Locazione, clausola penale ed imposta di registro

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Approfondimento relativo ai contratti di locazione, con riferimento alla clausola penale e all’imposta di registro.

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Corte di Cassazione – Sez. Tributaria – Sent. n. 30983 del 07/11/2023

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Indice

1. Premessa

L’art. 1382 c.c. consente alle parti di un contratto il potere di limitare, a priori e a una determinata prestazione promessa, il risarcimento del danno che la parte inadempiente – in ipotesi di inadempimento o ritardato adempimento – dovrà all’altra, salvo che non sia stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore (comma 1). Bisogna sottolineare come il pagamento della prestazione sia dovuto indipendentemente dalla prova del danno (comma 2); in ogni caso tale prestazione – così dispone il comma 1 – deve essere determinata. A tale proposito si può affermare che, affinché il contenuto di una clausola penale sia conforme all’art. 1382 c.c., è indifferente che l’ammontare della prestazione risarcitoria a carico della parte inadempiente sia determinato in via anticipata o sia rimesso a un momento successivo all’inadempimento, ma in quest’ultimo caso è sempre importante che la determinazione avvenga sulla base di criteri di calcolo definiti in anticipo. Naturalmente tale pattuizione è utilizzabile anche nell’ambito delle locazioni. Ricorrendo a questa clausola, il conduttore inadempiente rispetto all’obbligazione di restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno, che può essere “forfetizzato” con la previsione di una penale (Cass. civ., sez. III, 16/02/2023, n. 4904). Si è posto però il problema di stabilire se una clausola penale – nel caso di specie inserita in un contratto di locazione –sia soggetta o meno a distinta imposta di registro.

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2. Locazione, clausola penale, imposta di registro: la tesi dell’Agenzia delle Entrate

Una recente vicenda, presa in esame dalla Cassazione, prendeva l’avvio quando in relazione alla clausola penale contenuta in un contratto di locazione, concluso tra due società, per il caso di ritardo nella restituzione del bene locato, l’Agenzia delle Entrate riteneva applicabile il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 1 e, conseguentemente, provvedeva al recupero dell’imposta di registro della misura fissa ai sensi dell’art. 27 TUIR e art. 11 tariffa prima parte, oltre sanzioni. Secondo l’Amministrazione finanziaria, dunque, quella in questione era una previsione pattiziamente aggiunta dalle parti allo scopo di produrre ulteriori e distinti effetti giuridici e, quindi, doveva essere assoggettata ad autonoma imposizione. Secondo la stessa Agenzia delle Entrate si doveva applicare l’articolo 21 del Dpr n. 131/1986. Tale norma prevede, al primo comma, che se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto, per poi proseguire, al secondo comma, affermando che se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa.
La tesi dell’Agenzia non veniva condivisa dalla CTR della Lombardia che riteneva non fosse applicabile il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 1, essendo detta clausola, per la sua intrinseca natura, correlata al contenuto essenziale del contratto di locazione e, pertanto, non autonomamente tassabile. L’agenzia delle Entrate ricorreva in cassazione.

3. La tesi della Cassazione

La Cassazione ha dato torto all’Agenzia delle Entrate. In particolare i giudici supremi hanno chiarito che, l’articolo 21, commi 1 e 2, detta il criterio distintivo tra tassazione unica, da applicare con riguardo alla disposizione soggetta all’imposizione più onerosa (comma 1) e tassazione separata delle singole disposizioni (comma 2), individuandolo, in linea con il principio generale della tassazione secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, a prescindere dal nomen iuris adoperato, nella sussistenza o meno del requisito che esse “derivino necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre” (Cass. del 18.07.2022, n. 22476). Tenendo conto di quanto sopra il Collegio ha precisato che la clausola penale ha lo scopo di sostenere l’esatto, eventualmente reciproco, tempestivo adempimento delle obbligazioni “principali” assunte con il contratto cui accede; per la Cassazione essa costituisce un mero patto volto a specificare quanto già insito nel contratto, al solo fine di stabilire ex ante quanto la parte dovrà pagare, a titolo risarcitorio, qualora dovesse rendersi inadempiente delle obbligazioni già contenute nel contratto di locazione a cui la clausola afferisce. Di conseguenza la Corte ha confermato che la funzione della clausola in esame – desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c. – non può ritenersi eterogenea rispetto all’obbligazione nascente dal contratto di locazione a cui accede, perchè sul piano giuridico, l’obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene sia si attivi conseguentemente all’inadempimento dell’obbligazione, non si pone come causa diversa dall’obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente-coercitiva rispetto all’adempimento sua propria.
Alla luce di quanto sopra i giudici supremi hanno escluso l’applicazione dell’articolo 21 (il quale stabilisce l’autonoma tassazione delle disposizioni dell’atto che non discendano necessariamente le une dalle altre) perché, trattandosi di una mera specificazione e quantificazione di una prestazione già derivante dal contratto di locazione, in assenza di questo, non ha alcuna “forza” contrattuale propria (Cass. civ., sez. V, 07/11/2023, n. 30983).

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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