Le modifiche introdotte dalla L. n. 3 del 2019 non possono applicarsi ai reati commessi prima dell’entrata in vigore di questa legge

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(Annullamento senza rinvio)

 

Il fatto

 

Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Como, su richiesta degli imputati, applicava ex art. 444 c.p.p., in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 319 e 321 c.p., la pena della reclusione di un anno e mesi dieci di reclusione nonché la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque ex art. 317-bis c.p., disponendo la confisca della somma di denaro in sequestro con il beneficio della sospensione condizionale della pena per la sola pena principale.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Gli imputati, a mezzo del loro comune difensore, ricorrevano avverso il provvedimento e ne chiedevano l’annullamento limitatamente alla disposta applicazione della pena accessoria per violazione di legge penale e processuale avendo il giudice applicato una “pena illegale” sulla scorta della nuova disciplina introdotta dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. Legge Spazzacorrotti), entrata in vigore dal 31 gennaio 2019, senza tenere conto che il reato per cui si procede era stato commesso prima dell’entrata in vigore della citata riforma rilevandosi al riguardo che l’art. 317-bis c.p., prima della riforma, non prevedeva per il reato de quo ex art. 321 c.p., alcuna pena accessoria.

Inoltre, veniva fatto presente come, prima della riforma in forza del disposto di cui all’art. 166 c.p., comma 1, il beneficio della sospensione condizionale della pena si estendesse inderogabilmente anche alle pene accessorie essendo stata prevista solo dopo l’entrata in vigore della L. n. 3 del 2019 la facoltà per il giudice di non disporre la sospensione della pena accessoria per alcuni reati contro la pubblica amministrazione, tra cui anche quelli previsti dagli artt. 318, 319 e 321 c.p..

Si precisava, infine, come, nell’accordo delle parti, non fosse stata prevista l’applicazione della pena accessoria sollecitata separatamente dal pubblico ministero.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Il ricorso veniva stimato fondato  per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto come la L. 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. Legge Spazzacorrotti), pubblicata sulla GU n. 13 del 16/01/2019, sia entrata in vigore con decorrenza dal 31 gennaio 2019, e quindi dopo la commissione dei reati per cui si procede mentre, nel caso in esame, risultava a carico degli imputati contestato il reato di corruzione ex art. 321 c.p., in relazione alle ipotesi di cui agli artt. 318 e 319 c.p., nella qualità di privati corruttori, commesso fino al 31/12/2018.

Tal che se ne faceva discendere come non fosse revocabile in dubbio che l’applicazione della pena accessoria disposta in violazione dell’art. 2 c.p., comma 4, configuri una ipotesi di pena illegale e, dunque, in quanto tale, censurabile in sede di legittimità ordinaria ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, c.p.p..

Detto questo, veniva altresì osservato al riguardo che, effettivamente, l’art. 317-bis c.p., prima della riforma introdotta con la L. 9 gennaio 2019, n. 3, prevedeva l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici esclusivamente per i reati di cui agli artt. 314, 317, 319 e 319-ter, distinguendo tra interdizione perpetua ed interdizione temporanea a seconda che fosse inflitta una pena per un tempo non inferiore o inferiore a tre anni mentre il nuovo testo dell’art. 317-bis stabilisce ora che “La condanna per i reati di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319-bis e 319-ter, art. 319-quater, comma 1, artt. 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione,…. Nondimeno, se viene inflitta la reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall’art. 323 bis, comma 1, la condanna importa l’interdizione e il divieto temporanei, per una durata non inferiore a cinque anni nè superiore a sette anni”.

Quindi, per quello che rilevava nel caso di specie, in relazione all’art. 321 c.p., che estende per il corruttore le pene previste per il corrotto nelle ipotesi degli artt. 318 e 319 c.p., la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici poteva essere applicata solo in forza dell’art. 29 c.p. e dunque, nel caso di superamento delle soglie di pena della reclusione, per un tempo non inferiore a tre anni per l’interdizione della durata di anni cinque e della reclusione non inferiore ad anni cinque per l’interdizione perpetua.

Ciò posto, veniva inoltre osservato come, sempre per effetto della L. n. 3 del 2019, fosse stato modificato l’art. 445 c.p.p., con l’introduzione dell’art. 445, comma 1-ter c.p.p. che, a fronte del divieto di applicazione delle pene accessorie per il patteggiamento di una pena detentiva non superiore ai due anni, ha introdotto la possibilità di applicare la pena accessoria prevista dall’art. 317-bis c.p., per gli stessi reati contemplati da detto articolo.

Orbene, in relazione a quanto appena esposto, ad avviso del Supremo Consesso, non vi è dubbio che le modifiche introdotte dalla L. n. 3 del 2019, relative all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, essendo norme che aggravano il trattamento sanzionatorio, ampliando i casi in cui se ne deve o può disporre anche in sede di patteggiamento l’applicazione, non possono che applicarsi ai reati commessi dopo la entrata in vigore della legge, in base al principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole previsto dall’art. 2 c.p., comma 4, fermo restando che la violazione di tale principio, incidendo sulla pena, integra una ipotesi di illegalità della pena, che rientra tra i casi tassativamente previsti in cui è ammesso il ricorso per cassazione ex art. 448 c.p.p., comma 2-bis, contro la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p..

Di conseguenza, la sentenza impugnata veniva annullata senza rinvio limitatamente all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque ex art. 317-bis c.p., che doveva essere eliminata perché non prevista dalla legge vigente all’epoca del commesso reato.

 

Conclusioni

 

La decisione in esame è interessante nella parte in cui si afferma, da un lato, che le modifiche introdotte dalla L. n. 3 del 2019, relative all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, essendo norme che aggravano il trattamento sanzionatorio, ampliando i casi in cui se ne deve o può disporre anche in sede di patteggiamento l’applicazione, non possono che applicarsi ai reati commessi dopo la entrata in vigore della legge, in base al principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole previsto dall’art. 2 c.p., comma 4, dall’altro, che la violazione di siffatto principio incidendo sulla pena, integra una ipotesi di illegalità della pena, che rientra tra i casi tassativamente previsti in cui è ammesso il ricorso per cassazione ex art. 448 c.p.p., comma 2-bis, contro la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p..

Siffatta pronuncia, dunque, può essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione processuale ben potendosi impugnare un provvedimento di questo ricorrendo per Cassazione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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