Nella malpractice medica la perdita di chance non è risarcibile se non è dimostrabile empiricamente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la malpractice medica
Gli attori avevano agito in giudizio nei confronti di un ospedale, chiedendo il risarcimento dei danni subiti personalmente per la perdita del rapporto parentale nonché quelli loro trasmessi per via ereditaria dal congiunto defunto, a causa del decesso di un paziente dell’ospedale.
In particolare, secondo gli attori, nonostante il proprio familiare si fosse recato presso la struttura sanitaria in codice giallo con dei sintomi che avrebbero dovuto portare i sanitari a disporre degli accertamenti specifici, i sanitari avevano omesso di effettuare l’ecocardiogramma e la valutazione cardiologica ed eventuale angioplastica in urgenza. Inoltre, la struttura sanitaria aveva tenuto la cartella clinica in maniera molto lacunosa, mancando il referto degli esami del sangue per la determinazione degli enzimi miocardici.
Secondo gli attori, le predette omissioni dei sanitari dell’ospedale avevano impedito al proprio familiare di poter beneficiare dell’angioplastica, che avrebbe consentito di rimuovere il trombo coronarico. Invece, nel frattempo il paziente era deceduto per improvvisa dispnea ingravescente.
Secondo gli attori, quindi, la mancata effettuazione dell’angioplastica aveva pregiudicato le possibilità di ulteriore sopravvivenza del paziente: nello specifico, ritenevano sussistente una perdita di chance di sopravvivenza pari al 25%.
A conferma della predetta ricostruzione, gli attori si riportavano alle conclusioni che avevano tratto i periti nominati dal Tribunale nel giudizio per ATP che aveva preceduto la causa di merito.
La struttura sanitaria si costituiva nel giudizio chiedendo il rigetto della domanda, sostenendo che – per quanto qui di interesse – il trattamento diagnostico e terapeutico effettuato sul paziente era stato corretto e che il decesso si era verificato per un improvviso arresto cardiorespiratorio associato a dissociazione elettromeccanica in un paziente che si trovava già in condizioni compromesse.
Secondo la struttura sanitaria, infatti, dalla CTU invocata anche dagli attori era emerso che non era possibile esprimersi sulla causa del decesso, né formulare un giudizio controfattuale secondo cui la tempestiva effettuazione dell’angioplastica avrebbe evitato l’evento fatale. Pertanto, posto che la causa della morte era imputabile ad un imprevedibile aggravamento delle condizioni del paziente, non era possibile rinvenire alcuna colpa dei sanitari e dell’ospedale. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale: perdita di chance
Per quanto qui di interesse, con riferimento al merito della domanda attorea, il Tribunale di Viterbo ha rigettato la richiesta risarcitoria di parte attrice, ritenendola infondata in fatto e in diritto.
Secondo il giudice, l’accettazione di un paziente all’interno di una struttura sanitaria finalizzato alla sua sottoposizione ad un intervento medico chirurgico, comporta la formazione di un contratto atipico a prestazioni corrispettive tra dette parti (il c.d. contratto di spedalità). Pertanto, in virtù di detto contratto, gli eredi del paziente, qualora questi sia deceduto per l’esito infausto dell’intervento, hanno la possibilità di agire in giudizio contro la struttura sanitaria per chiedere il risarcimento del danno: ciò significa che la struttura sanitaria ha la legittimazione passiva a stare in giudizio.
Ciò precisato, il giudice ha esaminato la tipologia di danno invocato dagli attori.
Nello specifico, i familiari del paziente deceduto hanno sostenuto che la condotta omissiva dei sanitari ha determinato una perdita di chance di sopravvivenza per il paziente.
Secondo il giudice la possibilità di vivere più a lungo è un evento di danno che può legittimare la richiesta di risarcimento nel caso in cui non si tratti di una mera ipotesi o speranza di sopravvivere più a lungo. Tale evento di danno, inoltre, si distingue dal danno da premorienza, che invece si configura quanto il paziente ha effettivamente vissuto meno di quanto avrebbe potuto a causa della condotta del danneggiante.
Tuttavia, la perdita di chance può essere risarcita soltanto quando sia stata raggiunta una soglia di certezza rispetto alla concreta possibilità di godere di un ulteriore segmento di vita.
In secondo luogo, tale concreta possibilità di vivere ulteriormente deve essere venuta meno a causa dell’errore diagnostico o terapeutico del sanitario: deve quindi sussistere il nesso di causalità con la condotta.
In altri termini, deve risultare certo che la condotta colpevole del sanitario abbia determinato la perdita della possibilità di ottenere un risultato migliore in termini di possibile ulteriore sopravvivenza.
Infine, la possibilità di sopravvivenza per un ulteriore lasso temporale deve essere seria, concreta e apprezzabile.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che mancasse la certezza del nesso di causalità tra l’errore terapeutico / diagnostico posto in essere dai sanitari dell’ospedale e la possibilità che il paziente godesse di un ulteriore segmento di vita nonché la serietà, l’apprezzabilità e la concretezza della possibilità di ulteriore sopravvivenza.
Infatti, secondo quanto emerso dalla relazione dei CTU svolta in sede di ATP, è emersa una situazione di incertezza per quanto concerne il nesso di causalità.
In particolare, i periti hanno ritenuto che i reperti esaminati non hanno permesso di determinare se la causa del decesso sia dipesa dalla completa ostruzione trombotica della coronaria oppure da un disturbo elettrico correlato alla progressione dell’infarto. Tale incertezza impedisce di poter configurare, secondo il criterio del più probabile che non, la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta omissiva dei sanitari e l’evento infausto. Ciò in quanto, soltanto nel caso in cui la causa del decesso fosse stata l’ostruzione trombotica, l’angioplastica coronarica avrebbe potuto evitare il decesso del paziente. Invece, nel caso in cui la causa del decesso fosse stato il disturbo elettrico, l’angioplastica avrebbe avuto molte meno possibilità di successo.
In conclusione, nella relazione depositata in sede di ATP, il CTU, pur avendo stimato una possibilità di ulteriore sopravvivenza del paziente (con l’effettuazione dell’angioplastica) pari al 25%, ha precisato che non è possibile dimostrare scientificamente tale percentuale e che la stessa è solo orientativa.
Pertanto, secondo il giudice, le conclusioni del CTU non consentono né di accertare la sussistenza del nesso di causalità fra l’omissione dei sanitari dedotta dagli attori (cioè la mancata effettuazione dell’angioplastica) e il decesso del paziente; né di individuare una seria, apprezzabile e concreta possibilità di vivere più a lungo per il paziente, nel caso in cui fosse stato fatto tempestivamente detto intervento omesso, in quanto la chance è orientativa e non stimabile empiricamente.
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