Le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore

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(Annullamento senza rinvio)

Il fatto

ll Tribunale di Rieti, accogliendo parzialmente una richiesta di riesame, aveva disposto che il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, diretta e per equivalente, del profitto del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, eseguito su somme depositate su taluni conti correnti intestati.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la pubblica accusa deducendo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), violazione della legge penale posto che, in violazione di quanto prescritto nel provvedimento genetico e stabilito nell’art. 322-ter c.p., comma 1, l’ordinanza impugnata aveva trasferito il vincolo posto in relazione al profitto diretto del reato (tale dovendo ritenersi il denaro contante in possesso della società che aveva omesso il versamento dell’IVA) su un bene immobile che avrebbe invece costituito profitto per equivalente.

Ciò posto, in secondo luogo, si evidenziava come la decisione fosse stata assunta anche in violazione del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 19, atteso che la citata disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti da reato è inapplicabile ai reati fiscali.

Da ultimo, si lamentava come fosse stata omessa una verifica oggettiva del valore dell’immobile essendosi il Tribunale fondato soltanto su una perizia di parte, neppure considerando che sullo stesso erano state iscritte due ipoteche giudiziali – come pure era ipotecato il terreno sul quale il medesimo insiste – senza che la documentazione prodotta dall’impugnante fosse in grado di dimostrare l’avvenuto pagamento dei debiti in tal modo garantiti.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Con riguardo al primo dei motivi doglianza, il ricorso veniva reputato ammissibile e fondato, restando assorbiti gli ulteriori motivi dato che, pur formalmente lamentando la violazione dell’art. 322 ter c.p., comma 1, – nella parte in cui dispone che la confisca per equivalente (e, dunque, il sequestro preventivo ad essa finalizzato) possa essere disposta soltanto laddove sia impossibile l’acquisizione diretta del profitto – era evidente, per la Suprema Corte, come la doglianza dovesse invece intendersi riferita alla corrispondente disposizione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, comma 1, introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ed applicabile nel caso di specie ratione temporis rilevandosi al contempo come il ricorrente avesse semplicemente errato nell’indicare la previgente fattispecie prevista dall’art. 322-ter c.p., richiamato dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143 abrogata dal citato D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 14, fermo restando come ciò non rilevasse nel caso di specie avendo queste due disposizioni identico contenuto e intercorrendo tra le setesse continuità normativa (v. Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016).

Le ragioni in fatto e diritto della doglianza ivi prospettate, dunque, ad avviso della Suprema Corte, erano chiare.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente come tali ragioni fossero pure fondate.

Si evidenziava a tal proposito che le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore perché tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato (Sez. 3, n. 37660 del 17/05/2019; cfr. anche Sez. 3, n. 12245 del 17/01/2014, e Sez. 3, n. 33587 del 19/06/2012).

Da ciò se ne faceva conseguire come non sia ammissibile – neppure qualora vi sia il consenso del soggetto interessato – sottoporre a vincolo un bene immobile di proprietà del soggetto che si è avvantaggiato del reato ma che, a quanto pacificamente risulta, non costituisce profitto, nemmeno indiretto, dell’illecito trattandosi di un vincolo preordinato ad una confisca per equivalente del profitto che la legge non prevede in capo al soggetto che si è avvantaggiato del reato essendo la stessa prevista e solo in caso di impossibilità della confisca del profitto del reato nei riguardi dell’autore dello stesso.

Difatti, nonostante il consenso del soggetto interessato al trasferimento del sequestro dal denaro all’immobile – a quanto consta, peraltro, neppure espresso con formalità idonee a vincolare giuridicàmente la società in vista di un futuro atto ablatorio – qualora questo dovesse ritenersi ammissibile, l’eventuale sentenza di condanna non potrebbe mai disporre la confisca di quel bene, non prevista nè consentita dalla legge, sicché il provvedimento cautelare si rivelerebbe privo degli effetti che gli sono propri, e ciò perché le disposizioni sulla confisca rivestono carattere di stretta interpretazione e, avendo spiccata natura pubblicistica, il loro contenuto ed i loro effetti non possono formare oggetto di pattuizioni che si muovono nell’ambito dell’autonomia negoziale (cfr. Sez. 1, n. 46559 del 15/09/2016, che ha affermato il principio secondo cui, in tema di confisca, il giudice dell’esecuzione non può disporre, su istanza del terzo rimasto estraneo al processo, la sostituzione del bene confiscato al condannato con una somma di denaro corrispondente al valore del bene stesso; la motivazione della sentenza precisa inoltre che, in tal modo, nella specie si sarebbe dato luogo ad una non consentita confisca per equivalente in sostituzione di quella diretta, del prodotto o profitto del reato).

La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, annullava l’ordinanza impugnata annullata limitatamente alla sostituzione della res sottoposta a vincolo cautelare reale sui conti correnti con l’immobile catastalmente individuato nel provvedimento impugnato procedendosi all’annullamento senza rinvio, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), non essendo ritenuti necessari, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, ulteriori accertamenti in fatto.

 

Conclusioni

 

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si afferma, citandosi giurisprudenza conforme, che le somme di denaro oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che costituiscono il profitto del reato oppure un valore ad esso equivalente, non possono essere sostituite con beni mobili od immobili di identico valore dal momento che tale operazione comporta la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato.

E’ dunque sconsigliabile per la difesa avanzare una richiesta di questo genere ben potendo ciò essere contestato dall’autorità requirente nei modi e nelle forme previste dal codice di procedura penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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