Il preavviso, sia esso di licenziamento sia di dimissioni, è un istituto disciplinato dalla legge a tutela della parte che subisce il recesso di un contratto di lavoro. Come è possibile intuire, esso consiste in un lasso di tempo che intercorre tra la comunicazione del licenziamento o dimissione e l’ultimo giorno di lavoro in azienda.
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Indice
1. Da quando decorre il preavviso? Come si presenta?
Il codice civile, all’articolo 2118, comma 1, dispone che “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità”.
La facoltà di recedere anticipatamente dal contratto è riconosciuta tanto al datore di lavoro quanto al dipendente ed i termini, da rispettarsi obbligatoriamente, sono gli stessi per entrambe le parti. Durante questo arco temporale il rapporto di lavoro prosegue normalmente consentendo al dipendente dimissionario da un lato di continuare a percepire la retribuzione (c.d. preavviso lavorato) e dall’altro di cercare attivamente un’altra occupazione.
La decorrenza del preavviso è generalmente regolata dalla contrattazione collettiva avendo riguardo alla tipologia del contratto di lavoro, alle mansioni del lavoratore, al suo inquadramento nonché all’anzianità di servizio maturata presso l’azienda. In quasi tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, il periodo di preavviso decorre dal 1° al 16° giorno di ciascun mese. Se, ad esempio, il dipendente dimissionario invia la comunicazione della propria volontà di recedere il contratto in un momento diverso (es: 23 febbraio), il calcolo della data del termine del rapporto di lavoro decorre a partire dal periodo più prossimo (es: 1 marzo).
Come stabilito dal Jobs Act, dal 12 marzo 2016, le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del contratto di lavoro vanno effettuate esclusivamente per via telematica (art. 26 del D.lgs. 151/2015) vale a dire con procedura online. Questa norma, in particolare, è stata introdotta per evitare il fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco” pratica molto diffusa che consiste nel far firmare al dipendente le proprie dimissioni in anticipo (generalmente al momento dell’assunzione) in modo tale che il datore di lavoro possa, in un secondo momento, completare senza rischiare eventuali contestazioni.
La procedura telematica non si applica, tuttavia, quando le dimissioni o la risoluzione consensuale avvengono: nelle sedi protette (vale a dire davanti ai sindacati e all’Ispettorato territoriale del lavoro); durante il periodo di prova; nel lavoro domestico; nel lavoro marittimo; nel pubblico impiego e in altri casi tassativamente previsti.
Il licenziamento, invece, non prevede particolari forme procedurali ma deve necessariamente essere comunicato al dipendente in forma scritta, a pena di inefficacia dello stesso recesso. La lettera di licenziamento deve contenere, inoltre, le motivazioni che hanno determinato il recesso da parte del datore di lavoro.
2. Quando si interrompe il preavviso?
Il preavviso non decorre a fronte di:
– Malattia;
– Ferie;
– Maternità;
– Infortunio;
In questi casi il computo ripartirà dal giorno di rientro a lavoro del dipendente, ciò significa che se durante il preavviso il lavoratore si assenza per una delle cause sopra esposte, il periodi di preavviso verrà dilazionato di una quantità di giorni pari a quelli di assenza.
3. Quali sono i casi in cui il preavviso non è obbligatorio?
Come si è visto, l’obbligo di preavviso è dovuto dal datore di lavoro così come dal dipendente dimissionario. Tale obbligo viene meno unicamente nei casi di:
– giusta causa, vale a dire un evento o comportamento che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro. Questa ipotesi di licenziamento è disciplinata dall’articolo 2119 c.c. che dispone: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda”.
– risoluzione consensuale, quando le parti riconoscono che è venuta meno la convenienza reciproca alla prosecuzione del rapporto lavorativo, possono risolvere il contratto per mutuo consenso mediante accordo.
Non è tenuta all’obbligo di preavviso la madre lavoratrice che si dimetta nell’arco del periodo per il quale è previsto il divieto di licenziamento, vale a dire dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del figlio. La previsione si estende anche al padre lavoratore che usufruisca del congedo di paternità, nonché in caso di affidamento o di adozione fino ad un anno dall’inserimento del minore all’interno del nucleo familiare.
Ricordiamo, dunque, che non tutte le tipologie di contratto prevedono una forma di preavviso. Per ciò che concerne il contratto di apprendistato oppure il contratto a tempo indeterminato è previsto sia il recesso anticipato, sia l’obbligo di preavviso, salvo i casi tassativamente previsti dall’articolo 2119 c.c. . Per ciò che riguardo il contratto a tempo determinato, invece, non è previsto né il recesso anticipato e, consequenzialmente, nemmeno il preavviso. In tal caso il rapporto di lavoro può concludersi prima della data di scadenza del contratto stesso solo nel caso in cui vi è un accordo di entrambe le parti oppure in caso di recesso per giusta causa.
4. Indennità di mancato preavviso
Qualora la parte che receda intenda interrompere, quindi, immediatamente il rapporto di lavoro senza lasciar decorrere il periodo di preavviso (c.d. preavviso non lavorato) essa sarà tenuta a corrispondere l’indennità.
Così se il datore di lavoro intende porre fine immediatamente al rapporto egli dovrà corrispondere l’indennità al lavoratore. Al contrario, se è il lavoratore a voler porre fine al rapporto senza svolgere le proprie mansioni durante il periodo del preavviso, egli dovrà corrispondere l’indennità al datore di lavoro.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza, qualora sia il datore di lavoro che, a fronte delle dimissioni del lavoratore, rinunci al preavviso egli non è tenuto al pagamento della relativa indennità. (Sentenza n. 27934/2021, Corte di Cassazione)
Per calcolare l’indennità di mancato preavviso occorre considerare la retribuzione mensile del dipendente (comprensiva dei ratei, della tredicesima ed eventuale quattordicesima mensilità) e moltiplicarla per la durata del periodo del preavviso previsto dalla legge. Ad esempio, se un lavoratore dipendente guadagna 1.300 € al mese e avrebbe dovuto avere un preavviso di 3 mesi, ha diritto a ricevere una indennità pari a 3.900 €.
Nel computo dell’indennità occorre ricomprendere, ove previste, le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti e “ogni altro compenso di carattere continuativo con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese” (art. 2121 c.c.)
È previsto, infine, dal codice civile che in caso di morte del prestatore di lavoro, l’indennità sostitutiva del preavviso sia corrisposta al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado.
5. Licenziamento ad nutum
Il datore di lavoro, pertanto, è sempre tenuto a motivare la propria decisione salvo casi rari in cui è consentito il recesso unilaterale senza motivazione.
Tuttavia, la legge n. 108/1990 ha notevolmente ridotto l’ambito di operatività di questa ipotesi. Attualmente i licenziamenti ad nutum sono possibili solo:
– per i lavoratori assunti in prova (art. 10, legge n. 604/1966);
– per i lavoratori domestici (art. 4, co. 1, legge n. 108/1990);
– i lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici. Tuttavia il licenziamento ad nutum non potrà avvenire fino a che non si sarà raggiunta la c.d. “finestra” per l’effettiva decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia;
– gli sportivi professionisti (legge n. 91 del 23/03/1981);
– i dirigenti (secondo quanto stabilito già in passato dalla Cassazione, questa ipotesi è applicabile solo ai dirigenti in posizione verticistica che, nell’ambito dell’azienda, abbiano un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere di gestione);
In linea di principio generale, verso queste categorie il datore di lavoro dovrà comunque rispettare l’obbligo di preavviso. Al contrario, per quanto riguarda le dimissioni del lavoratore dipendente, il nostro ordinamento consente di presentare la richiesta dimissionaria senza giustificarne il motivo purché venga rispettato il periodo di preavviso.
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