L’introduzione di procedure di conciliazione finalizzate alla determinazione concordata della sanzione disciplinare: i nuovi contratti collettivi danno attuazione a quanto previsto dall’art. 55, comma 3, del D. Lgs. n. 165/2001

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A sommesso parere di chi scrive, sembra stia passando sottotono l’importante ed innovativa previsione nei nuovi contatti collettivi[1] di procedure di conciliazione facoltative atte a valutare e favorire la possibilità della “determinazione concordata della sanzione”. Uno strumento, invece, di indubbia utilità: in primis sotto il profilo deflattivo del relativo contenzioso e, non di secondaria importanza, senza dubbio giova anche ai rapporti lavorativi e personali tra gli attori di un procedimento disciplinare (responsabili delle strutture e dipendenti).

È al comma 3 dell’art. 55 (rubricato: “Responsabilità, infrazioni e sanzioni, procedure conciliative”) del D. Lgs. del 30 marzo 2001 n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, nella formulazione novellata (rectius: sostituito) dall’art. 68, comma 1, D. Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. decreto Brunetta), che è si prevede la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all’esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la conclusione”.

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Le precedenti disposizioni di legge in merito alla determinazione consensuale della sanzione

Nella sua formulazione iniziale del Testo del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 pubblicato in G.U. n. 106 del 9-5-2001 – Suppl. Ordinario n. 112, l’articolo 55 era rubricatoSanzioni disciplinari e responsabilità”, (che a sua volta si rifaceva all’art. 59  del  d. lgs.  n. 29  del  1993, come sostituito dall’art. 27 del d. lgs  n. 546  del  1993  e  successivamente modificato dall’art. 2 del decreto legge n. 361 del 1995, convertito con modificazioni dalla legge n.437 del 1995,  nonchè  dall’art. 27,  comma  2 e dall’art. 45, comma 16 del d. lgs n. 80 del 1998) si prevedeva già la possibilità di applicare, con il consenso del dipendente, una sanzione ridotta, che non  era  più  suscettibile  di impugnazione”.

Unitamente a tale procedura era disciplinata, al successivo comma 7, l’ipotesi in cui – in assenza di procedure di conciliazione ed arbitrati previste dai contratti collettivi – in alternativa all’immediata impugnazione presso l’Autorità Giurisdizionale competente, che “…. entro venti giorni dall’applicazione della sanzione, il  dipendente, anche per mezzo di un procuratore o dell’associazione sindacale  cui aderisce o conferisce mandato, può impugnarla dinanzi al  collegio  arbitrale  di  disciplina  dell’amministrazione  in cui lavora.  Il  collegio  emette  la  sua decisione entro novanta giorni dall’impugnazione  e  l’amministrazione  vi si conforma. Durante tale periodo la sanzione resta sospesa”[2].

Dunque, con il primo testo del D. Lgs. 165/2001 si prevedeva una sorta di “patteggiamento” che, esattamente come nell’omologo procedimento penale, consentiva al soggetto nei cui confronti era  attivato un procedimento disciplinare di trovare un accordo preliminare con il responsabile della struttura od anche l’UCPD (in base all’entità della sanzione e al soggetto procedente) per l’irrogazione di una sanzione più lieve rispetto a quella astrattamente applicabile (al tempo, sia come entità sia come tipologia). Tale accordo consensuale si risolveva in una rinuncia dell’accusato ad impugnare la sanzione disciplinare in cambio di uno “sconto” sulla entità – e non sulla natura – della stessa.

Nella prassi la sanzione disciplinare “patteggiata” ai sensi dell’art. 55, comma 6, del D. Lgs. 165/2001, trovava spazio procedimentale e temporale tra il momento dell’audizione e quello della comunicazione della sanzione. L’iniziativa in tal senso poteva essere sia del lavoratore, anche per il tramite dell’avvocato o del rappresentate dell’associazione sindacale  cui aderiva o conferiva apposito mandato, che dello stesso ufficio per i procedimenti disciplinari o del capo della struttura.

Le attuali norme di fonte primaria e pattizia in materia di determinazione concorda della sanzione

Ebbene, con l’abolizione dei collegi arbitrali di disciplina da parte del citato D. Lgs. n. 150/09 con la disposizione di cui all’art. 73 (Norme transitorie) che stabiliva: “Dalla data di entrata in vigore del presente decreto non è ammessa, a pena di nullità, l’impugnazione di sanzioni disciplinari dinanzi ai collegi arbitrali di disciplina. I procedimenti di impugnazione di sanzioni disciplinari pendenti dinanzi ai predetti collegi alla data di entrata in vigore del presente decreto sono definiti, a pena di nullità degli atti, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla predetta data”. E ciò anche in forza dell’altra significativa modifica apportata al già richiamato art. 55 del D. Lgs. 165/01 che al primo capoverso prevede ancora attualmente: “La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari”. Ciò comporta l’impossibilità per i collegi arbitrali o arbitri unici costituiti contrattualmente di giudicare in materia disciplinare.

Per cui, fatte questo modifiche, con la riforma in materia di azione e procedimento disciplinare da parte del D. Lgs. 150/2009 (nuovo testo art. 55 d.lgs.165/2001, comma 3) il c.d. “patteggiamento” è stato sostituito dalle procedure di conciliazione non obbligatorie eventualmente individuate dai CC.CC.NN.LL. che devono rispettare una serie di parametri prefissata dal legislatore:

  1. fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento (con o senza preavviso viene specificato nelle previsioni dei novelli CC.CC.NN.LL.);
  2. da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione;
  3. La sanzione concordemente determinata all’esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto collettivo;
  4. l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione.

Il legislatore, al fine di evitare che le suddette procedure venissero strumentalizzate al solo fine di far decorrere i termini del procedimento disciplinare, ha voluto anche precisare che, questi “restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo”. Infine, sono rimessi alla contrattazione collettiva gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la conclusione.

Considerato tutto quanto fin qui ripercorso sotto il profilo dell’evoluzione normativa, visto che le disposizioni di cui al D. Lgs. n. 150/09 che modificavano, sostituivano ed integravano quelle del D. Lgs. n. 165/01 si applicavano a far data dall’entrata in vigore del primo contratto collettivo successivo alla suddetta data e che la contrattazione collettiva ha subito un blocco di circa dieci anni (dagli ultimi CC.CC.NN.LL. del quadriennio normativo 2006-2009 per riprende al triennio 2016-2018, come sopra meglio illustrato), appena ripresa la stessa sono state introdotte le richiamate procedure conciliative aventi per scopo la “determinazione concordata della sanzione”.

Infatti, tutti i vari articoli dei CC.CC.NN.LL. sono rubricati esattamente con tale citata dicitura e prevedono proprio che – sussistendo i criteri di cui al comma 3 dell’art. 55 del D. Lgs. n. 165/01 sopra riportati –  l’autorità disciplinare competente ed il dipendente, in via conciliativa, possono procedere alla determinazione concordata della sanzione disciplinare.

Come di consueto, in sede di contrattazione collettiva si esplicitano meglio in dettaglio tempi e modalità dei procedimenti, per cui anche tale procedura viene illustrata in modo particolareggiato. Di seguito si riporta l’art. 66 della del CCNL del comparto Funzioni Centrali – Periodo 2016-2018, che ha lo stesso tenore degli altri articoli[3] che riprendono in egual modo la procedura in parola, che comunque sono di facile lettura:

“1. L’autorità disciplinare competente ed il dipendente, in via conciliativa, possono procedere alla determinazione concordata della sanzione disciplinare da applicare fuori dei casi per i quali la legge ed il contratto collettivo prevedono la sanzione del licenziamento, con o senza preavviso.

  1. La sanzione concordemente determinata in esito alla procedura conciliativa di cui al comma 1 non può essere di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto collettivo per l’infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione.
  2. L’autorità disciplinare competente o il dipendente può proporre all’altra parte, l’attivazione della procedura conciliativa di cui al comma 1, che non ha natura obbligatoria, entro il termine dei cinque giorni successivi alla audizione del dipendente per il contraddittorio a sua difesa, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Dalla data della proposta sono sospesi i termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del d. lgs. n. 165/2001. La proposta dell’autorità disciplinare o del dipendente e tutti gli altri atti della procedura sono comunicati all’altra parte con le modalità dell’art. 55-bis, comma 5, del d. lgs. n. 165/2001.
  3. La proposta di attivazione deve contenere una sommaria prospettazione dei fatti, delle risultanze del contraddittorio e la proposta in ordine alla misura della sanzione ritenuta applicabile. La mancata formulazione della proposta entro il termine di cui al comma 3 comporta la decadenza delle parti dalla facoltà di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.
  4. La disponibilità della controparte ad accettare la procedura conciliativa deve essere comunicata entro i cinque giorni successivi al ricevimento della proposta, con le modalità dell’art. 55-bis, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001. Nel caso di mancata accettazione entro il suddetto termine, da tale momento riprende il decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all’art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001. La mancata accettazione comporta la decadenza delle parti dalla possibilità di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.
  5. Ove la proposta sia accettata, l’autorità disciplinare competente convoca nei tre giorni successivi il dipendente, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato.
  6. Se la procedura conciliativa ha esito positivo, l’accordo raggiunto è formalizzato in un apposito verbale sottoscritto dall’autorità disciplinare e dal dipendente e la sanzione concordata dalle parti, che non è soggetta ad impugnazione, può essere irrogata dall’autorità disciplinare competente.
  7. In caso di esito negativo, questo sarà riportato in apposito verbale e la procedura conciliativa si estingue, con conseguente ripresa del decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all’articolo 55-bis del d.lgs. n. 165/2001.
  8. In ogni caso la procedura conciliativa deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla contestazione e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. La scadenza di tale termine comporta la estinzione della procedura conciliativa eventualmente già avviata ed ancora in corso di svolgimento e la decadenza delle parti dalla facoltà di avvalersi ulteriormente della stessa”.

Ordunque, con la stesura dei nuovi contratti collettivi si è data attuazione a quanto programmato nel testo dell’art. 55 del più volte citato T.U.P.I., disciplinando le ivi previste procedure di conciliazione non obbligatorie, che devono precedere l’irrogazione ed il cui scopo è quello di intavolare delle trattative tra le parti del procedimento al fine di evitare conflitti accesi, inasprimento del clima nell’ambiente lavorativo ed in particolare – come più volte precisato – evitare che le stesse si impegnino in dei contenziosi annosi.

Ebbene, anche se il nuovo D. Lgs. 165/2001 così come modificato dal D. Lgs. 150/ 2009, sull’onda degli slogan della lotta ai “fannulloni” prima (Brunetta) e dei “furbetti del cartellino” subito dopo (Madia) enfatizzava l’esercizio del potere disciplinare ed il suo inasprimento come uno degli strumenti di miglioramento dell’efficienza organizzativa, del rendimento dei lavoratori oltre che della direzione ed organizzazione dell’attività produttiva, eppure fu prevista questa possibilità di accordo, di concordata chiusura di un momento patologico del rapporto di lavoro, che oggi ha ritrovato attuazione e che dovrebbe essere opportunamente presa in considerazione oltre che maggiormente diffusa tra gli addetti ai lavori.

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Note

[1] Con il Contratto Collettivo Nazionale Quadro 2016-2018 del 13 luglio 2016 sottoscritto tra Governo/ARAN ed OO. SS. CGIL, CISL e UIL sono state definite aree e comparti di contrattazione nazionale, al fine di sbloccare la contrattazione e rendere possibile il rinnovo dei contatti per tutti i lavoratori delle qualifiche funzionali, fermi da quasi dieci lunghi anni. L’art. 2 di detto CCNQ stabilisce che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono aggregati nei seguenti quattro comparti di contrattazione collettiva del lavoro pubblico: 1) Funzioni Centrali; 2) Funzioni Locali; (3) Istruzione e Ricerca e (4) Sanità. Il Comparto di contrattazione collettiva delle Funzioni Centrali è diviso in quattro aree e comprende il personale non dirigente, ivi incluso quello di cui all’art. 69, comma 3, del d. lgs. n. 165 del 2001 e quello in servizio nella provincia di Bolzano di cui agli artt. 7 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, che è impiegato presso i ministeri, le agenzie, consorzi, accademie ed altri organo previsti dall’ordinamento giuridico italiano. Il comparto di contrattazione collettiva delle Funzioni Locali, comprende il personale non dirigente dipendente delle Regioni e degli enti locali. Il comparto di contrattazione collettiva dell’Istruzione e della ricerca comprende il personale non dirigente, ivi incluso quello di cui all’art. 69, comma 3, del D. Lgs. n. 165 del 2001, impiegato nelle scuole, università e tutti gli altri enti ed istituti nazionali orbitanti nel settore. Il comparto di contrattazione collettiva della Sanità, comprende il personale non dirigente dipendente da enti ed amministrazioni del settore sanitario.

[2] Al commi successivi si continuava: 8. Il  collegio  arbitrale  si  compone  di  due  rappresentanti dell’amministrazione  e  di  due rappresentanti dei dipendenti ed è presieduto da un esterno all’amministrazione, di provata esperienza e indipendenza.    Ciascuna   amministrazione,   secondo   il   proprio ordinamento,  stabilisce,  sentite  le  organizzazioni  sindacali, le modalità  per  la  periodica  designazione  di  dieci rappresentanti dell’amministrazione e dieci rappresentanti dei dipendenti, che, di comune accordo, indicano cinque presidenti. In mancanza di accordo, l’amministrazione richiede la nomina dei presidenti al presidente del Tribunale  del  luogo in cui siede il collegio. Il collegio opera con criteri  oggettivi  di  rotazione  dei  membri  e di assegnazione dei procedimenti disciplinari che ne garantiscono l’imparzialità. 9. Più  amministrazioni  omogenee  o affini possono istituire un unico  collegio  arbitrale  mediante  convenzione  che  ne  regoli le modalità  di  costituzione  e  di  funzionamento  nel  rispetto  dei principi di cui ai precedenti commi”.

[3] Art. 70 del CCNL del comparto Sanità; Art. 17 CCNL del comparto Istruzione e Ricerca; Art. 63 del comparto Funzioni Locali, tutti per il Periodo 2016-2018.

Dott. Silvio Garofalo Quinzone

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