Liberazione condizionale: concessione ai collaboratori di giustizia

Quando può essere concessa la liberazione condizionale ai collaboratori di giustizia? Commento a sentenza.

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Indice

1. La questione: quando può essere riconosciuta la liberazione condizionale a favore del collaboratore di giustizia


Il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava – per ritenuta carenza di ravvedimento – un’istanza avanzata da un collaboratore di giustizia per ottenere la liberazione condizionale ai sensi dell’art. 16-nonies del decreto-legge n. 8 del 1991, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 1991[1].
Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante, con cui si chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata deducendo, in ordine all’affermazione della mancanza di ravvedimento del condannato, violazioni di legge e vizi di motivazione sotto vari profili.
In particolare, secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza non aveva valutato, in conformità con la legge e con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, gli elementi favorevoli all’accoglimento dell’istanza. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


Il Supremo Consesso riteneva il ricorso suesposto fondato.
Nel dettaglio, tra le argomentazioni che inducevano la Corte di legittimità ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in tema di concessione della liberazione condizionale nei confronti dei collaboratori di giustizia, il giudizio prognostico di ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero idoneo a sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato, in quanto la facoltà di ammettere al beneficio detti soggetti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, riguarda solo le condizioni di ammissibilità, ma non si estende al requisito dell’emenda degli stessi e alla finalità di conseguire la loro stabile rieducazione (Sez. 1, n. 12361 del 14/11/2023; Sez. 1, n. 3312 del 14/01/2020).
Oltre a ciò, era altresì richiamato, sia quell’indirizzo interpretativo secondo cui, ai fini della concessione della liberazione condizionale chiesta da un collaboratore di giustizia, ai sensi dell’art. art. 16-nonies, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 1991, il giudice, nel valutare il sicuro ravvedimento dell’istante, deve tener conto di indici sintomatici del “sicuro ravvedimento”, quali l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, di studio o sociali, successive alla collaborazione, non potendo assumere rilievo determinante la sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime dei reati commessi (Sez. 1, n. 17831 del 20/04/2021), che quel filone ermeneutico secondo il quale, sempre ai fini della concessione della liberazione anticipata ad un collaboratore di giustizia, il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, pur non assumendo valenza ostativa all’accoglimento dell’istanza, stante la deroga alle disposizioni ordinarie contenuta all’art. 16-nonies dl. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 82 del 1991, rileva, unitamente agli altri indici di valutazione – quali i rapporti con i familiari, il personale giudiziario e gli altri soggetti qualificati nonché il proficuo svolgimento di attività di lavoro o di studio – ai fini del giudizio sul ravvedimento del condannato (Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020).
Orbene, concluso tale excursus giurisprudenziale, per la Corte di legittimità, Il Tribunale di sorveglianza non aveva fatto una corretta applicazione di siffatti criteri ermeneutici, avendo sì richiamato alcuni principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, ma non aveva però svolto una compiuta analisi delle condotte complessivamente tenute dal detenuto nell’arco dell’espiazione della pena, tenuto conto altresì del fatto che, dal testo dell’ordinanza, non si desumeva come si fosse verificato il valore di tutti i comportamenti del condannato, in relazione alla loro capacità di provare che l’istante avesse completato un serio percorso di ravvedimento.

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3. Conclusioni: come può essere riconosciuta la liberazione condizionale per i collaboratori di giustizia


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando può essere concessa la liberazione condizionale ai collaboratori di giustizia.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di pregressi indirizzi interpretativi, che: 1) la concessione della liberazione condizionale per i collaboratori di giustizia richiede un giudizio prognostico basato su un percorso trattamentale completato, che dimostri con certezza il ravvedimento e la conformazione alle norme violante precedentemente; 2) per concedere la liberazione condizionale a un collaboratore di giustizia, il giudice deve valutare indici del “sicuro ravvedimento“, come la durata della collaborazione, i rapporti familiari e con il personale giudiziario, e le attività lavorative, di studio o sociali post-collaborazione, non essendo determinante l’assenza di iniziative risarcitorie verso le vittime; 3) per la concessione della liberazione anticipata a un collaboratore di giustizia, il mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato non impedisce l’accoglimento dell’istanza, ma influisce sul giudizio di ravvedimento, insieme ad altri fattori come i rapporti con familiari, personale giudiziario e l’impegno in attività lavorative o di studio.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se la liberazione condizionale possa essere concessa in casi di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché prova a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo

Note


[1] Ai sensi del quale: “1. Nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, o all’articolo 371-bis, comma 4-bis, del codice di procedura penale, che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare prevista dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono disposte su proposta ovvero sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. 2. Nella proposta o nel parere il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo fornisce ogni utile informazione sulle caratteristiche della collaborazione prestata. Su richiesta del tribunale o del magistrato di sorveglianza, allega alla proposta o al parere copia del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione e, se si tratta di persona sottoposta a speciali misure di protezione, il relativo provvedimento di applicazione. 3. La proposta o il parere indicati nel comma 2 contengono inoltre la valutazione della condotta e della pericolosità sociale del condannato e precisano in specie se questi si è mai rifiutato di sottoporsi a interrogatorio o a esame o ad altro atto di indagine nel corso dei procedimenti penali in cui ha prestato la sua collaborazione. Precisano inoltre gli altri elementi rilevanti ai fini dell’accertamento del ravvedimento anche con riferimento alla attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva. 4. Acquisiti la proposta o il parere indicati nei commi 2 e 3, il tribunale o il magistrato di sorveglianza, se ritiene che sussistano i presupposti di cui al comma 1, avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, adotta il provvedimento indicato nel comma 1 anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’articolo 176 del codice penale e agli articoli 30-ter e 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. Il provvedimento è specificamente motivato nei casi in cui le autorità indicate nel comma 2 del presente articolo hanno espresso parere sfavorevole. I provvedimenti che derogano ai limiti di pena possono essere adottati soltanto se, entro il termine prescritto dall’articolo 16-quater è stato redatto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dal medesimo articolo 16-quater e, salvo che non si tratti di permesso premio, soltanto dopo la espiazione di almeno un quarto della pena inflitta ovvero, se si tratta di condannato all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni di pena. 5. Se la collaborazione prestata dopo la condanna riguarda fatti diversi da quelli per i quali è intervenuta la condanna stessa, i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi in deroga alle disposizioni vigenti solo dopo l’emissione della sentenza di primo grado concernente i fatti oggetto della collaborazione che ne confermi i requisiti di cui all’articolo 9, comma 3. 6. Le modalità di attuazione dei provvedimenti indicati nel comma 4 sono stabilite sentiti gli organi che provvedono alla tutela o alla protezione dei soggetti interessati e possono essere tali organi a provvedere alle notifiche, alle comunicazioni e alla esecuzione delle disposizioni del tribunale o del magistrato di sorveglianza. 7. La modifica o la revoca dei provvedimenti è disposta d’ufficio ovvero su proposta o parere delle autorità indicate nel comma 2. Nei casi di urgenza, il magistrato di sorveglianza può disporre con decreto motivato la sospensione cautelativa dei provvedimenti. La sospensione cessa di avere efficacia se, trattandosi di provvedimento di competenza del tribunale di sorveglianza, questo non interviene entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti. Ai fini della modifica, della revoca o della sospensione cautelativa dei provvedimenti assumono specifico rilievo quelle condotte tenute dal soggetto interessato che, a norma degli articoli 13-quater e 16-septies, possono comportare la modifica o la revoca delle speciali misure di protezione ovvero la revisione delle sentenze che hanno concesso taluna delle attenuanti in materia di collaborazione. 8. Quando i provvedimenti di liberazione condizionale, di assegnazione al lavoro all’esterno, di concessione dei permessi premio e di ammissione a taluna delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono adottati nei confronti di persona sottoposta a speciali misure di protezione, la competenza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui la persona medesima ha eletto il domicilio a norma dell’articolo 12, comma 3-bis, del presente decreto. 8-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano in quanto compatibili anche nei confronti delle persone condannate per uno dei delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale che abbiano prestato, anche dopo la condanna, condotte di collaborazione aventi i requisiti previsti dall’articolo 9, comma 3”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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