Liberazione anticipata al detenuto che durante gli arresti domiciliari ha molestato l’ex

Redazione 08/03/12
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Lucia Nacciarone

A deciderlo è stata la Cassazione con la sentenza n. 8690 del 6 marzo 2012, con cui è stata annullata l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che disponeva la mancata concessione del beneficio.

I giudici di legittimità hanno osservato, contrariamente al Tribunale, che non può negarsi automaticamente la liberazione anticipata al recluso agli arresti domiciliari che commette intemperanze nell’ambito però di una condotta complessivamente considerata buona, osservante delle prescrizioni del programma rieducativo in cui era stato inserito.

Questi i fatti: il detenuto, durante gli arresti domiciliari, aveva posto in essere una condotta minatoria e violenta in danno della sua ex fidanzata, espressiva, secondo il Tribunale di sorveglianza, del mancato completamento del percorso rieducativo; di qui il diniego del beneficio della liberazione anticipata.

Al riguardo la Cassazione ha invece osservato che il regolamento di esecuzione del 1976 modificato da quello del 2000, fa riferimento ai «rapporti» del condannato e non più all’atteggiamento, sostituendo la valutazione di un dato soggettivo con quella di dati oggettivi, comprensivi delle relazioni con la comunità esterna.

In particolare, «il concetto di partecipazione all’opera di rieducazione espresso dall’articolo 541 del regolamento ha un contenuto complesso, in quanto, da un lato, richiama comportamenti esteriori oggettivamente determinati, e, dall’altro, evoca un’adesione psicologica al trattamento sintomatica di un coefficiente di risocializzazione. L’art. 103 ricollega il requisito della partecipazione a parametri precisi e, cioè, all’impegno dimostrato dal detenuto nel trarre profitto delle opportunità offertegli nel corso del trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna».

Quindi, una volta chiarito che, per l’ottenimento del beneficio, debba farsi riferimento ai rapporti del condannato e non più all’atteggiamento, dunque sostituitasi la valutazione di tipo oggettivo, a quella puramente soggettiva, si può affermare con certezza che la partecipazione all’opera di rieducazione deve attenere alla condotta esteriore e non presuppone alcuna diagnosi di risocializzazione già conseguita, ma soltanto l’adesione del condannato al processo di reintegrazione sociale in itinere: il comportamento tenuto in un episodio singolo non può inficiare un giudizio rendendolo negativo.

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