L’opposizione ad ingiunzione di pagamento ex art.645 C.P.C. ed il criterio di imputazione del pagamento degli interessi di cui all’art.1194 C.C.

Redazione 21/03/05
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Di Adele Quaranta

L’opposizione ad ingiunzione di pagamento ex art.645 C.P.C. ed il criterio di imputazione del pagamento degli interessi di cui all’art.1194 C.C.

Con atto di citazione, notificato in data 02.03.2004, la Soc. Alfa corrente in Taranto, rappresentata e difesa dall’Avv. Caio, traeva in giudizio ex art. 645 C.P.C., innanzi il Giudice di Pace di Grottaglie, il sig. Sempronio affinché fosse dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo (n.13/04) – emesso in data 10.02.2004 dalla stessa Autorità Giudiziaria ed a mezzo del quale si ingiungeva alla società il pagamento dell’importo di € 581,00 oltre gli interessi legali e le spese del procedimento ingiuntivo – nonché la sua revoca. Chiedeva, inoltre, la condanna alle spese, diritti ed onorari del giudizio.
In particolare, la società attrice deduceva che il decreto ingiuntivo – oggetto del giudizio di opposizione – era stato emesso sul presupposto dell’esistenza di un credito che, invece, l’opponente sosteneva essere stato già corrisposto in favore del creditore Sempronio. In particolare, l’estinzione dell’obbligazione sarebbe avvenuta anteriormente alla notifica dell’ingiunzione de qua e, in ogni caso, alcun atto di messa in mora era stato notificato.
Si costituiva in giudizio – per mezzo di comparsa di risposta e con il procuratore – il creditore Sempronio, il quale impugnava e contestava le avverse ragioni.
Invero, la parte opposta riconosceva di aver ricevuto l’importo di € 540,00 a mezzo bonifico del 12.12.2004, con valuta al 15.02.2004 e riscosso il 17.02.2004 ma chiedeva gli interessi dall’08.05.2003 al soddisfo; avanzava pertanto le seguenti richieste:
rigettare la domanda attrice così come proposta; perché infondata in fatto e in diritto;
dare atto dell’avvenuto pagamento della sola sorte capitale portata dalla fattura n.64/2004 e condannare l’opponente al pagamento degli interessi su € 540,00 dall’08.05.2003 al soddisfo delle spese di autentica e della proceduta monitoria così come liquidate dal Giudice di Pace di Grottaglie e relativi interessi;
con vittoria di spese, diritti ed onorari della causa pendente.
Il Giudice Adito – definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta ai sensi dell’art.645 C.P.C. con sentenza n.041/05 del 09.02.2005, depositata in Cancelleria in data 16.02.2005 – così statuiva:
revocava l’opposto decreto ingiuntivo in ogni sua parte;
dichiarava l’opponente tenuto a corrispondere al creditore Sempronio gli interessi nella misura legale relativamente al periodo 08.05.2003- 17.02.2004;
compensava interamente le spese del giudizio tra le parti, ricorrendo giusti motivi di equità.
In particolare, il magistrato poneva a fondamento della sua decisione la motivazione secondo la quale il decreto ingiuntivo opposto doveva essere revocato in ogni sua parte, con riguardo al capitale ed alle spese nello stesso specificate e liquidate, perché la somma capitale – nella misura di € 540,00 – era stata effettivamente versata al creditore anteriormente alla notifica della medesima ingiunzione, com’era dato evincere dall’istruttoria processuale.
La società Alfa avrebbe dovuto, in effetti, corrispondere anche gli interessi, nella misura legale, con decorrenza dall’08.05.2003, in cui era emessa la fattura, alla data del 17.02.2004 nella quale l’opponente aveva riscosso l’importo spettategli. Ciò in quanto, trattandosi di obbligazione pecuniaria ex contracto di compravendita, la società Alfa avrebbe dovuto far seguire il pagamento alla traditio del bene ricevuto, oggetto del contratto. Stando così le cose, essendo la solutio avvenuta tardivamente, appariva giusto che il capitale fosse maggiorato degli interessi relativi soltanto al periodo suindicato.

Commento.
E’ ormai consolidato, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza (vedi: Cass. Civ. 28.01.1985 n.485; Cass. Civ. 23.10.1990 n.10280; Cass. Civ. 01.12.2000 n.15339), l’orientamento secondo cui il giudizio di opposizione, previsto e disciplinato nell’art. 645 C.P.C., dà luogo ad un vero e proprio procedimento ordinario di cognizione, il quale – sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio – investe il giudice adito del potere-dovere di accertare non solo la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e validità del procedimento monitorio, ma altresì la fondatezza della pretesa creditoria fatta valere col decreto ingiuntivo, nel pieno rispetto del contraddittorio tra le parti. Ne deriva che l’opposizione a decreto ingiuntivo – assurgendo a naturale ed ulteriore sviluppo del procedimento sommario di ingiunzione nel quale, ad un’invertita posizione processuale delle parti, corrisponde un’invariata situazione sostanziale delle stesse – non presenta alcun’autonomia rispetto al giudizio monitorio. (In dottrina: Garbagnati, Il procedimento di ingiunzione, Pajardi, Il procedimento monitorio. In giurisprudenza: Cass. 11.01.1989 n.63; Cass. 07.04.1987 n.3355).
In particolare, nel giudizio di opposizione condicio sine qua non della conferma o dell’eventuale revoca del decreto ingiuntivo è la piena cognizione circa l’esistenza e la validità del diritto di credito azionato; nel procedimento per ingiunzione la fase monitoria e quella di opposizione rientrano in un unico processo tanto che l’onere delle spese è regolato in base all’esito finale del giudizio di opposizione ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento (Cass. Civ., 17.06.1999 n.5984).

Sulla base delle premesse esposte, relative alla natura dell’opposizione al decreto ingiuntivo ed al rapporto con il procedimento monitorio che ne costituisce il necessario antecedente – si evidenzia la confutabilità della decisione del Giudice di Pace di Grottaglie oggetto del commento
Nulla quaestio sui motivi in ragione dei quali il magistrato disponeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Invero la spontanea – anche se tardiva – corresponsione della somma, oggetto del credito, dalla società debitrice al proprio avente diritto, rappresenta una vera e propria solutio giuridicamente rilevante nel rapporto sostanziale credito-debito intercorrente tra le parti processuali, nonché la causa del venir meno dell’ontologico presupposto materiale dell’ingiunzione (alias, un credito effettivo, liquido ed esigibile), la cui mancanza non può non assurgere che a valida ragione di revoca dello stesso.
Tuttavia, alquanto opinabile appare il ragionamento posto dal Giudice a fondamento della parte della motivazione inerente agli interessi da corrispondere al creditore, nonché al relativo criterio di imputazione.
Infatti, come già chiarito, dall’istruttoria emergeva – quale fatto incontestato – che la società debitrice aveva corrisposto al proprio creditore, prima della notifica del decreto ingiuntivo, la somma capitale pretermettendo il versamento dei relativi interessi i quali nel caso di specie – trattandosi di obbligazione pecuniaria nascente da un contratto di compravendita – assolvono due fondamentali funzioni: una primaria, di natura corrispettiva, poiché frutti civili della somma dovuta, ed una secondaria, ma non per questo meno rilevante, di tipo risarcitorio nella forma dei c.d. “interessi moratori”. Si tratta degli interessi previsti nell’art.1224 C.C., aventi come presupposto il ritardo nell’adempimento della prestazione pecuniaria o la messa in mora del debitore, e finalizzati alla riparazione del danno patito dal patrimonio del creditore per il mancato godimento di quanto dovutogli. Ne consegue che, proprio perché riguardanti la fase del risarcimento del danno, gli interessi moratori costituiscono l’oggetto di un’obbligazione conseguenziale a quella principale e non accessoria; essi spettano anche se non erano dovuti precedentemente ed anche se il creditore non prova – in ragione di una presunzione iuris et de iure – di aver sofferto alcun danno (lett. art.1224, comma I, c.c.).
Ora, in tema di imputazione del pagamento degli interessi, l’art.1194, comma I, C.C. stabilisce che “il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.
Il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi”; l’unica deroga è, quindi, rappresentata dal consenso del creditore ad un diverso ordine del pagamento.
La ratio della norma richiamata (ed in particolar modo del suo capoverso) si piega in base al principio secondo cui l’imputazione della somma capitale deve essere necessariamente preceduta dal versamento dei relativi interessi per impedire un inevitabile pregiudizio per il patrimonio del creditore. Infatti, la parte obbligata alla prestazione pecuniaria, prima deve eliminare gli accessori – che fanno carico al debitore ai sensi dell’art.1196 C.C. – e successivamente estinguere il debito relativo al capitale.
Sul piano prasseologico, l’interpretazione suddetta dell’art.1194 C.C. è avallata dalla Suprema Corte la quale in un’ importante decisione ha stabilito che “Qualora il debitore convenga in giudizio il creditore per l’accertamento dell’estinzione del credito a seguito di pagamenti – come nel caso pratico in esame – pretendendo di imputarli prima al capitale e poi agli interessi ed alle spese, ha l’onere di provare il consenso del creditore a siffatta imputazione, trattandosi di condizione dell’azione la cui esistenza o meno deve essere accertata d’ufficio dal giudice, e con riguardo alla quale la deduzione del convenuto creditore circa la mancanza del suo consenso, configura una mera difesa a sollecitare il potere-dovere da parte del giudice (…)” (Cass. 14.03.1988, n.2434).
Ebbene, nella concreta ipotesi, la società Alfa citava in giudizio il creditore ex art.645 C.P.C. per sentire dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo e la sua revoca, in ragione del pagamento – antecedente alla notifica della stessa ingiunzione – della somma di € 540,00 rappresentante la sola somma capitale; dunque, il debitore opponente imputava espressamente il pagamento della cifra indicata al capitale e non agli interessi, come d’altronde confermato sia dalla richiesta del creditore opposto della condanna dell’opponente al pagamento degli interessi sulla somma capitale, sia dalla motivazione dello stesso Giudice di Pace il quale, riconosciuta l’effettiva corresponsione della sorte capitale da parte della società debitrice, dichiarava l’istante tenuto a versare al creditore gli interessi nella misura legale.
In sostanza, il pagamento effettuato dalla debitrice Alfa, veniva imputato prima al capitale e poi agli accessori, prescindendo dall’accertamento dell’esistenza di un consenso del creditore in tal senso. Infatti, durante l’istruttoria non era emersa alcuna volontà del creditore di invertire l’ordine di imputazione del pagamento degli interessi come previsto dall’art.1194 C.C., né tanto meno il debitore era stato in grado di fornire la prova di una tale volontà.
Così motivando, il Giudice “stravolgeva” sostanzialmente il criterio di imputazione del pagamento degli interessi come disciplinato dall’art.1194 C.C., dimenticando che se la corresponsione degli interessi prima della sorte capitale rappresenta, nel nostro ordinamento civile, la regola – come dimostrato anche in ordine ad altri istituti del codice civile, quale, per esempio, l’imputazione dei frutti nel contratto di anticresi – l’ascrizione della somma capitale prima e degli accessori poi, in virtù del consenso manifestato dal creditore, assurge ad inevitabile eccezione!
Coerentemente, il Magistrato Adito sarebbe dovuto pervenire alle seguenti conclusioni:
revocare in toto il decreto ingiuntivo opposto;
pronunciare sentenza di condanna dell’opponente al pagamento dell’importo residuo del credito originario. In tal caso, la parte marginante sarebbe stata rappresentata dal residuo del capitale da saldare (e non dagli interessi, come sostenuto dal Giudice), poiché la somma di € 540,00 versata precedentemente alla notifica del decreto ingiuntivo, sarebbe dovuta essere imputata, in assenza di una diversa statuizione ed ai sensi del 1194 C.C., in primis agli interessi – determinati in misura legale dal momento della nascita dell’obbligazione al soddisfo – poi alle spese e solo successivamente al capitale.
Disporre la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari dell’intero procedimento.
A ciò aggiungasi che la prova del consenso del creditore all’imputazione della sorte capitale prima e degli accessori poi deve essere chiara e certa, come sembrerebbe leggersi tra le righe della pronuncia n.17661 del 11.12.2002 della Corte di Cassazione secondo la quale “Nell’ipotesi di pagamento parziale, il versamento va imputato agli interessi e non al debito capitale, a meno che non ci sia la prova del consenso del creditore ad una diversa imputazione; non costituisce prova sufficiente, nel caso di pagamento effettuato da una Pubblica Amministrazione, il fatto che il privato creditore, tenuto a rilasciare ricevuta di pagamento, abbia sottoscritto per quietanza il titolo di spesa in cui l’Amministrazione stessa abbia imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito”.
Sul piano meramente sostanziale e tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, appare innegabile che la decisione del Giudice di Pace di Grottaglie, come motivata, se d’acchito sembra accogliere le richieste di tutela del creditore, proposte attraverso l’azione del diritto, in realtà non impedisce proprio quell’effetto pregiudizievole – derivante al patrimonio del creditore da un tardivo adempimento della prestazione pecuniaria – che l’art.1194 C.C. mira ad evitare e che altro non è che la ratio della stessa norma.

Dubbi di diversa natura, ma ugualmente interessanti, sorgono in ordine ad un altro punto della sentenza in esame.
Infatti, se nella comparsa di costituzione e risposta, il creditore opposto chiedeva al Giudice di Pace di “condannare” l’opponente al pagamento degli interessi, il Magistrato Adito, nel dispositivo della sentenza, accoglieva solo apparentemente la richiesta del creditore convenuto, nel momento in cui – invece di dichiarare l’esistenza della pretesa creditoria e di condannare conseguentemente il debitore al versamento degli interessi dovuti – si limita a “dichiarare l’opponente tenuto a corrispondere al creditore gli interessi”.
Insomma, il Giudice definiva la questione con una pronuncia meramente dichiarativa dell’esistenza e della fondatezza del diritto azionato, pretermettendo una pronuncia costituiva di condanna e peggiorando ulteriormente, sul piano materiale, la posizione del creditore; dichiarare un soggetto debitore nei confronti di un altro, non significa de plano condannarlo, soprattutto nell’ambito dei procedimenti monitori!
Infatti, il secondo comma dell’art.474 C.P.C., prevedendo un elenco dei titoli esecutivi, li suddivide in tre categorie e la prima tra queste riguarda proprio i così detti titoli esecutivi giudiziali. Rientrano in questi anzitutto le sentenze di condanna – con le quali si condanna, appunto, il soggetto a tenere una certa prestazione – e non quelle di mero accertamento, attraverso cui si dichiara semplicemente l’esistenza dell’obbligo di una delle parti in relazione alla situazione sostanziale dedotta in giudizio.
Ben si comprende, allora, come il Giudice dell’opposizione, limitandosi a dichiarare la società debitrice Alfa tenuta al pagamento degli interessi a favore del proprio creditore senza per questo condannarla, abbia privato lo stesso del titolo esecutivo essenziale per iniziare un’esecuzione forzata ed abbia ulteriormente frustrato l’effettività della tutela sostanziale e processuale del creditore.
Non solo, nella motivazione della sentenza – ricorrendo ad una sorta di “frode in etichette”, se si considera il contenuto del dispositivo – il Giudice nulla dice in ordine al mancato accoglimento della richiesta di condanna, avanzata dal creditore opposto, della parte debitrice opponente in tal modo contravvenendo non solo al principio costituzionale dell’obbligatorietà della motivazione della sentenza, ma altresì a quanto stabilito sistematicamente dagli artt.132, n.4, C.P.C. e 118 Disp. Att. C.P.C.

Dott. Adele Quaranta, collaboratrice Studio Legale Associato “Leone” del Foro di Taranto.

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