8,73%), si può può agevolmente verificare che la discrepanza in eccesso tra gli stessi è pari all’1,07%, vale a dire a circa la metà dello spread individuato successivamente dalla Banca d’Italia.

Il giudice ha osservato che allo scopo di ottenere un conforto anche normativo in ordine alle conclusioni di cui sopra, si deve sottolineare che solo due anni dopo la stipula del mutuo de quo, il legislatore, con il Decreto Legislativo n. 231del 2002, ha determinato il tasso di mora relativo alle transazioni commerciali per l’ultima parte dell’anno 2002 addirittura nella percentuale del 10,35%.

Da ciò discende secondo il Tribunale di Monza che il tasso pattuito dalle parti non può essere ritenuto usurario, dal che consegue ulteriormente il rigetto della domanda in esame.

Sentenza collegata

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Avv. De Luca Maria Teresa

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