Le misure di prevenzione patrimoniali

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Prefazione – Soggetti destinatari – Titolarità della proposta – Applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali. Morte del proposto – Indagini patrimoniali – Sequestro – Esecuzione del sequestro – Esecuzione del sequestro – Provvedimenti d’urgenza – Procedimento applicativo (parziale rinvio) – Confisca (parziale rinvio) – Sequestro e confisca per equivalente – Intestazione fittizia – Le impugnazioni – Revocazione della confisca – Indipendenza dall’esercizio dell’azione penale – Rapporti con sequestro e confisca disposti in seno a procedimenti penali – Cauzione. Garanzie reali – Confisca della cauzione – L’amministrazione giudiziaria dei beni personali – L’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende – Controllo giudiziario delle aziende – Trattazione prioritaria dei procedimenti di prevenzione patrimoniale

Prefazione

In questo scritto verranno esaminate le misure di prevenzione patrimoniali così come previste nel codice antimafia.

In particolare, verranno analizzati gli articoli di questo codice che vanno dall’art. 16 all’art. 30-ter in cui sono disciplinate queste misure.

Difatti, il titolo II del libro I del d.lgs. n. 159/2011, in cui sono contemplati siffatti articoli, regolamenta per l’appunto le misure di prevenzione patrimoniali.

Non resta dunque che trattare queste disposizioni legislative una per una.

 

Soggetti destinatari

 

L’art. 16 del codice antimafia individua coloro che possono essere soggetti a queste misure di prevenzione.

In tale articolo, invero, al primo comma è stabilito che le disposizioni contenute nel presente titolo, e quindi, come appena visto, in riferimento al titolo inerente le misure di prevenzione patrimoniali, “si applicano: a)  ai soggetti di cui all’articolo 4[1]; b) alle persone fisiche e giuridiche segnalate al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, o ad altro organismo internazionale competente per disporre il congelamento di fondi o di risorse economiche, quando vi sono fondati elementi per ritenere che i fondi o le risorse possano essere dispersi, occultati o utilizzati per il finanziamento di organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”[2].

Va da sé quindi che le misure di prevenzione patrimoniali possono essere comminate nei confronti di tali soggetti fermo restando che, nei “confronti dei soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera i), la misura di prevenzione patrimoniale della confisca può essere applicata relativamente ai beni, nella disponibilità dei medesimi soggetti, che possono agevolare, in qualsiasi modo, le attività di chi prende parte attiva a fatti di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Il sequestro effettuato nel corso di operazioni di polizia dirette alla prevenzione delle predette manifestazioni di violenza è convalidato a norma dell’articolo 22, comma 2”, d.lgs. n. 159/2011 (art. 16, c. 2, d.lgs. n. 159/2011) che esamineremo successivamente.

Titolarità della proposta

L’art. 17 del codice antimafia, dal canto suo, individua chi sono i soggetti legittimati a chiedere l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale.

Tale disposizione legislativa, difatti, stabilisce che nei “confronti delle persone indicate all’articolo 16 possono essere proposte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia le misure di prevenzione patrimoniali di cui al presente titolo” (comma primo) fermo restando che, nei “casi previsti dall’articolo 4, comma 1, lettere c), i), i-bis) e i-ter), le funzioni e le competenze spettanti al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sono attribuite anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona, previo coordinamento con il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto. Nei medesimi casi, nelle udienze relative ai procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione, le funzioni di pubblico ministero possono essere esercitate anche dal procuratore della Repubblica presso il tribunale competente” (comma secondo) e, salvo “quanto previsto al comma 2, nelle udienze relative ai procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione richieste ai sensi del presente decreto, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica di cui al comma 1” (comma terzo).

Da ciò deriva che tali sono i soggetti legittimati a chiedere che vengano applicate tali misure.

Ciò posto, a sua volta il comma terzo-bis dell’art. 17 dispone che il “procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto, attraverso il raccordo informativo con il questore e con il direttore della Direzione investigativa antimafia relativamente alle misure di prevenzione di cui al presente titolo, cura che non si arrechi pregiudizio alle attività di indagine condotte anche in altri procedimenti” (primo capoverso, prima parte) e a “tal fine, il questore territorialmente competente e il direttore della Direzione investigativa antimafia sono tenuti a: a)  dare immediata comunicazione dei nominativi delle persone fisiche e giuridiche nei cui confronti sono disposti gli accertamenti personali o patrimoniali previsti dall’articolo 19; b) tenere costantemente aggiornato e informato il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto sullo svolgimento delle indagini; c) dare comunicazione sintetica per iscritto della proposta al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto almeno dieci giorni prima della sua presentazione al tribunale” (primo capoverso, seconda parte) e il “procuratore nei dieci giorni successivi comunica all’autorità proponente l’eventuale sussistenza di pregiudizi per le indagini preliminari in corso” (primo capoverso, terza parte) e in “tali casi, il procuratore concorda con l’autorità proponente modalità per la presentazione congiunta della proposta” (secondo capoverso).

La finalità di tale norma giuridica, dunque, è quello di evitare che un procedimento di prevenzione possa in qualche modo vanificare un procedimento penale ancora in corso con particolar riguardo alle indagini che si stanno svolgendo, e ciò avviene nei termini prescritti da tale disposizione legislativa nei termini appena esposti.

Applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali. Morte del proposto

L’art. 18 del d.lgs. n. 159/2011 regola il modo con cui sono richieste e applicate le misure di prevenzione patrimoniali nonché disciplina la peculiare ipotesi in cui il proposto sia deceduto.

Orbene, partendo dalla prima problematica, tale disposizione legislativa, al primo comma, statuisce che le “misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione”.

Tal che ne consegue che, per quanto concerne le misure di prevenzione patrimoniali, non solo queste misure possono essere applicate anche se quelle personali non sono disposte, ma pure a prescindere se il soggetto proposto per la loro applicazione sia socialmente pericoloso quando viene domandata l’applicazione di una misura di prevenzione fermo restando però che tale pericolosità deve essere “accertata con riferimento all’epoca dell’acquisto del bene oggetto della richiesta ablatoria”[3].

Oltre a ciò, è disposto che le “misure di prevenzione patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione” (art. 18, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e in “tal caso il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa” (art. 18, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) così come il “procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca” (art. 18, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e in “tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso” (art. 18, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Ebbene, per comprendere la portata applicativa di tali commi, giova osservare come in sede nomofilattica sia stato rilevato quanto segue: a) in “tema di misure di prevenzione patrimoniali, è legittima la confisca disposta a carico degli eredi di un soggetto deceduto la cui appartenenza ad un’associazione mafiosa sia accertata in via incidentale dopo la morte e sulla base di elementi sopravvenuti rispetto a quelli che, in un precedente procedimento di prevenzione, avevano condotto all’esclusione della pericolosità”[4]; b) in “tema di misure di prevenzione patrimoniale nei confronti dei successori a titolo universale o particolare di persona deceduta, il limite di cinque anni dal decesso previsto dall’art. 18, comma terzo, del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, entro il quale la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta contro il successore, si riferisce solo al caso in cui detta richiesta attinge i beni da quest’ultimo effettivamente acquisiti “iure successionis”, in relazione alla pericolosità sociale del “de cuius””[5]; c) in “tema di misure di prevenzione patrimoniale, le nozioni di erede e di successore a titolo universale o particolare di cui all’art. 18, commi 2 e 3, d.lgs. n. 159 del 2011, sono quelle proprie del codice civile”[6]; d) nell’“ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimoniale prosegua ovvero sia esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso (cfr. art. 18, commi 2 e 3, d.lg. 6 settembre 2011 n. 159), la confisca può avere a oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella “disponibilità” del de cuius, per essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi”[7]; e) nel “procedimento per l’applicazione di misura patrimoniale nei confronti degli eredi di persona deceduta, il rinvenimento di altri beni, siano essi pervenuti ai successori ovvero a terzi intestatari del “de cuius”, richiede necessariamente la presentazione di un’ulteriore, autonoma, proposta di applicazione della misura patrimoniale, che può ritenersi tempestiva solo se presentata entro il limite temporale stabilito dall’art. 18, comma terzo, del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159”[8].

Ciò posto, è inoltre sancito che il “procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato o proseguito anche in caso di assenza, residenza o dimora all’estero della persona alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione, su proposta dei soggetti di cui all’articolo 17 competenti per il luogo di ultima dimora dell’interessato, relativamente ai beni che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” (art. 18, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) così come agli “stessi fini il procedimento può essere iniziato o proseguito allorché la persona è sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva o alla libertà vigilata” (art. 18, c. 5, d.lgs. n. 159/2011).

Ebbene, va a tal proposito rilevato che, come affermato dalla Cassazione, “le nozioni di residenza o dimora all’estero che, ai sensi dell’art. 18, comma quarto, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, consentono l’avvio o la prosecuzione del procedimento di prevenzione patrimoniale su beni che si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, si identificano nel luogo di stabile abitazione, formale o sostanziale, del soggetto proposto”[9] nel senso che ciò che rileva nel caso di specie è “il riferimento al luogo di stabile abitazione del soggetto proposto, sia esso conforme alle risultanze formali (residenza) oppure no (dimora)”[10].

Da ciò deriva che “lo spostamento all’estero del proposto deve avere il carattere se non delle definitività quanto meno della stabilità”[11].

Indagini patrimoniali

L’art. 19 del codice antimafia disciplina le indagini patrimoniali stabilendo che i soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, d.lgs. n. 159/2011: 1) “procedono, anche a mezzo della guardia di finanza o della polizia giudiziaria, ad indagini sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e sul patrimonio dei soggetti indicati all’articolo 16 nei cui confronti possa essere proposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con o senza divieto od obbligo di soggiorno, nonché, avvalendosi della guardia di finanza o della polizia giudiziaria, ad indagini sull’attività economica facente capo agli stessi soggetti allo scopo anche di individuare le fonti di reddito” (primo comma) accertando, in particolare, “se dette persone siano titolari di licenze, di autorizzazioni, di concessioni o di abilitazioni all’esercizio di attività imprenditoriali e commerciali, comprese le iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri, se beneficiano di contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concesse o erogate da parte dello Stato, degli enti pubblici o dell’Unione europea” (secondo comma) fermo restando che le “indagini sono effettuate anche nei confronti del coniuge, dei figli e di coloro che nell’ultimo quinquennio[12] hanno convissuto con i soggetti indicati al comma 1 nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente” (terzo comma[13]); 2) “possono richiedere, direttamente o a mezzo di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio nonché alle imprese, società ed enti di ogni tipo informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti dei soggetti di cui ai commi 1, 2 e 3” di questo articolo (quarto comma, primo capoverso) nonché possono “altresì accedere, senza nuovi o maggiori oneri, al Sistema per l’interscambio di flussi dati (SID) dell’Agenzia delle entrate e richiedere quanto ritenuto utile ai fini delle indagini. Previa autorizzazione del procuratore della Repubblica o del giudice procedente, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono procedere al sequestro della documentazione di cui al primo periodo con le modalità di cui agli articoli 253, 254, e 255 del codice di procedura penale” (quarto comma, secondo capoverso) che, a loro volta, statuiscono quanto sussegue: artt. 253 (“1. L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. 2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. 3. Al sequestro procede personalmente l’autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato con lo stesso decreto. 4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all’interessato, se presente”); 254 (“1. Presso coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di telecomunicazioni è consentito procedere al sequestro di lettere, pieghi, pacchi, valori, telegrammi e altri oggetti di corrispondenza, anche se inoltrati per via telematica, che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere spediti dall’imputato o a lui diretti, anche sotto nome diverso o per mezzo di persona diversa, o che comunque possono avere relazione con il reato. 2. Quando al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria, questi deve consegnare all’autorità giudiziaria gli oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli o alterarli e senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto. 3. Le carte e gli altri documenti sequestrati che non rientrano fra la corrispondenza sequestrabile sono immediatamente restituiti all’avente diritto e non possono comunque essere utilizzati”) e 255 (“1. L’autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all’imputato o non siano iscritti al suo nome”) c.p.p..

Detto questo, è infine stabilito che, nel “corso del procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione iniziato nei confronti delle persone indicate nell’articolo 16, il tribunale, ove necessario, può procedere ad ulteriori indagini oltre quelle già compiute a norma dei commi che precedono” (art. 19, c. 5, d.lgs. n. 159/2011).

 

Sequestro

 

L’art. 20 del d.lgs. n. 159/2011 norma il sequestro.

Nel dettaglio, ai sensi del comma primo è disposto che il Tribunale, da un lato, “anche d’ufficio, con decreto motivato, ordina il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, ovvero dispone le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti” (primo capoverso), dall’altro, “quando dispone il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie, ordina il sequestro dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile, anche al fine di consentire gli adempimenti previsti dall’articolo 104 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271” (secondo capoverso) fermo restando, per un verso, che in “ogni caso il sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali totalitarie si estende di diritto a tutti i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile” (terzo capoverso), per altro verso, nel “decreto di sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali il tribunale indica in modo specifico i conti correnti e i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile ai quali si estende il sequestro” (quarto capoverso).

Ciò posto, sempre il Tribunale, inoltre, prima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis del codice antimafia (che esamineremo successivamente) e di fissare l’udienza, “restituisce gli atti all’organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34-bis” del d.lgs. n. 159/2011 (art. 20, c. 2, d.lgs. n. 159/2011).

Ad ogni modo, il “sequestro è revocato dal tribunale quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l’indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente o in ogni altro caso in cui è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale” (art. 20, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) ma l’“eventuale revoca del provvedimento non preclude l’utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi dell’articolo 19” del codice antimafia (art. 20, c. 4, d.lgs. n. 159/2011).

Detto questo, va infine osservato che il “tribunale ordina le trascrizioni e le annotazioni consequenziali nei pubblici registri, nei libri sociali e nel registro delle imprese” (art. 20, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011)[14] e il “decreto di sequestro e il provvedimento di revoca, anche parziale, del sequestro sono comunicati, anche in via telematica, all’Agenzia di cui all’articolo 110 subito dopo la loro esecuzione” (art. 20, c. 5, d.lgs. n. 159/2011) ossia l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

Esecuzione del sequestro

L’art. 21 del codice antimafia stabilisce il modo attraverso il quale deve essere eseguito il sequestro disposto ai sensi della norma giuridica precedente.

In particolare, è ivi previsto innanzitutto che il “sequestro è eseguito con le modalità previste dall’articolo 104 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271” (comma primo, primo capoverso) e dunque rileva per tale ipotesi siffatta norma attuativa del c.p.p. che dispone quanto segue: “1. Il sequestro preventivo è eseguito: a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili; b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; c) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l’immissione in possesso dell’amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa; d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese; e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170. 2. Si applica altresì la disposizione dell’articolo 92”.

Ciò posto, dal canto suo la “polizia giudiziaria, eseguite le formalità ivi previste, procede all’apprensione materiale dei beni e all’immissione dell’amministratore giudiziario nel possesso degli stessi, anche se gravati da diritti reali o personali di godimento, con l’assistenza, ove ritenuto opportuno, dell’ufficiale giudiziario” (art. 21, c. 1, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) mentre il “giudice delegato alla procedura ai sensi dell’articolo 35, comma 1, sentito l’amministratore giudiziario, valutate le circostanze, ordina lo sgombero degli immobili occupati senza titolo ovvero sulla scorta di titolo privo di data certa anteriore al sequestro, mediante l’ausilio della forza pubblica” (art. 21, c. 2, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che il “rimborso delle spese postali e dell’indennità di trasferta spettante all’ufficiale giudiziario è regolato dalla legge 7 febbraio 1979, n. 59” (art. 21, c. 3, d.lgs. n. 159/2011).

Provvedimenti d’urgenza

L’art. 22 del codice antimafia regola i provvedimenti d’urgenza essendo ivi sancito che, quando “vi sia concreto pericolo che i beni di cui si prevede debba essere disposta la confisca vengano dispersi, sottratti od alienati, i soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2 possono, unitamente alla proposta, richiedere al presidente del tribunale competente per l’applicazione della misura di prevenzione di disporre anticipatamente il sequestro dei beni prima della fissazione dell’udienza” (comma primo, primo capoverso) e il “presidente del tribunale provvede con decreto motivato entro cinque giorni dalla richiesta” (comma primo, secondo capoverso) mentre il “sequestro eventualmente disposto perde efficacia se non convalidato dal tribunale entro trenta giorni dalla proposta[15]” (comma primo, terzo capoverso) fermo restando che, nel “corso del procedimento, a richiesta dei soggetti di cui al comma 1 o degli organi incaricati di svolgere ulteriori indagini a norma dell’articolo 19, comma 5, nei casi di particolare urgenza il sequestro è disposto dal presidente del tribunale con decreto motivato e perde efficacia se non è convalidato dal tribunale nei trenta giorni successivi” (comma secondo, primo capoverso) così come analogamente “si procede se, nel corso del procedimento, anche su segnalazione dell’amministratore giudiziario, emerge l’esistenza di altri beni che potrebbero formare oggetto di confisca” (comma secondo, secondo capoverso).

Oltre a ciò, è altresì disposto che ai “fini del computo del termine per la convalida si tiene conto delle cause di sospensione previste dall’articolo 24, comma 2”; d.lgs. n. 159/2011 (art. 22, c. 2-bis, d.lgs. n. 159/2011) e dunque rileva questa disposizione legislativa che esamineremo successivamente,

Procedimento applicativo (parziale rinvio)

Il procedimento attraverso cui si applicano le misure di prevenzione patrimoniali è regolato dall’art. 23 del codice antimafia.

Difatti, tale precetto normativo stabilisce prima di tutto al primo comma che, salvo “che sia diversamente disposto, al procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I” ossia il procedimento applicativo previsto dall’art. 4 e ss. del codice antimafia per le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria (a cui si rinvia).

Ciò posto, a loro volta i “terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati, nei trenta giorni successivi all’esecuzione del sequestro, sono chiamati dal tribunale ad intervenire nel procedimento con decreto motivato che contiene la fissazione dell’udienza in camera di consiglio” (art. 23, c. 2, d.lgs. n. 159/2011)[16] così come il comma appena citato “si applica anche nei confronti dei terzi che vantano diritti reali o personali di godimento[17] nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro” (art. 23, c. 4, d.lgs. n. 159/2011[18]) fermo restando che, se non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 26 del codice antimafia (che esamineremo dopo), “per la liquidazione dei relativi diritti si applicano le disposizioni di cui al titolo IV del presente libro” (art. 23, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) vale a dire le norme aventi ad oggetto la tutela dei terzi e i rapporti con le procedura concorsuali (artt. 52-65 del codice antimafia) a cui si rinvia.

Precisato ciò, sempre per quanto concerne i terzi, è inoltre preveduto che all’“udienza gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca” (art. 23, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e se non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 24 del codice antimafia (che analizzeremo successivamente), “il tribunale ordina la restituzione dei beni ai proprietari” (art. 23, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Confisca (parziale rinvio)

Tra le misure di prevenzione patrimoniali da doversi prendere in considerazione in relazione a quanto previsto nel codice antimafia, vi è la confisca che a sua volta è regolata dall’art. 24 del d.lgs. n. 159/2011.

Difatti, in questa disposizione legislativa è preveduto che il Tribunale, da una parte, “dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” (art. 24, c. 1, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (e dunque è richiesta “una pluralità di parametri probatori: un primo di carattere negativo, per cui occorre che la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento di prevenzione, non possa giustificare la legittima provenienza dei beni sequestrati; un secondo di carattere positivo, attinente alla relazione tra i beni e il proposto, per cui è necessario che lo stesso soggetto, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo dei beni; in ultimo, un terzo parametro, anch’esso di carattere positivo, concernente la derivazione illecita dei cespiti patrimoniali disponibili, che devono presentare un valore sproporzionato al reddito, dichiarato ai fini delle imposte dirette, o all’attività economica del proposto, ovvero che essi devono risultare essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego; l’impiego del termine « risultare » con riferimento alla disponibilità dei beni, ma anche alla loro derivazione (« risultino »), corrisponda alla necessità di una prova rigorosa, fondata su indizi gravi, precisi e concordanti”[19]), dall’altra, “quando dispone la confisca di partecipazioni sociali totalitarie, ordina la confisca anche dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile” (art. 24, c. 1-bis, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) indicando nel decreto di confisca avente ad oggetto partecipazioni sociali “in modo specifico i conti correnti e i beni costituiti in azienda ai sensi degli articoli 2555 e seguenti del codice civile ai quali si estende la confisca” (art. 24, c. 1-bis, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011)[20] fermo restando che in “ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale” ” (art. 24, c. 1, secondo capoverso, prima parte, d.lgs. n. 159/2011) e se “il tribunale non dispone la confisca, può applicare anche d’ufficio le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti” (art. 24, c. 1, secondo capoverso, seconda parte, d.lgs. n. 159/2011) (articoli questi che esamineremo successivamente) considerato altresì che il “sequestro e la confisca possono essere adottati, su richiesta dei soggetti di cui all’articolo 17, commi 1 e 2, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione di una misura di prevenzione personale” (art. 24, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e sulla “richiesta provvede lo stesso tribunale che ha disposto la misura di prevenzione personale, con le forme previste per il relativo procedimento e rispettando le disposizioni del presente titolo” (art. 24, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) rilevato comunque che la richiesta di confisca “può essere proposta anche con riguardo a beni non previamente sottoposti a sequestro con autonomo provvedimento, potendo il sequestro e la confisca essere adottati anche contestualmente con un unico atto”[21].

Ad ogni modo, il “provvedimento di sequestro perde efficacia se il tribunale non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario” (art. 24, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (e ciò “determina l’obbligo di restituzione dei beni sequestrati, in mancanza della quale, anche qualora intervenga un nuovo sequestro seguito da confisca, i titolari dei beni potranno richiedere, nelle sedi competenti, gli importi corrispondenti alla illegittima mancata restituzione e fruizione dei beni medesimi tra la data di scadenza del termine e l’imposizione del nuovo vincolo coercitivo”[22]) e con “il provvedimento di revoca o di annullamento definitivi del decreto di confisca è ordinata la cancellazione di tutte le trascrizioni e le annotazioni” (art. 24, c. 2-bis, d.lgs. n. 159/2011) ma nel “caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per sei mesi” (art. 24, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011)[23] tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, ai “fini del computo dei termini suddetti, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili[24]; il termine resta sospeso per un tempo non superiore a novanta giorni ove sia necessario procedere all’espletamento di accertamenti peritali sui beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente” (art. 24, c. 2, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011)[25], dall’altro, il “termine resta altresì sospeso per il tempo necessario per la decisione definitiva sull’istanza di ricusazione presentata dal difensore e per il tempo decorrente dalla morte del proposto, intervenuta durante il procedimento, fino all’identificazione e alla citazione dei soggetti previsti dall’articolo 18, comma 2, nonché durante la pendenza dei termini previsti dai commi 10-sexies, 10-septies e 10-octies dell’articolo 7” del codice antimafia (art. 24, c. 2, quarto capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (a cui si rinvia).

Sequestro e confisca per equivalente

Sempre per quanto attiene il sequestro e la confisca, l’art. 25 del codice antimafia stabilisce che dopo “la presentazione della proposta, se non è possibile procedere al sequestro dei beni di cui all’articolo 20, comma 1, perché il proposto non ne ha la disponibilità, diretta o indiretta, anche ove trasferiti legittimamente in qualunque epoca a terzi in buona fede, il sequestro e la confisca hanno ad oggetto altri beni di valore equivalente e di legittima provenienza dei quali il proposto ha la disponibilità, anche per interposta persona” (primo comma) fermo restando che, nei “casi di cui all’articolo 18, commi 2 e 3, si procede con le modalità di cui al comma 1 del presente articolo nei riguardi dei soggetti nei cui confronti prosegue o inizia il procedimento con riferimento a beni di legittima provenienza loro pervenuti dal proposto” (secondo comma).

E’ dunque consentito disporre il sequestro e la confisca aventi ad oggetto altri beni di valore equivalente, seppur di legittima provenienza, di cui il proposto ha la disponibilità (e quindi non è necessario che costui ne sia l’effettivo proprietario), anche per interposta persona, nella misura in cui sia possibile procedere al sequestro perché questi non ne ha la disponibilità, né immediata, né mediata, del bene che doveva essere sequestrato o confiscato anche laddove siffatti beni siano stati trasferiti in conformità alla legge, senza vincoli temporali di sorta, a terzi, purchè costoro siano stati in buona fede nell’acquistarli dato che, invece, è consentita, “la confisca del bene che si accerti essere stato dai successori del “de cuius” fittiziamente trasferito a terzi in mala fede”[26].

 

Intestazione fittizia

 

“Quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione” (art. 26, c. 1, d.lgs. n. 159/2011) (la quale a sua volta “non è pregiudiziale ai fini della validità della confisca, ma costituisce un obbligo conseguenziale all’accertamento della fittizietà, la cui inosservanza non integra vizi rilevanti ai sensi degli artt. 177 ss. cod. proc. pen., bensì un’omissione rimediabile, anche d’ufficio, con la procedura ex art. 130 cod. proc. pen.”[27]) fermo restando che, “fino a prova contraria si presumono fittizi: a)  i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b)  i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione” (art. 26, c. 2, d.lgs. n. 159/2011).

Di conseguenza, alla stregua di quanto prevista da tale disposizione legislativa, non solo è previsto che il giudice, nel disporre con decreto la confisca, dichiara la nullità dei relativi atti dispositivi allorchè viene accertato che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, ma è altresì stabilito ex lege quanto questi atti si possono presumere fittizi essendo ivi stabilito, come appena visto, attraverso presunzioni che “si riferiscono esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità e non riguardano anche gli atti dei suoi successori”[28], che debbano considerarsi tali, salvo prova contraria[29], i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente[30], nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado e i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione.

Ciò posto, va infine rilevato che, salvo “che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bise 648-ter, è punito con la reclusione da due a sei anni” (art. 512-bis c.p.).

Le impugnazioni

Per quanto concerne le impugnazioni, all’art. 27 è ivi disposto che i “provvedimenti con i quali il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, l’applicazione, il diniego o la revoca[31] del sequestro, il rigetto della richiesta di confisca anche qualora non sia stato precedentemente disposto il sequestro ovvero la restituzione della cauzione o la liberazione delle garanzie o la confisca della cauzione o l’esecuzione sui beni costituiti in garanzia sono comunicati senza indugio al procuratore generale presso la corte di appello, al procuratore della Repubblica e agli interessati” (comma primo) fermo restando che, per un verso, per “le impugnazioni contro detti provvedimenti si applicano le disposizioni previste dall’articolo 10” del codice antimafia (comma secondo, primo capoverso) già esaminato prima, per altro verso, i “provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati, la confisca della cauzione o l’esecuzione sui beni costituiti in garanzia diventano esecutivi con la definitività delle relative pronunce” (comma secondo, secondo capoverso) mentre i “provvedimenti del tribunale che dispongono la revoca del sequestro divengono esecutivi dieci giorni dopo la comunicazione alle parti, salvo che il pubblico ministero, entro tale termine, ne chieda la sospensione alla corte di appello”[32] (comma terzo, primo capoverso) e in “tal caso, se la corte entro dieci giorni dalla sua presentazione non accoglie la richiesta, il provvedimento diventa esecutivo; altrimenti la esecutività resta sospesa fino a quando nel procedimento di prevenzione sia intervenuta pronuncia definitiva in ordine al sequestro”[33] (comma terzo, secondo capoverso).

Ad ogni modo, il “provvedimento che, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, sospende l’esecutività può essere in ogni momento revocato dal giudice che procede” (comma terzo, terzo capoverso).

Ciò posto, per quanto concerne il secondo grado di giudizio, è previsto che i “provvedimenti della corte di appello che, in riforma del decreto di confisca emesso dal tribunale, dispongono la revoca del sequestro divengono esecutivi dieci giorni dopo la comunicazione alle parti, salvo che il procuratore generale, entro tale termine, ne chieda la sospensione alla medesima corte di appello” (art. 27, c. terzo-bis, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e in “tal caso, se la corte entro dieci giorni dalla sua presentazione non accoglie la richiesta, il provvedimento diventa esecutivo; altrimenti l’esecutività resta sospesa fino a quando nel procedimento di prevenzione sia intervenuta pronuncia definitiva” (art. 27, c. terzo-bis, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Ad ogni modo, il “giudice d’appello che intenda riformare “in peius” la decisione di rigetto della proposta adottata in primo grado non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.[34], né ad una motivazione rafforzata del decreto di appello”[35].

Inoltre, sempre in relazione a tale grado di giudizio, è altresì preveduto che, in “caso di appello, il provvedimento di confisca perde efficacia se la corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso[36]” (art. 27, c. 6, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (ma ciò “non preclude, in assenza di una previsione espressa in tale senso, la rinnovazione del provvedimento ablativo caducato, stante la natura endoprocessuale di siffatto termine e il carattere meramente formale del vizio”[37]) e si “applica l’articolo 24, comma 2”, d.lgs. n. 159/2011 (art. 27, c. 6, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (già esaminato in precedenza[38]).

Detto questo, per quanto attiene le impugnazioni in generale, “il cancelliere presso il giudice investito del gravame dà immediata notizia al tribunale che ha emesso il provvedimento della definitività della pronuncia” (art. 27, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) e, dopo “l’esercizio dell’azione di prevenzione, e comunque quando il pubblico ministero lo autorizza, gli esiti delle indagini patrimoniali sono trasmessi al competente nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza a fini fiscali” (art. 27, c. 5, d.lgs. n. 159/2011).

Oltre a ciò, è stabilito che, nel “caso di annullamento del decreto di confisca con rinvio al tribunale, anche ove disposto ai sensi dei commi 2-bis e 3-bis dell’articolo 10, il termine previsto dal comma 2 dell’articolo 24 decorre nuovamente dalla ricezione degli atti presso la cancelleria del tribunale stesso” (art. 27, c. 6-bis, d.lgs. n. 159/2011) mentre “in caso di annullamento senza rinvio del decreto di inammissibilità dell’appello proposto avverso il decreto di confisca, nell’ulteriore giudizio di secondo grado, radicatosi a seguito della trasmissione degli atti da parte della Corte di cassazione, il termine di un anno e sei mesi previsto dall’art. 27, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, decorre “ex novo” dal deposito della sentenza di annullamento”[39] ma non “non può essere rilevata d’ufficio dalla Corte di cassazione la perdita di efficacia della confisca per avere il giudice d’appello depositato il decreto oltre il termine di un anno e sei mesi previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, atteso che la stessa non è giudice del procedimento in cui si è verificato l’evento cui la legge riconnette effetto caducatorio, ma, salve eccezioni tassativamente previste, esercita un controllo di legittimità sulla decisione impugnata esclusivamente nei limiti prospettati con i motivi di ricorso”[40].

Per quanto concerne il giudizio di legittimità, “il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, sicchè il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. è estraneo al procedimento di legittimità, a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge”[41] fermo restando che, da un lato, nella nozione “violazione di legge” “va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio”[42], dall’altro, “è inammissibile il ricorso “per saltum” in cassazione contro le decisioni del tribunale, in quanto, in base al combinato disposto degli artt. 10 e 27 d.lg. 6 settembre 2011, n.159, è esperibile il solo ricorso dinanzi alla corte d’appello”[43] tenuto conto altresì del fatto che la “competenza a decidere sulla richiesta di revoca o di modificazione delle prescrizioni inerenti a una misura di prevenzione spetta, nel caso di giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione, al giudice che ha emesso il decreto impositivo della misura, in quanto in detta fase il giudice di appello non è più investito di alcuna valutazione in ordine al riesame della pericolosità del proposto, che, pertanto, non può essere privato di un grado di giudizio sull’istanza medesima”[44].

Revocazione della confisca

L’art. 28 del codice antimafia regola la revocazione della confisca essendo ivi stabilito al primo comma che la “revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta, nelle forme previste dagli articoli 630 e seguenti del codice di procedura penale, in quanto compatibili, alla corte di appello individuata secondo i criteri di cui all’articolo 11 dello stesso codice: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b)  quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c)  quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato”.

Dunque, è possibile revocare la confisca di prevenzione osservando le forme previste per il procedimento di revisione (art. 630 e ss. c.p.p.) nella misura in cui le disposizioni legislative che la contemplano siano compatibili[45] adendo la Corte di Appello da doversi individuare a norma dell’art. 11 c.p.p.[46][47] ove ricorra una di queste condizioni: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive ossia quelle prove che consentono “la revoca della misura di prevenzione deve presentarsi, nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, come un fattore che determini una decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la decisione, non essendo, quindi, sufficiente evocare un qualsiasi elemento favorevole che finirebbe per trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio straordinario in una non consentita forma di impugnazione tardiva”[48], sopravvenute alla conclusione del procedimento ma “la prova nuova rilevante ai fini della revocazione “ex tunc” è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del relativo procedimento e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, come desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per la proposizione della richiesta di revoca, che delimita l’ambito temporale di ammissibilità dell’istituto e lo differenzia dal procedimento di revisione della condanna”[49] tenuto però conto che “per prove nuove “sopravvenute” devono intendersi anche quelle preesistenti, ma scoperte solo dopo che la revocanda statuizione di confisca sia divenuta definitiva, e quindi non valutate nemmeno implicitamente”[50]; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca fermo restando però che “il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione non integra automaticamente la causa di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), d.lg. 6 settembre 2011, n.159, attesa l’autonomia del giudizio di prevenzione da quello penale, con la conseguenza che la misura può essere revocata solo ed esclusivamente se il processo penale abbia accertato, nel merito, l’assoluta estraneità del proposto ai fatti reato sulla base dei quali, essendo stato ritenuto pericoloso, era stata ordinata la confisca”[51] “con la conseguenza che la misura di prevenzione può legittimamente essere mantenuta, pur a fronte di detto giudicato, nei seguenti casi: a) gli elementi di fatto esclusi dal giudicato costituiscono solo una frazione minusvalente degli episodi storici valutati dal giudice della prevenzione; b) il giudizio di prevenzione è fondato su elementi cognitivi indipendenti e diversi da quelli acquisiti in sede penale; c) il tipo di pericolosità prevenzionale si discosta sensibilmente dai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto della sentenza penale”[52]; c)  quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

Ciò posto, in “ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura” (art. 28, c. 2, d.lgs. n. 159/2011)[53] fermo restando che la “richiesta di revocazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi di cui al comma 1, salvo che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile” (art. 28, c. 3, d.lgs. n. 159/2011).

Detto questo, a sua volta la Corte di Appello, quando accoglie la richiesta di revocazione, “provvede, ove del caso, ai sensi dell’articolo 46” del codice antimafia (art. 28, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) il quale a sua volta statuisce quanto sussegue: “1.  La restituzione dei beni confiscati, ad eccezione dei beni culturali di cui all’articolo 10, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi degli articoli 136 e seguenti del medesimo codice, e successive modificazioni, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, può avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali o sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile di cui alle lettere a), b) e c) dell’articolo 48, comma 3, del presente decreto e la restituzione possa pregiudicare l’interesse pubblico. In tal caso l’interessato nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene ha diritto alla restituzione di una somma equivalente al valore del bene confiscato come risultante dal rendiconto di gestione, al netto delle migliorie, rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua. In caso di beni immobili, si tiene conto dell’eventuale rivalutazione delle rendite catastali. 2.  Il comma 1 si applica altresì quando il bene sia stato venduto. 3.  Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il tribunale determina il valore del bene e ordina il pagamento della somma, ponendola a carico: a) del Fondo Unico Giustizia, nel caso in cui il bene sia stato venduto; b)  dell’amministrazione assegnataria, in tutti gli altri casi”.

Ad ogni modo, il “provvedimento di revocazione della confisca di prevenzione, disposto ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, fa sorgere, in capo al soggetto già destinatario del provvedimento ablatorio, un corrispondente diritto alla restituzione di quanto confiscato, che non è condizionato ad alcuna valutazione di opportunità e, salve le ipotesi di restituzione per equivalente previste dall’art. 46 d.lgs. n. 159 del 2011, determina l’obbligo alla restituzione da parte dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, ai sensi dell’art. 44 del medesimo decreto legislativo[54][55].

Invece, nel caso di reiezione, è “ammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revocazione, in quanto lo stesso ha carattere di definitività e il rinvio operato dall’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 alle forme dell’art. 630 cod. proc. pen. e seguenti, in tema di revisione delle sentenze di condanna, implica l’applicabilità anche dell’art. 640 cod. proc. pen., che prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione”[56] e, nel qual caso, “il ricorso per cassazione avverso la decisione di rigetto della richiesta di revocazione non soggiace a limitazioni in ordine ai motivi deducibili, essendo detto ricorso regolato, in forza del rinvio dell’art. 28, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 alle forme degli artt. 630 e ss. cod. proc. pen., dall’art. 640 cod. proc. pen., che non prevede alcuna limitazione al riguardo”[57] ma non “è ricorribile per cassazione l’ordinanza con cui il giudice, investito della richiesta di revocazione della confisca di prevenzione definitiva, declini la propria competenza e disponga la trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente, non essendo previsti rimedi preventivi a fini regolativi della competenza se non nei casi in cui venga elevato conflitto”[58].

Indipendenza dall’esercizio dell’azione penale

 

L’art. 29 del codice antimafia conferma come il procedimento di prevenzione sia autonomo da quello penale essendo ivi disposto che l’“azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale”.

Da ciò deriva che l’esercizio dell’azione di prevenzione può avvenire anche se non ci siano ancora indagini in corso in materia penale.

 

Rapporti con sequestro e confisca disposti in seno a procedimenti penali

 

Il sequestro e la confisca di prevenzione possono essere disposti anche in relazione a beni già sottoposti a sequestro in un procedimento penale” (art. 30, c. 1, primo capoverso, prima parte, d.lgs. n. 159/2011) e in “tal caso la custodia giudiziale dei beni sequestrati nel processo penale viene affidata all’amministratore giudiziario, il quale provvede alla gestione dei beni stessi ai sensi del titolo III” (art. 30, c. 1, primo capoverso, seconda parte, d.lgs. n. 159/2011) ossia i beni sequestrati e confiscati sottoposti all’amministrazione, alla gestione e alla destinazione secondo quanto previsto dall’art. 35 all’art. 51-bis del codice antimafia.

Ciò posto, l’amministratore giudiziario, dal canto suo, “comunica al giudice del procedimento penale, previa autorizzazione del tribunale che ha disposto la misura di prevenzione, copia delle relazioni periodiche” (art. 30, c. 1, secondo capoverso, prima parte, d.lgs. n. 159/2011) e, in “caso di revoca del sequestro o della confisca di prevenzione, il giudice del procedimento penale provvede alla nomina di un nuovo custode, salvo che ritenga di confermare quello già nominato nel procedimento di prevenzione” (art. 30, c. 1, secondo capoverso, seconda parte, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che, nel “caso previsto dall’articolo 104-bis disp. att. c.p.p.[59], l’amministratore giudiziario nominato nel procedimento penale prosegue la propria attività nel procedimento di prevenzione, salvo che il tribunale, con decreto motivato e sentita l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, di seguito denominata «Agenzia», non provveda alla sua revoca e sostituzione” (art. 30, c. 1, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Oltre a ciò, è stabilito che nel “caso previsto dal comma 1, primo periodo, se la confisca definitiva di prevenzione interviene prima della sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca dei medesimi beni in sede penale, si procede in ogni caso alla gestione, vendita, assegnazione o destinazione ai sensi del titolo III. Il giudice, ove successivamente disponga la confisca in sede penale, dichiara la stessa già eseguita in sede di prevenzione” (art. 30, c. 2, d.lgs. n. 159/2011) mentre se “la sentenza irrevocabile di condanna che dispone la confisca interviene prima della confisca definitiva di prevenzione, il tribunale, ove abbia disposto il sequestro e sia ancora in corso il procedimento di prevenzione, dichiara, con decreto, che la stessa è stata già eseguita in sede penale” (art. 30, c. 3, d.lgs. n. 159/2011)  ma, da un lato, nei “casi previsti dai commi 2 e 3, in ogni caso la successiva confisca viene trascritta, iscritta o annotata ai sensi dell’articolo 21” del codice antimafia (art. 30, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) (già esaminato prima), dall’altro, le “disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche nel caso in cui il sequestro disposto nel corso di un giudizio penale sopravvenga al sequestro o alla confisca di prevenzione” (art. 30, c. 5, d.lgs. n. 159/2011).

Cauzione. Garanzie reali

Per quanto inerisce le misure di prevenzioni patrimoniali diverse dalla confisca, l’art. 31 del codice antimafia stabilisce che il “tribunale, con l’applicazione della misura di prevenzione, dispone che la persona sottoposta a tale misura versi presso la cassa delle ammende una somma, a titolo di cauzione, di entità che, tenuto conto anche delle sue condizioni economiche e dei provvedimenti adottati a norma dell’articolo 22, costituisca un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte” (comma primo) e questo provvedimento, tenuto conto che “l’art. 31 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, non prevede alcun limite massimo di valore della somma da versare presso la cassa delle ammende a titolo di cauzione, demandandone la determinazione dell’entità alla discrezionalità del giudice, nell’ambito di una ponderata valutazione delle condizioni economiche del sottoposto e dei provvedimenti di urgenza adottati a norma dell’art. 22 d.lg. cit., in funzione di un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte”[60],  “non è impugnabile in base al principio di tassatività di cui all’art. 568, comma 1, c.p.p., non essendo prevista dalla legge nei suoi confronti alcuna forma di gravame”[61] fermo restando che, per un verso, fuori “dei casi previsti dall’articolo 9, il tribunale può imporre alla persona denunciata, in via provvisoria e qualora ne ravvisi l’opportunità, le prescrizioni previste dall’articolo 8, commi 3 e 4”, d.lgs. n. 159/2011 (comma secondo, primo capoverso), per altro verso, con “il provvedimento, il tribunale può imporre la cauzione di cui al comma 1” di questo articolo (comma secondo, secondo capoverso).

Oltre a ciò, è disposto che il “deposito può essere sostituito, su istanza dell’interessato, dalla presentazione di idonee garanzie reali” (art. 31, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e le “spese relative alle garanzie reali previste dal presente comma sono anticipate dall’interessato secondo le modalità stabilite dal tribunale” (art. 31, c. 3, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) il quale, dal canto suo, da una parte, “provvede circa i modi di custodia dei beni dati in pegno e dispone, riguardo ai beni immobili, che il decreto con il quale accogliendo l’istanza dell’interessato è disposta l’ipoteca legale sia trascritto presso l’ufficio delle conservatorie dei registri immobiliari del luogo in cui i beni medesimi si trovano” (art. 31, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011), dall’altra, “può disporre, in relazione alle condizioni economiche della persona sottoposta alla misura di prevenzione, che la cauzione sia pagata in rate mensili” (art. 31, c. 3, quarto capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Quando inoltre “sia cessata l’esecuzione della misura di prevenzione o sia rigettata la proposta, il tribunale dispone con decreto la restituzione del deposito o la liberazione della garanzia” (art. 31, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che le “misure patrimoniali cautelari previste dal presente articolo mantengono la loro efficacia per tutta la durata della misura di prevenzione e non possono essere revocate, neppure in parte, se non per comprovate gravi necessità personali o familiari” ” (art. 31, c. 5, d.lgs. n. 159/2011).

Detto questo, va infine rilevato che chi “non ottempera, nel termine fissato dal tribunale, all’ordine di deposito della cauzione di cui all’articolo 31, ovvero omette di offrire le garanzie sostitutive di cui al comma 3 della medesima disposizione, e’ punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni” (art. 76, c. 4, d.lgs. n. 159/2011) e, nel qual caso, l’“omesso versamento della cauzione prevista nella misura di prevenzione  nel termine fissato dalla misura stessa, integra il reato di violazione della misura di prevenzione se non si prova che l’imputato versi in un in uno stato di indigenza”[62].

Pur tuttavia, per questo reato “si procede in ogni caso con giudizio direttissimo” (art. 76, c. 5, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

 

Confisca della cauzione

 

L’art. 32 del codice antimafia stabilisce che, in “caso di violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dall’applicazione della misura di prevenzione, il tribunale dispone la confisca della cauzione oppure che si proceda ad esecuzione sui beni costituiti in garanzia, sino a concorrenza dell’ammontare della cauzione” (comma primo, prima parte) e per “l’esecuzione, a cura del cancelliere, si osservano le disposizioni dei primi due titoli del libro terzo del codice di procedura civile in quanto applicabili, ed escluse, riguardo ai beni costituiti in garanzia, le formalità del pignoramento” (comma primo, seconda parte) fermo restando che le “spese relative all’esecuzione prevista dal comma 1 sono anticipate dallo Stato” (comma terzo).

Oltre a ciò, è altresì disposto che, qualora “emesso il provvedimento di cui al comma 1, permangano le condizioni che giustificarono la cauzione, il tribunale, su richiesta del procuratore della Repubblica o del questore e con le forme previste per il procedimento di prevenzione, dispone che la cauzione sia rinnovata, anche per somma superiore a quella originaria” (art. 32, c. 2, d.lgs. n. 159/2011).

L’amministrazione giudiziaria dei beni personali

Sempre per quanto concerne le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca, è disposto che nei “confronti dei soggetti indicati nell’articolo 4, comma 1, lettere c), d), e), f), g) ed h) il tribunale può aggiungere ad una delle misure di prevenzione previste dall’articolo 6, quella dell’amministrazione giudiziaria dei beni personali, esclusi quelli destinati all’attività professionale o produttiva, quando ricorrono sufficienti indizi che la libera disponibilità dei medesimi agevoli comunque la condotta, il comportamento o l’attività socialmente pericolosa” (art. 33, c. 1, d.lgs. n. 159/2011) ma può essere applicata “soltanto l’amministrazione giudiziaria se ritiene che essa sia sufficiente ai fini della tutela della collettività” (art. 33, c. 2, d.lgs. n. 159/2011) e con “il provvedimento con cui applica l’amministrazione giudiziaria dei beni il giudice nomina l’amministratore giudiziario di cui all’articolo 35” del codice antimafia[63] (art. 33, c. 4, d.lgs. n. 159/2011).

Ad ogni modo, l’“amministrazione giudiziaria può essere imposta per un periodo non eccedente i 5 anni” (art. 33, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e alla “scadenza può essere rinnovata se permangono le condizioni in base alle quali è stata applicata” (art. 33, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Terminata la disamina di questa disposizione legislativa, va infine rilevato che la “persona a cui e’ stata applicata l’amministrazione giudiziaria dei beni personali, la quale con qualsiasi mezzo, anche simulato, elude o tenta di eludere l’esecuzione del provvedimento e’ punita con la reclusione da tre a cinque anni” (art. 76, c. 5, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e la “stessa pena si applica a chiunque anche fuori dei casi di concorso nel reato, aiuta la persona indicata a sottrarsi all’esecuzione del provvedimento” (art. 76, c. 5, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Il reato previsto dall’art. 76, comma 5, d.lg. n. 159 del 2011, quindi, “è configurabile in relazione alla condotta di colui che eluda o tenti di eludere l’esecuzione del provvedimento di amministrazione giudiziaria dei beni personali, disposta ai sensi dell’art. 33 stesso decreto”[64] fermo restando che integra “una condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento di amministrazione giudiziaria di beni personali, di cui all’art. 76, comma 5, d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, quella con cui si violano, nelle more della definizione del provvedimento di confisca, le disposizioni dettate a disciplina dell’amministrazione giudiziaria del bene sottoposto a sequestro preventivo, finalizzate ad impedire ogni ingerenza da parte di soggetti diversi da quelli autorizzati dall’autorità giudiziaria”[65].

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L’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende

 

L’art. 34 del codice antimafia prevede al primo comma che, quando “a seguito degli accertamenti di cui all’articolo 19 o di quelli compiuti per verificare i pericoli di infiltrazione mafiosa, previsti dall’articolo 92[66], ovvero di quelli compiuti ai sensi dell’articolo 213 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50[67], dall’Autorità nazionale anticorruzione, sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24 del presente decreto, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis), del presente decreto, ovvero per i delitti di cui agli articoli 603-bis, 629, 644, 648-bis e 648-ter del codice penale, e non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui al capo I del presente titolo, il tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti delle persone sopraindicate dispone l’amministrazione giudiziaria delle aziende o dei beni utilizzabili, direttamente o indirettamente, per lo svolgimento delle predette attività economiche, su proposta dei soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 17 del presente decreto”.

Oltre a ciò, fermo restando che l’“amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche suscettibili di condizionamento mafioso, di cui all’art. 34, d.lg. 16 settembre 2011, n. 159, è una misura di prevenzione di carattere patrimoniale e priva di carattere retroattivo, non incidendo ex tunc sull’efficacia dei provvedimenti amministrativi in precedenza adottati”[68] e che la “finalità dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria non è repressiva quanto preventiva, volta, cioè, non a punire l’imprenditore che sia intraneo all’associazione criminale quanto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con la finalità di sottrarle all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti”[69], è altresì disposto che con “il provvedimento di cui al comma 1, il tribunale nomina il giudice delegato e l’amministratore giudiziario, il quale esercita tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura” (art. 34, c. 3, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e nel “caso di imprese esercitate in forma societaria, l’amministratore giudiziario può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione e agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal tribunale, tenuto conto delle esigenze di prosecuzione dell’attività d’impresa, senza percepire ulteriori emolumenti” (art. 34, c. 3, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Tale provvedimento, inoltre, “è eseguito sui beni aziendali con l’immissione dell’amministratore nel possesso e con l’iscrizione nel registro tenuto dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel quale è iscritta l’impresa” (art. 34, c. 4, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e, qualora “oggetto della misura siano beni immobili o altri beni soggetti a iscrizione in pubblici registri, il provvedimento di cui al comma 1 deve essere trascritto nei medesimi pubblici registri” (art. 34, c. 4, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Detto questo, tornando ad esaminare l’amministrazione giudiziaria dei beni, tale amministrazione “è adottata per un periodo non superiore a un anno e può essere prorogata di ulteriori sei mesi per un periodo comunque non superiore complessivamente a due anni, a richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, a seguito di relazione dell’amministratore giudiziario che evidenzi la necessità di completare il programma di sostegno e di aiuto alle imprese amministrate e la rimozione delle situazioni di fatto e di diritto che avevano determinato la misura” (art. 34, c. 2, d.lgs. n. 159/2011) mentre l’amministratore giudiziario, dal canto suo, “adempie agli obblighi di relazione e segnalazione di cui all’articolo 36, comma 2, anche nei confronti del pubblico ministero” (art. 34, c. 5, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e si “applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai capi I e II del titolo III del presente libro”  (art. 34, c. 5, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) ossia le norme inerenti l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati e quelle concernenti la gestione dei beni sequestrati e confiscati.

Detto questo, entro “la data di scadenza dell’amministrazione giudiziaria dei beni o del sequestro di cui al comma 7, il tribunale, qualora non disponga il rinnovo del provvedimento, delibera in camera di consiglio la revoca della misura disposta ed eventualmente la contestuale applicazione del controllo giudiziario di cui all’articolo 34-bis, ovvero la confisca dei beni che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” (art. 34, c. 6, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e alla “camera di consiglio partecipano il giudice delegato e il pubblico ministero” (art. 34, c. 6, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che al “procedimento si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal titolo I, capo II, sezione I, del presente libro” (art. 34, c. 6, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) ossia il libro inerente le misure di prevenzione, e dunque rilevano nel caso di specie le disposizioni riguardanti il procedimento applicativo inerente le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria.

Invece, per “le impugnazioni contro i provvedimenti di revoca con controllo giudiziario e di confisca si applicano le disposizioni previste dall’articolo 27” del codice antimafia (art. 34, c. 6, quarto capoverso, d.lgs. n. 159/2011) (già esaminato in precedenza).

Ciò posto, è infine stabilito che, quando “vi sia concreto pericolo che i beni sottoposti al provvedimento di cui al comma 1 vengano dispersi, sottratti o alienati, nei casi in cui si ha motivo di ritenere che i beni siano frutto di attività illecite o ne costituiscano l’impiego, i soggetti di cui all’articolo 17 possono richiedere al tribunale di disporne il sequestro, osservate, in quanto applicabili, le disposizioni previste dal presente titolo” (art. 34, c. 7, prima parte, d.lgs. n. 159/2011) e il “sequestro è disposto sino alla scadenza del termine stabilito a norma del comma 2” (art. 34, c. 7, seconda parte, d.lgs. n. 159/2011).

 

Controllo giudiziario delle aziende

 

“Quando l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’articolo 34 risulta occasionale, il tribunale dispone, anche d’ufficio, il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende di cui al medesimo comma 1, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività” (art. 34-bis, c. 1, d.lgs. n. 159/2011)  fermo restando che il “controllo giudiziario è adottato dal tribunale per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni” (art. 34-bis, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e con “il provvedimento che lo dispone, il tribunale può: a) imporre nei confronti di chi ha la proprietà, l’uso o l’amministrazione dei beni e delle aziende di cui al comma 1 l’obbligo di comunicare al questore e al nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora abituale, ovvero del luogo in cui si trovano i beni se si tratta di residenti all’estero, ovvero della sede legale se si tratta di un’impresa, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti e gli altri atti o contratti indicati dal tribunale, di valore non inferiore a euro 7.000 o del valore superiore stabilito dal tribunale in relazione al reddito della persona o al patrimonio e al volume d’affari dell’impresa. Tale obbligo deve essere assolto entro dieci giorni dal compimento dell’atto e comunque entro il 31 gennaio di ogni anno per gli atti posti in essere nell’anno precedente; b)  nominare un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno bi-mestralmente, gli esiti dell’attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero” (art. 34-bis, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) tenuto altresì conto che, con “il provvedimento di cui alla lettera b) del comma 2, il tribunale stabilisce i compiti dell’amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo e può imporre l’obbligo: a)   di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l’oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza e di non compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l’autorizzazione da parte del giudice delegato; b)  di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 nei confronti dell’amministratore giudiziario; c)  di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi; d)  di adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6[70], 7[71] e 24-ter[72] del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni; e)  di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi” (art. 34-bis, c. 3, d.lgs. n. 159/2011).

Ad ogni modo, per “verificare il corretto adempimento degli obblighi di cui al comma 3, il tribunale può autorizzare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria ad accedere presso gli uffici dell’impresa nonché presso uffici pubblici, studi professionali, società, banche e intermediari mobiliari al fine di acquisire informazioni e copia della documentazione ritenute utili” (art. 34-bis c. 4, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e nel “caso in cui venga accertata la violazione di una o più prescrizioni ovvero ricorrano i presupposti di cui al comma 1 dell’articolo 34, il tribunale può disporre l’amministrazione giudiziaria dell’impresa” (art. 34-bis, c. 4, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Detto questo, a sua volta il “titolare dell’attività economica sottoposta al controllo giudiziario può proporre istanza di revoca” (art. 34-bis, c. 5, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e in tal caso il tribunale fissa l’udienza entro dieci giorni dal deposito dell’istanza e provvede nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale[73]” (art. 34-bis, c. 5, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e all’“udienza partecipano il giudice delegato, il pubblico ministero e, ove nominato, l’amministratore giudiziario” (art. 34-bis, c. 5, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Chiarito ciò, a loro volta le “imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo” (art. 34-bis, c. 6, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e il “tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali” (art. 34-bis, c. 6, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

L’art. 34-bis, c. 7, d.lgs. n. 159/2011, infine, stabilisce che il “provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 del presente articolo sospende gli effetti di cui all’articolo 94” del codice antimafia ossia gli effetti dell’informazione del prefetto[74].

Chiarito cosa prevede questa disposizione legislativa, sotto il profilo ermeneutico, corre l’obbligo di osservare come in sede giudiziale sia stato postulato quanto segue: 1) in “materia di misure di prevenzione, l’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva può avere accesso alla misura del controllo giudiziario a sua richiesta, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n.159 del 2011, allorchè abbia impugnato il provvedimento prefettizio e ricorra un’ipotesi di agevolazione dei soggetti indicati dall’art. 34, comma 1, d.lgs. n.159 del 2011con carattere ” occasionale””[75]; 2) in “tema di misure di prevenzione, il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della corte d’appello che, in sede di impugnazione, decide sulla ammissione al controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammissibile solo per violazione di legge, essendo, in tal caso, applicabili i limiti di deducibilità di cui agli artt. 10, comma 3, e 27 del medesimo decreto”[76]; 3) in “tema di misure di prevenzione, la prefettura territoriale che abbia adottato l’informativa antimafia non è soggetto legittimato ad impugnare il provvedimento di ammissione dell’azienda al controllo giudiziario ex art. art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 e succ. mod., non rivestendo tale ente, pur se intervenuto nella fase cognitiva preliminare, la qualità di parte del procedimento di prevenzione, né il ricorso per cassazione da esso proposto può essere diversamente qualificato in appello ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., in quanto atto non proveniente da un soggetto titolare del potere di impugnazione”[77]; 4) il “provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, è impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito”[78]; 5) con “riferimento ai presupposti per disporre la misura del controllo giudiziario ex art. 34 bis, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, il tribunale competente per le misure di prevenzione, oltre a verificare l’occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, deve svolgere una prognosi circa le concrete possibilità che la singola realtà aziendale abbia di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può compiere nel guidare l’impresa infiltrata”[79]; 6) in “materia di misure di prevenzione patrimoniali, competente a decidere sulla domanda di applicazione del controllo giudiziario, proposta dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non è il tribunale del luogo di emissione del provvedimento amministrativo interdittivo, bensì quello del luogo di manifestazione esteriore della pericolosità dei soggetti con cui la compagine aziendale è entrata in contatto”[80]; 7) l’“istanza di ammissione al regime del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis d.lg. n. 159/2011 comporta l’instaurazione di un procedimento interdipendente rispetto a quello amministrativo nato dall’impugnazione, da parte dello stesso soggetto istante, del provvedimento prefettizio con cui è stata adottata l’informazione antimafia interdittiva a suo carico”[81]; 8) in “materia di misure di prevenzione, è inammissibile la richiesta di sottoposizione al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 2, lett. b), d.lg. n. 159 del 2011, formulata dall’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, nel caso in cui la misura sia divenuta irrevocabile in sede di giudizio amministrativo”[82]; 9) il “controllo giudiziario su richiesta dell’impresa sottoposta a interdittiva antimafia, ex articolo 34 bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, può essere riconosciuto soltanto nell’ipotesi in cui si tratti di infiltrazione mafiosa avente carattere “occasionale”, giacché l’occasionalità dell’infiltrazione è presupposto necessario del controllo giudiziario, anche se richiesto dalla società interessata”[83]; 10) “il controllo giudiziario ex art. 34 bis d.lg. n. 159/2011 non costituisce un superamento dell’interdittiva ma « sospende », per la durata dello stesso, gli effetti dell’interdittiva senza eliminarli; non riabilita l’impresa ma, al contrario, presuppone la sussistenza e la permanenza del provvedimento interdittivo”[84] posto che tale controllo è uno “strumento di autodepurazione dalle infiltrazioni criminali che consente all’impresa ammessa di continuare ad operare nei rapporti con la pubblica amministrazione”[85]; 11) la “richiesta di applicazione del controllo giudiziario da parte dell’impresa raggiunta da “interdittiva antimafia” prefettizia, non può accettare alcun automatismo applicativo, giacché il tribunale, dovendo apprezzare la ricorrenza dei presupposti di legge per il controllo, come richiesto dal comma 6 dell’articolo 34-bis del decreto legislativo n. 159 del 2011, non solo deve verificare la sussistenza dei presupposti processuali, rappresentati dall’esistenza di una interdittiva prefettizia e dall’impugnazione della stessa dinanzi al giudice amministrativo, ma deve anche verificare, dal punto di vista sostanziale, che l’agevolazione prevista dal comma 1 dell’articolo 34 dello stesso decreto legislativo abbia avuto natura “occasionale””[86].

Precisato ciò, va infine rilevato che chi “omette di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 34-bis nei confronti dell’amministratore giudiziario e’ punito con la reclusione da uno a quattro anni” (art. 76, c. 6, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) e alla “condanna consegue la confisca dei beni acquistati e dei pagamenti ricevuti per i quali e’ stata omessa la comunicazione” (art. 76, c. 6, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

Trattazione prioritaria dei procedimenti di prevenzione patrimoniale

E’ assicurata la priorità assoluta nella trattazione dei procedimenti previsti dagli articoli 16 e seguenti del presente decreto” (art. 34-ter, c. 1, d.lgs. n. 159/2011) e, per tale scopo, i “dirigenti degli uffici giudicanti e requirenti adottano i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la trattazione e la definizione prioritaria dei procedimenti di cui al comma 1 e il rispetto dei termini previsti” (art. 34-ter, c. 2, primo capoverso, d.lgs. n. 159/2011) fermo restando che: a) i “provvedimenti sono tempestivamente comunicati al consiglio giudiziario e al Consiglio superiore della magistratura” (art. 34-ter, c. 2, secondo capoverso, d.lgs. n. 159/2011); b) il “dirigente dell’ufficio comunica, sulla base delle indicazioni del Consiglio superiore della magistratura, con cadenza annuale, a tale organo e al Ministero della giustizia i dati sulla durata dei relativi procedimenti” (art. 34-ter, c. 2, terzo capoverso, d.lgs. n. 159/2011); c) il “Consiglio superiore della magistratura e il Ministero della giustizia valutano gli effetti dei provvedimenti adottati dai dirigenti degli uffici sulla trattazione prioritaria, sulla durata e sul rispetto dei termini dei procedimenti indicati al comma 1” (art. 34-ter, c. 2, quarto capoverso, d.lgs. n. 159/2011); d) in “sede di comunicazioni sull’amministrazione della giustizia, ai sensi dell’articolo 86 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni[87], il Ministro della giustizia riferisce alle Camere in merito alla trattazione dei procedimenti di cui al comma 1 del presente articolo” (art. 34-ter, c. 2, quinto capoverso, d.lgs. n. 159/2011).

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Note

[1]Ai sensi del quale: “1.  I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano: a)  agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p.; b)  ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o del delitto di cui all’articolo 418 del codice penale; c)  ai soggetti di cui all’articolo 1; d)  agli indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-quater, del codice di procedura penale e a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270-sexies del codice penale; e)  a coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente; f)  a coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 645 del 1952, in particolare con l’esaltazione o la pratica della violenza; g)  fuori dei casi indicati nelle lettere d), e) ed f), siano stati condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d); h)  agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati; i)  alle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l’incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive; i-bis) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640-bis o del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis del medesimo codice; i-ter) ai soggetti indiziati dei delitti di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale”.

[2]La Consulta, con la sentenza, 27/02/2019, n. 24, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo questo articolo “nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli articoli 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, comma 1, lettera a”.

[3]Cass. pen., sez. I, 21/03/2014, n. 32398.

[4]Cass. pen., sez. VI, 24/05/2017, n. 31504.

[5]Cass. pen., sez. II, 28/04/2017, n. 27431.

[6]Cass. pen., Sez. Un., 22/12/2016, n. 12621.

[7]Ibidem.

[8]Ibidem.

[9]Cass. pen., sez. VI, 8/11/2016, n. 51640.

[10]Ibidem.

[11]Ibidem.

[12]A tal proposito va osservato che il “il termine di riferimento da cui far decorrere il quinquennio utile per le indagini patrimoniali previste e disciplinate dall’art. 19 del d.lg. n. 159 del 2011 corrisponde al tempo in cui il rappresentante della pubblica accusa propone istanza al tribunale per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro o della confisca e non, invece, a quello della proposta di misura personale, in ragione della riconosciuta autonomia tra le misure di prevenzione personali e patrimoniali” (Cass. pen., sez. I, 29/01/2014, n. 12987).

[13]A tal riguardo è stato postulato che: in “tema di confisca di prevenzione, il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge, i figli e gli altri conviventi individuati dalla L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3 (e oggi dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 19, comma 3) costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui all’art. 2 ter, penultimo e ultimo comma, della stessa legge (ora dall’art. 26, comma 2, del decreto sopra richiamato), circostanza di fatto significativa della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo che risulta titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica” (Cass. pen., sez. VI, 25/06/2020, n. 21056); in “tema di misure di prevenzione patrimoniale, la possibilità di compiere indagini patrimoniali nei confronti del coniuge e dei figli del proposto non incontra il limite quinquennale di cui all’art. 19, comma 3, d.lg. n.159 del 2011, che riguarda soltanto i terzi conviventi che non siano legati da rapporto di coniugio o di filiazione” (Cass. pen., sez. I, 20/01/2017, n. 18365).

[14]A tal riguardo è stato osservato che è “consentito annotare, nel registro delle imprese, la sospensione dei poteri degli amministratori della società, a seguito di sequestro penale di azienda sociale, ex art. 20 d.lg. n. 159 del 2011” (Trib. Napoli, ufficio G.I.P., 24/04/2015, in Rivista del Notariato, 2015, 3, II, 628.

[15]A tal proposito è stato fatto presente che “il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 22, comma primo, D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 per la convalida del sequestro disposto d’urgenza dal presidente del tribunale non si applica al provvedimento di sequestro anticipato dei beni emesso dal tribunale” (Cass. pen., sez. VI, 24/11/2015, n. 3924).

[16]A tal riguardo è stato affermato che, in “tema di misure di prevenzione patrimoniali, nel caso di confisca dell’intero capitale sociale di una società e di beni formalmente intestati alla stessa, legittimati a costituirsi in giudizio, ai sensi dell’art. 23, comma 2, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, e a proporre impugnazione sono solo le persone fisiche titolari dei diritti nascenti dalle quote sociali e non, invece, la persona giuridica in quanto tale” (Cass. pen., sez. I, 15/02/2019, n. 35793). In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 18/05/2017, n. 42238 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, nel caso di confisca dell’intero capitale sociale di una società e di beni formalmente intestati alla stessa, legittimati a costituirsi in giudizio, ai sensi dell’art. 23, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, e a proporre impugnazione sono solo le persone fisiche titolari dei diritti nascenti dalle quote sociali e non, invece, la persona giuridica in quanto tale”).

[17]A tal proposito è stato evidenziato che “la violazione del diritto del titolare di un diritto personale di godimento a partecipare al giudizio per l’applicazione di misure patrimoniali sul bene, previsto dall’art. 23, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non determina l’invalidità della confisca eventualmente disposta, ma legittima il medesimo soggetto a proporre incidente di esecuzione per far valere le stesse ragioni che avrebbe potuto prospettare prima dell’adozione del provvedimento di ablazione” (Cass. pen., sez. VI, 8/06/2017, n. 41204). In senso conforme, Cass. pen., sez. VI, 19/05/2015, n. 37657 (“Nel procedimento di prevenzione, la violazione del diritto del titolare di un diritto personale di godimento a partecipare al giudizio per l’applicazione di misure patrimoniali sul bene, previsto dall’art. 23, comma quarto, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non determina una invalidità della confisca eventualmente disposta, ma legittima il medesimo soggetto a proporre incidente di esecuzione per far valere le stesse ragioni che avrebbe potuto prospettare prima dell’adozione del provvedimento di ablazione”).

[18]A tal riguardo la Cassazione ha affermato che “è manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma quarto D.Lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevede la necessità di nominare al terzo un difensore di ufficio in sostituzione del difensore di fiducia assente in relazione all’art. 24 Cost., essendo previsti in tale disposizione strumenti adeguati alla partecipazione ed alla difesa della posizione di tale soggetto” (Cass. pen., sez. I, 3/12/2014, n. 13035).

[19]Consiglio di Stato, sez. III, 4/03/2019, n. 1499.

[20]A tal proposito è stato fatto presente che “la disposizione di cui all’art. 24, comma 1-bis, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, introdotto dall’art. 5, comma 8, lettera a) della legge 17 ottobre 2017, n. 161, (…) ha (…) stabilito l’automatica estensione della confisca di tutte le quote del capitale sociale all’intero compendio aziendale, senza, tuttavia, limitare a tale ipotesi la confiscabilità del patrimonio sociale costituito in azienda” (Cass. pen., sez. I, 4/07/2019, n. 34094).

[21]Cass. pen., Sez. Un., 23/02/2017, n. 20215.

[22]Cass. pen., sez. VI, 11/04/2019, n. 30752. Sul punto vedasi anche: Cass. pen., sez. VI, 25/07/2017, n. 49739 (“In tema di misure patrimoniali di prevenzione, il termine previsto dall’art.24, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, entro il quale deve essere emanato il decreto di confisca, non decorre “ex novo” nel caso di annullamento del provvedimento di confisca con rinvio al giudice di primo grado per la rinnovazione del procedimento, sicchè ove il termine sia già decorso il sequestro perde efficacia”).

[23]A tal riguardo è stato asserito che “il giudice di legittimità può sindacare la motivazione della proroga del termine per il deposito del decreto di confisca, prevista dall’art. 24, comma 2, d.lg. 6 settembre 2011, in caso di insussistenza radicale del presupposto giustificativo del differimento costituito dalla rilevanza del compendio patrimoniale” (Cass. pen., sez. VI, 28/05/2019, n. 30753).

[24]A tal proposito è stato evidenziato che:  in “tema di sospensione del termine di cui all’art. 24, comma 2, d.lgs. 159/2011, il rinvio alle cause di sospensione previste dall’art. 304 c.p.p. ha carattere statico e recettizio delle singole cause di sospensione e non si estende, in assenza di esplicito richiamo, all’intera disciplina prevista da tale norma, cosicché non è necessaria una pronuncia esplicita, con ordinanza appellabile, che dichiari la sussistenza della singola causa di sospensione” (Cass. pen., sez. V, 29/01/2019, n. 21760); in “tema di durata del sequestro di prevenzione, il rinvio contenuto nell’art. 24, comma 2, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, all’art. 304 c.p.p., secondo cui, ai fini del computo del relativo termine, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare in quanto applicabili, riguarda esclusivamente le ipotesi tipiche di sospensione di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 304, cit., salva espressa riserva di compatibilità, e non anche la disciplina dei termini massimi di custodia, prevista dal comma sesto del medesimo articolo, in quanto avente carattere eccezionale a garanzia della libertà personale” (Cass. pen., sez. I, 12/09/2017, n. 2211).

[25]A tal riguardo è stato notato che, in “tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’accoglimento della richiesta difensiva di rinvio del procedimento per la necessità di esaminare gli atti prodotti dal pubblico ministero non determina la sospensione dei termini di efficacia della confisca, versandosi in un’ipotesi di rinvio disposto a seguito della concessione di termini per la difesa, contemplata come causa di esclusione della sospensione dei termini dall’art. 304, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il cui contenuto è richiamato dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159” (Cass. pen., sez. V, 29/09/2020, n. 30757). In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 15/02/2019, n. 35793 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’accoglimento della richiesta difensiva di rinvio del procedimento per necessità di esame degli atti è idoneo a determinare la sospensione dei termini di efficacia della confisca, non versandosi in un’ipotesi di rinvio disposto per esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa, contemplata come causa di esclusione della sospensione dei termini dall’art. 304, comma 1, lett. a), c.p.p., il cui contenuto è richiamato dall’art. 24, comma 2, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159”). Contra: Cass. pen., sez. I, 20/10/2016, n. 40518 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il rinvio del procedimento richiesto dal proposto o dal suo difensore è idoneo a determinare la sospensione dei termini di efficacia del provvedimento di sequestro o di confisca, senza che, per escluderla, sia discriminante il motivo dell’istanza, giacché – a norma dell’art. 304, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., le cui disposizioni si applicano, “in quanto compatibili”, anche al procedimento di prevenzione in forza del richiamo alle “cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare” contenuto negli artt. 24, comma 2, e 27, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – la limitazione dell’effetto sospensivo al solo caso di impedimento della parte privata non è prevista in via esclusiva; né, in caso di procedimento nei confronti di più soggetti, ai fini della produzione dell’effetto sospensivo, è necessario che l’istanza sia formulata da tutti gli interessati, essendo sufficienti l’adesione anche implicita o la non opposizione delle parti che non l’hanno avanzata”).

[26]Cass. pen., Sez. Un., 22/12/2016, n. 12621. Sul punto, vedasi anche: Cass. pen., sez. I, 27/03/2018, n. 43243 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, è legittima la confisca per equivalente del corrispettivo della permuta in forza della quale gli eredi del soggetto nei cui confronti avrebbe potuto essere disposta la confisca diretta di un bene di illecita provenienza abbiano trasferito il bene stesso ad un terzo di buona fede”).

[27]Cass. pen., Sez. Un., 22/12/2016, n. 12621.

[28]Ibidem.

[29]A tal proposito è stato rilevato che: in “tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell’intestazioone, ma anche a far valere l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura nei confronti del proposto” (Cass. pen., sez. V, 14/12/2017, n. 12374); nel “procedimento di prevenzione patrimoniale, il terzo intestatario di un bene sottoposto a confisca che intenda contestare il provvedimento applicativo può limitarsi ad allegare circostanze di fatto tese a dimostrare l’effettivo impiego di risorse economiche proprie nell’acquisto del bene, non rilevando, a differenza dell’onere di allegazione gravante sul terzo creditore, la dimostrazione della sua buona fede al momento dell’acquisto” (Cass. pen., sez. I, 18/05/2017, n. 42238).

[30]A tal riguardo è stato asserito che “la presunzione di intestazione fittizia prevista dall’art. 26 d.lg. 6 settembre 2011 n. 159 per la persona convivente del proposto pone come uniche condizioni che la convivenza sia stabile e che l’atto dispositivo oneroso a suo favore sia stato compiuto nei due anni precedenti alla proposta di misura patrimoniale” (Cass. pen., sez. V, 30/03/2017, n. 32994).

[31]A tal proposito è stato osservato che la “dizione ‘revoca del sequestro’ (…) non si riferisce soltanto ai casi regolati dall’art. 26, comma 2, dello stesso decreto, ma comprende anche le ipotesi di reiezione della proposta di confisca che non sia stata preceduta dal sequestro” (Cass. pen., sez. I, 24/09/2015, n. 43794).

[32]A tal riguardo è stato notato che “è rituale la rinuncia alla sospensione feriale dei termini processuali espressa dall’interessato nei dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento di dissequestro a norma dell’art. 27, comma 3 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in quanto, fino allo spirare di tale termine, il predetto provvedimento non diviene esecutivo, con la conseguenza che, continuando ad avere vigore il sequestro, trova applicazione l’art. 2-bis della legge 7 ottobre 1969, n. 742” (Cass. pen., sez. I, 28/02/2018, n. 31981).

[33]A tal proposito è stato postulato che è “inammissibile – anche per effetto del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione – il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento con cui la Corte d’appello delibera, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sulla richiesta del P.M. di sospensione dell’esecutività del decreto di revoca del sequestro” (Cass. pen., sez. VI, 22/07/2015, n. 33235).

[34]Ai sensi del quale: “1. Quando una parte, nell’atto di appello o nei motivi presentati a norma dell’articolo 585 comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove, il giudice se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. 2. Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’articolo 495 comma 1. 3. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria. 3-bis. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. 5. Il giudice provvede con ordinanza, nel contraddittorio delle parti. 6. Alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, disposta a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso per un termine non superiore a dieci giorni”

[35]Cass. pen., sez. VI, 19/07/2017, n. 45111. In senso analogo, Cass. pen., sez. VI, 17/05/2017, n. 31634 (“Nel procedimento di prevenzione, il giudice d’appello che intenda riformare “in peius” la decisione di rigetto della proposta di confisca adottata in primo grado non è tenuto a procedere alla rinnovazione dell’istruttoria, in quanto tale regola si applica solo con riferimento al giudizio sulla responsabilità penale dell’imputato secondo il canone di giudizio della colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio””).

[36]A tal proposito è stato evidenziato che, in “tema di misure di prevenzione patrimoniali, qualora avverso il provvedimento di confisca vengano presentati più ricorsi in appello, depositati in date diverse, il termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, decorre dalla data di deposito dell’ultimo ricorso” (Cass. pen., sez. VI, 23/09/2020, n. 27913). In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 29/01/2020, n. 13422 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, qualora avverso il provvedimento di confisca vengano presentati più ricorsi in appello, depositati in date diverse, il termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, decorre dalla data di deposito dell’ultimo ricorso”). In senso analogo, Cass. pen., sez. VI, 18/06/2020, n. 21523 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, decorrente dal deposito dell’atto di impugnazione, entro il quale la corte di appello deve definire il giudizio, a pena di inefficacia della confisca disposta in primo grado, ha come riferimento finale la data del deposito del decreto motivato”) [in senso conforme, Cass. pen., sez. I, 7/03/2019, n. 21740 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, decorrente dal deposito dell’atto di impugnazione, entro il quale la corte di appello deve provvedere a pena di inefficacia della confisca disposta in primo grado, ha come riferimento finale la data del deposito del decreto motivato”); Cass. pen., sez. I, 26/09/2017, n. 54502 (“La “pronuncia” richiamata dall’art. 27, comma 6, d.lg n. 159 del 2011, il quale prevede la perdita di efficacia della confisca disposta in primo grado se, in caso di impugnazione, la Corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso, va identificata con il deposito del decreto motivato, atteso che la decisione presa nel procedimento camerale non prevede alcuna formalizzazione attraverso la lettura del dispositivo, sicché si deve ritenere che essa coincida con il momento in cui diventa pubblica, ossia con il deposito della motivazione in cui acquista giuridica rilevanza esterna”); Cass. pen., sez. VI, 10/11/2016, n. 52774 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma sesto, D.Lgs. n. 159 del 2011, decorrente dal deposito dell’atto di impugnazione, entro il quale la corte di appello deve provvedere a pena di inefficacia della confisca disposta in primo grado, ha come riferimento finale la data del deposito del decreto motivato e non quella del deposito del dispositivo”); Cass. pen., sez. sez. VI, 15/06/2016, n. 27968 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, il termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma sesto, D.Lgs. n. 159 del 2011, decorrente dal deposito dell’atto di impugnazione, entro il quale la corte di appello deve provvedere a pena di inefficacia della confisca disposta in primo grado, ha come riferimento finale la data del deposito del decreto motivato e non quella del deposito del dispositivo”)]. Sul punto vedasi anche: Cass. pen., sez. I, 3/05/2016, n. 29327 (“In tema di misure di prevenzione, la previsione dell’art. 27, comma 6, del d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, secondo cui nelle ipotesi di impugnazione il provvedimento di confisca perde efficacia se la Corte di appello non si pronuncia entro il termine di un anno e sei mesi dal deposito del ricorso, ha natura endoprocessuale e opera soltanto nella pendenza del procedimento di prevenzione, con la conseguenza che, definito quest’ultimo con provvedimento irrevocabile, è preclusa in sede esecutiva la proposizione della questione dell’inefficacia della confisca, in quanto coperta dal giudicato”).

[37]Cass. pen., sez. VI, 26/06/2019, n. 41735).

[38]A tal proposito va rilevato che “è legittimo il provvedimento del giudice di appello che giustifichi la proroga del termine di efficacia della confisca, ai sensi dell’art. 27, comma 6, d.lg. 6 settembre 2011 n.159, in ragione della consistenza del patrimonio, del numero delle questioni sollevate con l’impugnazione e degli accertamenti eventualmente sollecitati” (Cass. pen., sez. V, 8/11/2019, n. 3715).

[39]Cass. pen., sez. I, 19/03/2019, n. 19357. In senso conforme, Cass. pen., sez. VI, 11/10/2017, n. 2385 (“In tema di misure di prevenzione patrimoniali, in caso di annullamento con rinvio al grado di appello del decreto di conferma della confisca, nel giudizio di rinvio, in assenza di un’espressa disciplina normativa, trova applicazione il termine di un anno e sei mesi previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 che decorre “ex novo” dal deposito della sentenza di annullamento con rinvio”).

[40]Cass. pen., sez. V, 31/01/2018, n. 32688.

[41]Cass. pen., sez. II, 6/07/2020, n. 20968.

[42]Cass. pen., sez. VI, 18/06/2020, n. 21525.

[43]Cass. pen., sez. VI, 11/04/2019, n. 21181.

[44]Cass. pen., sez. I, 16/05/2017, n. 39247.

[45]A tal riguardo è stato osservato che, nonostante “la genesi derivata rispetto all’istituto della revisione, gli interessi tutelati dalla revocazione della confisca di prevenzione sono diversi e presuppongono spettri di deduzione probatoria più stringenti” (Cass. pen., sez. VI, 29/10/2020, n. 2190) posto che se “nell’ambito della revisione possono ammettersi anche prove deducibili nel giudizio e ivi non dedotte, nel perimetro della revocazione ex art.28 D.Lgs.159/2011 ciò non può consentirsi: il diritto di proprietà, sebbene garantito costituzionalmente, è posto su un grado assiologico inferiore rispetto al bene della libertà personale” (ibidem).

[46]Alla stregua del quale: “1. I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge. 2. Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d’appello determinato ai sensi del medesimo comma 1. 3. I procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1”.

[47]A tal proposito è stato evidenziato che “è ammissibile la richiesta di revocazione della confisca presentata nella cancelleria di corte di appello incompetente, poichè, in applicazione del principio generale del “favor impugnationis” di cui all’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., valido anche per la revisione ex art. 630 e seguenti cod. proc. pen., alla cui disciplina l’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 fa rinvio, l’istanza deve essere trasmessa al giudice competente, individuato secondo i criteri di cui all’art. 11 cod. proc. pen.” (Cass. pen., sez. V, 8/10/2020, n. 33146).

[48]Cass. pen., sez. II, 24/09/2013, n. 41507.

[49]Cass. pen., sez. II, 24/09/2020, n. 28941. In senso analogo, Cass. pen., sez. VI, 9/05/2019, n. 26341 (“In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione “ex tunc”, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del relativo procedimento e non anche quella deducibile, ma, per qualsiasi motivo, non dedotta, come desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per la proposizione della richiesta di revoca, che delimita l’ambito temporale di ammissibilità dell’istituto e lo differenzia dal procedimento di revisione della condanna”).

[50]Cass. pen., sez. II, 14/07/2020, n. 23928. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 12/03/2019, n. 19414 (“In tema di confisca di prevenzione, di cui all’art. 28 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, sono prove sopravvenute rispetto alla conclusione del relativo procedimento, rilevanti ai fini della revoca, anche quelle preesistenti ma non valutate nemmeno implicitamente poiché scoperte dopo che la statuizione sulla confisca è divenuta definitiva”); Cass. pen., sez. V, 24/03/2017, n. 28628 (“”Prova nuova”, rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura di prevenzione della confisca, ai sensi dell’art. 28, comma primo, lett. a) D.Lgs. 159 del 2011, è solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell’ambito del suddetto procedimento”).

[51]Cass. pen., sez. II, 6/06/2019, n. 31549. Su tale questione, vedasi anche: Cass. pen., sez. II, 14/02/2019, n. 15650 (“In tema di confisca di prevenzione, la revocazione ex art. 28, lett. b) d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 non consegue automaticamente all’intervenuta assoluzione, con sentenza definitiva, del proposto da una delle imputazioni a suo carico, salvo che il fatto escluso in sede penale sia esattamente lo stesso posto a fondamento del giudizio di pericolosità, non sussistendo altrimenti inconciliabilità di giudicati”).

[52]Cass. pen., sez. I, 16/01/2019, n. 13638.

[53]A tal riguardo è stato asserito che “l’art. 28, comma 2, d.lg. 6 settembre 2011 n. 159, non introduce un nuovo caso di revocazione della misura ma limita la rilevanza delle ipotesi contemplate nel primo comma della medesima norma al solo caso in cui ne derivi il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura” (Cass. pen., sez. I, 6/07/2020, n. 21958):

[54]Per cui: “1. L’Agenzia gestisce i beni confiscati anche in via non definitiva dal decreto di confisca della corte di appello, ai sensi dell’articolo 20 della legge 23 dicembre 1993, n. 559, e, in quanto applicabile, dell’articolo 40 del presente decreto, nonché sulla base degli indirizzi e delle linee guida adottati dal Consiglio direttivo dell’Agenzia medesima ai sensi dell’articolo 112, comma 4, lettera d). Essa provvede al rimborso ed all’anticipazione delle spese, nonché alla liquidazione dei compensi che non trovino copertura nelle risorse della gestione, anche avvalendosi di apposite aperture di credito disposte, a proprio favore, sui fondi dello specifico capitolo istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze, salva, in ogni caso, l’applicazione della normativa di contabilità generale dello Stato e del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367. 2. L’Agenzia richiede al giudice delegato il nulla osta al compimento degli atti di cui all’articolo 40, comma 3. 2-bis. Per il recupero e la custodia dei veicoli a motore e dei natanti confiscati, l’Agenzia applica le tariffe stabilite con il decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, emanato ai sensi dell’articolo 59 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Ferme restando le tariffe stabilite dal periodo precedente, l’Agenzia può avvalersi di aziende da essa amministrate operanti nello specifico settore”.

[55]Cass. pen., sez. V, 15/03/2018, n. 32692.

[56]Cass. pen., sez. V, 8/10/2020, n. 33146. In senso analogo, Cass. pen., sez. VI, 6/06/2019, n. 31937 (“In tema di confisca di prevenzione, è ammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revocazione, in quanto lo stesso ha carattere di definitività e il rinvio operato dall’art. 28 d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 alle forme dell’art. 630 c.p.p. e ss., in tema di revisione delle sentenze di condanna, implica l’applicabilità anche dell’art. 640 c.p.p., che prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione”).

[57]Cass. pen., sez. I, 19/06/2019, n. 39601.m In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 4/06/2019, n. 35763 (“In tema di confisca di prevenzione, il ricorso per cassazione avverso la decisione di rigetto della richiesta di revocazione non soggiace a limitazioni in ordine ai motivi deducibili, essendo detto ricorso regolato, in forza del rinvio dell’art. 28, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159 alle forme degli artt. 630 e ss. c.p.p., dall’art. 640 c.p.p., che non prevede alcuna limitazione al riguardo”).

[58]Cass. pen., sez. VI, 26/06/2019, n. 37648.

[59]Per cui: “1. Nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia, di cui all’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l’autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell’Albo di cui all’articolo 35 del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni. Con decreto motivato dell’autorità giudiziaria la custodia dei beni suddetti può tuttavia essere affidata a soggetti diversi da quelli indicati al periodo precedente. 1-bis. Il giudice che dispone il sequestro nomina un amministratore giudiziario ai fini della gestione. Si applicano le norme di cui al libro I, titolo III, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni. 1-ter. I compiti del giudice delegato alla procedura sono svolti nel corso di tutto il procedimento dal giudice che ha emesso il decreto di sequestro ovvero, nel caso di provvedimento emesso da organo collegiale, dal giudice delegato nominato ai sensi e per gli effetti dell’articolo 35, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni. 1-quater. Le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, si applicano ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall’articolo 240-bis del codice penale o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, nonché agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice. In tali casi l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata coadiuva l’autorità giudiziaria nell’amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, fino al provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno. 1-quinquies. Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo. 1-sexies. Le disposizioni dei commi 1-quater e 1-quinquies si applicano anche nel caso indicato dall’articolo 578-bis del codice”.

 

 

[60]Cass. pen., sez. I, 1/03/2019, n. 29857. In senso conforme, Cass. pen., sez. I, 23/09/2014, n. 41766 (“In tema di misure di prevenzione, l’art. 31 d.lg. n. 159 del 2011 non prevede alcun limite massimo di valore della somma da versare presso la cassa delle ammende a titolo di cauzione, demandandone la determinazione dell’entità alla discrezionalità del giudice, nell’ambito di una ponderata valutazione delle condizioni economiche del sottoposto e dei provvedimenti di urgenza adottati a norma dell’art. 22 d.lg. cit., in funzione di un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte”).

[61]Cass. pen., sez. VI, 26/06/2019, n. 39829. Allo stesso modo è “inammissibile, in applicazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, il ricorso per cassazione avverso il rigetto dell’istanza di revoca della cauzione, trattandosi di provvedimento non impugnabile autonomamente, ma solo insieme all’appello avverso l’applicazione della misura di prevenzione personale” (Cass. pen., sez. VI, 16/09/2015, n. 39855).

[62]Trib. Napoli, sez. I, 16/10/2018, n. 11218.

[63]Secondo cui: “1.  Con il provvedimento con il quale dispone il sequestro previsto dal capo I del titolo II del presente libro il tribunale nomina il giudice delegato alla procedura e un amministratore giudiziario. Qualora la gestione dei beni in stato di sequestro sia particolarmente complessa, anche avuto riguardo al numero dei comuni ove sono situati i beni immobili o i complessi aziendali o alla natura dell’attività aziendale da proseguire o al valore ingente del patrimonio, il tribunale può nominare più amministratori giudiziari. In tal caso il tribunale stabilisce se essi possano operare disgiuntamente. 2. L’amministratore giudiziario è scelto tra gli iscritti nell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari secondo criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura e dell’entità dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell’attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dello sviluppo economico, sono individuati criteri di nomina degli amministratori giudiziari e dei coadiutori che tengano conto del numero degli incarichi aziendali in corso, comunque non superiore a tre, con esclusione degli incarichi già in corso quale coadiutore, della natura monocratica o collegiale dell’incarico, della tipologia e del valore dei compendi da amministrare, avuto riguardo anche al numero dei lavoratori, della natura diretta o indiretta della gestione, dell’ubicazione dei beni sul territorio, delle pregresse esperienze professionali specifiche. Con lo stesso decreto sono altresì stabiliti i criteri per l’individuazione degli incarichi per i quali la particolare complessità dell’amministrazione o l’eccezionalità del valore del patrimonio da amministrare determinano il divieto di cumulo. L’amministratore giudiziario è nominato con decreto motivato. All’atto della nomina l’amministratore giudiziario comunica al tribunale se e quali incarichi analoghi egli abbia in corso, anche se conferiti da altra autorità giudiziaria o dall’Agenzia. 2-bis.   L’amministratore giudiziario di aziende sequestrate è scelto tra gli iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari. 2-ter.  Fermo restando quanto previsto dall’articolo 41-bis, comma 7, l’amministratore giudiziario di cui ai commi 2 e 2-bis può altresì essere nominato tra il personale dipendente dell’Agenzia, di cui all’articolo 113-bis. In tal caso l’amministratore giudiziario dipendente dell’Agenzia, per lo svolgimento dell’incarico, non ha diritto ad emolumenti aggiuntivi rispetto al trattamento economico in godimento, ad eccezione del rimborso delle spese di cui al comma 9. 3.  Non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate a una pena che importi l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o le pene accessorie previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione o nei confronti dei quali sia stato disposto il rinvio a giudizio per i reati di cui all’articolo 4 del presente decreto o per uno dei reati previsti dal libro II, titolo II, capo I, e titolo III, capo I, del codice penale. Non possono altresì essere nominate le persone che abbiano svolto attività lavorativa o professionale in favore del proposto o delle imprese a lui riconducibili. Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di coadiutore o di diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario nell’attività di gestione. Non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario, il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico. Non possono altresì assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario, i creditori o debitori del magistrato che conferisce l’incarico, del suo coniuge o dei suoi figli, né le persone legate da uno stabile rapporto di collaborazione professionale con il coniuge o i figli dello stesso magistrato, né i prossimi congiunti, i conviventi, i creditori o debitori del dirigente di cancelleria che assiste lo stesso magistrato. 4.  L’amministratore giudiziario chiede al giudice delegato di essere autorizzato, ove necessario, a farsi coadiuvare, sotto la sua responsabilità, da tecnici o da altri soggetti qualificati. Ove la complessità della gestione lo richieda, anche successivamente al sequestro, l’amministratore giudiziario organizza, sotto la sua responsabilità, un proprio ufficio di coadiuzione, la cui composizione e il cui assetto interno devono essere comunicati al giudice delegato indicando altresì se e quali incarichi analoghi abbiano in corso i coadiutori, assicurando la presenza, nel caso in cui si tratti dei beni di cui all’articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, di uno dei soggetti indicati nell’articolo 9-bis del medesimo codice. Il giudice delegato ne autorizza l’istituzione tenuto conto della natura dei beni e delle aziende in stato di sequestro e degli oneri che ne conseguono. 4-bis. Non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quello di suo coadiutore, coloro i quali sono legati da rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado con magistrati addetti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l’incarico, nonché coloro i quali hanno con tali magistrati un rapporto di assidua frequentazione. Si intende per frequentazione assidua quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali. 5.  L’amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Egli ha il compito di provvedere alla gestione, alla custodia e alla conservazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato, al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi. 6.  L’amministratore giudiziario deve segnalare al giudice delegato l’esistenza di altri beni che potrebbero formare oggetto di sequestro di cui sia venuto a conoscenza nel corso della sua gestione. 7.  In caso di grave irregolarità o di incapacità il tribunale, su proposta del giudice delegato, dell’Agenzia o d’ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell’amministratore giudiziario, previa audizione dello stesso. Nei confronti dei coadiutori dell’Agenzia la revoca è disposta dalla medesima Agenzia. 8.  L’amministratore giudiziario che, anche nel corso della procedura, cessa dal suo incarico, deve rendere il conto della gestione ai sensi dell’articolo 43. 9.  Nel caso di trasferimento fuori della residenza, all’amministratore giudiziario spetta il trattamento previsto dalle disposizioni vigenti per i dirigenti di seconda fascia dello Stato”.

[64]Cass. pen., sez. VI, 19/09/2019, n. 51899.

[65]Cass. pen., sez. II, 27/01/2017, n. 12863.

[66]Ai sensi del quale: “1.  Il rilascio dell’informazione antimafia è immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica quando non emerge, a carico dei soggetti ivi censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4. In tali casi l’informazione antimafia liberatoria attesta che la stessa è emessa utilizzando il collegamento alla banca dati nazionale unica. 2.  Fermo restando quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, quando dalla consultazione della banca dati nazionale unica emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, il prefetto dispone le necessarie verifiche e rilascia l’informazione antimafia interdittiva entro trenta giorni dalla data della consultazione. Quando le verifiche disposte siano di particolare complessità, il prefetto ne dà comunicazione senza ritardo all’amministrazione interessata, e fornisce le informazioni acquisite nei successivi quarantacinque giorni. Il prefetto procede con le stesse modalità quando la consultazione della banca dati nazionale unica è eseguita per un soggetto che risulti non censito. 2-bis.  L’informazione antimafia interdittiva è comunicata dal prefetto, entro cinque giorni dalla sua adozione, all’impresa, società o associazione interessata, secondo le modalità previste dall’articolo 79, comma 5-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Il prefetto, adottata l’informazione antimafia interdittiva, verifica altresì la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’articolo 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. 3.  Decorso il termine di cui al comma 2, primo periodo, ovvero, nei casi di urgenza, immediatamente, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza dell’informazione antimafia. I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. 4.  La revoca e il recesso di cui al comma 3 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto. 5.  Il versamento delle erogazioni di cui all’articolo 67, comma 1, lettera g), può essere in ogni caso sospeso fino alla ricezione da parte dei soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, dell’informazione antimafia liberatoria”.

[67]Secondo cui: “1. La vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e l’attivita’ di regolazione degli stessi, sono attribuiti, nei limiti di quanto stabilito dal presente codice, all’Autorita’ nazionale anticorruzione (ANAC) di cui all’articolo 19 del decreto legge 24 giugno 2014, n.90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, che agisce anche al fine di prevenire e contrastare illegalita’ e corruzione. 2. L’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualita’ dell’attivita’ delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneita’ dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche. Trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, gli atti di regolazione e gli altri atti di cui al precedente periodo ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilita’ a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti. Resta ferma l’impugnabilita’ delle decisioni e degli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa. L’ANAC, per l’emanazione delle linee guida, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell’impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicita’, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualita’ della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal presente codice. 3. Nell’ambito dei poteri ad essa attribuiti, l’Autorita’: a) vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e nei settori speciali e sui contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera f-bis), della legge 6 novembre 2012, n. 190, nonche’ sui contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice; b) vigila affinche’ sia garantita l’economicita’ dell’esecuzione dei contratti pubblici e accerta che dalla stessa non derivi pregiudizio per il pubblico erario; c) segnala al Governo e al Parlamento, con apposito atto, fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa di settore; d) formula al Governo proposte in ordine a modifiche occorrenti in relazione alla normativa vigente di settore; e) predispone e invia al Governo e al Parlamento la relazione prevista dall’articolo 1, comma 2, della legge 6 novembre 2012, n. 190, come modificato dall’articolo 19, comma 5-ter, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, annuale sull’attivita’ svolta evidenziando le disfunzioni riscontrate nell’esercizio delle proprie funzioni; f) vigila sul sistema di qualificazione degli esecutori dei contratti pubblici di lavori ed esercita i correlati poteri sanzionatori; g) vigila sul divieto di affidamento dei contratti attraverso procedure diverse rispetto a quelle ordinarie ed opera un controllo sulla corretta applicazione della specifica disciplina derogatoria prevista per i casi di somma urgenza e di protezione civile di cui all’articolo 163 del presente codice; h) per affidamenti di particolare interesse, svolge attivita’ di vigilanza collaborativa attuata previa stipula di protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell’attivita’ di gestione dell’intera procedura di gara. h-bis) al fine di favorire l’economicita’ dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di acquisto, provvede con apposite linee guida, fatte salve le normative di settore, all’elaborazione dei costi standard dei lavori e dei prezzi di riferimento di beni e servizi, avvalendosi a tal fine, sulla base di apposite convenzioni, del supporto dell’ISTAT e degli altri enti del Sistema statistico nazionale, alle condizioni di maggiore efficienza, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione, avvalendosi eventualmente anche delle informazioni contenute nelle banche dati esistenti presso altre Amministrazioni pubbliche e altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici. 4. L’Autorita’ gestisce il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza. 5. Nell’ambito dello svolgimento della propria attivita’, l’Autorita’ puo’ disporre ispezioni, anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse, avvalendosi eventualmente della collaborazione di altri organi dello Stato nonche’ dell’ausilio del Corpo della Guardia di Finanza, che esegue le verifiche e gli accertamenti richiesti agendo con i poteri di indagine ad esso attribuiti ai fini degli accertamenti relativi all’imposta sul valore aggiunto e alle imposte sui redditi. 6. Qualora accerti l’esistenza di irregolarita’, l’Autorita’ trasmette gli atti e i propri rilievi agli organi di controllo e, se le irregolarita’ hanno rilevanza penale, alle competenti Procure della Repubblica. Qualora accerti che dalla esecuzione dei contratti pubblici derivi pregiudizio per il pubblico erario, gli atti e i rilievi sono trasmessi anche ai soggetti interessati e alla Procura generale della Corte dei conti. 7. L’Autorita’ collabora con l’Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato per la rilevazione di comportamenti aziendali meritevoli di valutazione al fine dell’attribuzione del “Rating di legalita’” delle imprese di cui all’articolo 5-ter del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il rating di legalita’ concorre anche alla determinazione del rating di impresa di cui all’articolo 83, comma 10. 8. Per le finalita’ di cui al comma 2, l’Autorita’ gestisce la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici, nella quale confluiscono, oltre alle informazioni acquisite per competenza tramite i propri sistemi informatizzati, tutte le informazioni contenute nelle banche dati esistenti, anche a livello territoriale, onde garantire accessibilita’ unificata, trasparenza, pubblicita’ e tracciabilita’ delle procedure di gara e delle fasi a essa prodromiche e successive. Con proprio provvedimento, l’ Autorita’ individua le modalita’ e i tempi entro i quali i titolari di suddette banche dati, previa stipula di protocolli di interoperabilita’, garantiscono la confluenza dei dati medesimi nell’unica Banca dati accreditata, di cui la medesima autorita’ e’ titolare in via esclusiva. Per le opere pubbliche, l’Autorita’, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Presidenza del Consiglio dei ministri e le Regioni e le Province autonome quali gestori dei sistemi informatizzati di cui al comma 4 dell’articolo 29 concordano le modalita’ di rilevazione e interscambio delle informazioni nell’ambito della banca dati nazionale dei contratti pubblici, della banca dati di cui all’articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, della banca dati di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144 e della banca dati di cui all’articolo 36 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, al fine di assicurare, ai sensi del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e del presente codice, il rispetto del principio di unicita’ dell’invio delle informazioni e la riduzione degli oneri amministrativi per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, l’efficace monitoraggio dalla programmazione alla realizzazione delle opere e la tracciabilita’ dei relativi flussi finanziari o il raccordo degli adempimenti in termini di trasparenza preventiva. Ferma restando l’autonomia della banca dati nazionale degli operatori economici di cui all’articolo 81, l’ Autorita’ e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti concordano le modalita’ di interscambio delle informazioni per garantire la funzione di prevenzione dalla corruzione e di tutela della legalita’ dell’Autorita’ e nel contempo evitare sovrapposizione di competenze e ottimizzare l’utilizzo dei dati nell’interesse della fruizione degli stessi da parte degli operatori economici e delle stazioni appaltanti. 9. Per la gestione della Banca dati di cui al comma 8, l’Autorita’ si avvale dell’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, composto da una sezione centrale e da sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome. L’Osservatorio opera mediante procedure informatiche, sulla base di apposite convenzioni, anche attraverso collegamento con i relativi sistemi in uso presso le sezioni regionali e presso altre Amministrazioni pubbliche e altri soggetti operanti nei settore dei contratti pubblici. L’Autorita’ stabilisce le modalita’ di funzionamento dell’Osservatorio nonche’ le informazioni obbligatorie, i termini e le forme di comunicazione che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono tenuti a trasmettere all’Osservatorio. Nei confronti del soggetto che ometta, senza giustificato motivo, di fornire informazioni richieste ovvero fornisce informazioni non veritiere, l’Autorita’ puo’ irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 13. La sezione centrale dell’Osservatorio si avvale delle sezioni regionali competenti per territorio per l’acquisizione delle informazioni necessarie allo svolgimento dei compiti istituzionali, sulla base di appositi accordi con le regioni. La sezione centrale dell’Osservatorio provvede a monitorare l’applicazione dei criteri ambientali minimi di cui al decreto di cui all’articolo 34 comma 1 e il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Piano d’azione per la sostenibilita’ dei consumi nel settore della pubblica amministrazione. 10. L’Autorita’ gestisce il Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituito presso l’Osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’articolo 80. L’Autorita’ stabilisce le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso, della verifica dei gravi illeciti professionali di cui all’articolo 80, comma 5, lettera c), dell’attribuzione del rating di impresa di cui all’articolo 83, comma 10, o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione di cui all’articolo 84. L’Autorita’ assicura, altresi’, il collegamento del casellario con la banca dati di cui all’articolo 81. 11. Presso l’Autorita’ opera la Camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture di cui all’articolo 210. 12. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 67, legge 23 dicembre 2005, n. 266. 13. Nel rispetto dei principi di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, l’Autorita’ ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti dalla stessa e nei confronti degli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000. Nei confronti dei soggetti che a fronte della richiesta di informazioni o di esibizione di documenti da parte dell’Autorita’ forniscono informazioni o esibiscono documenti non veritieri e nei confronti degli operatori economici che forniscono alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione, fatta salva l’eventuale sanzione penale, l’Autorita’ ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie entro il limite minimo di euro 500 e il limite massimo di euro 50.000. Con propri atti l’Autorita’ disciplina i procedimenti sanzionatori di sua competenza. 14. Le somme derivanti dal pagamento delle sanzioni di cui all’articolo 211 sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione in un apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per essere destinate, con decreto dello stesso Ministro, alla premialita’ delle stazioni appaltanti, secondo i criteri individuati dall’ANAC ai sensi dell’articolo 38. Il Ministro dell’economia e delle finanze e’ autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio. 15. L’Autorita’ gestisce e aggiorna l’Albo Nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici di cui all’articolo 78 nonche’ l’elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie societa’ in house ai sensi dell’articolo 192. 16. E’ istituito, presso l’Autorita’, nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti l’elenco dei soggetti aggregatori. 17. Al fine di garantire la consultazione immediata e suddivisa per materia degli strumenti di regolazione flessibile adottati dall’ANAC comunque denominati, l’ANAC pubblica i suddetti provvedimenti con modalita’ tali da rendere immediatamente accessibile alle stazioni appaltanti e agli operatori economici la disciplina applicabile a ciascun procedimento. 17-bis. L’ANAC indica negli strumenti di regolazione flessibile, di cui al comma 2, e negli ulteriori atti previsti dal presente codice, la data in cui gli stessi acquistano efficacia, che di regola coincide con il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e che, in casi di particolare urgenza, non puo’ comunque essere anteriore al giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Gli atti stessi si applicano alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o gli avvisi, con cui si indice la procedura di scelta del contraente, siano pubblicati successivamente alla data di decorrenza di efficacia indicata dall’ANAC ai sensi del primo periodo; in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi si applicano alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di decorrenza di efficacia, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.

[68]Consiglio di Stato, sez. III, 28/04/2016, n. 1630.

[69]Trib. Milano, 27/05/2020, n. 9.

[70]Secondo cui: “1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attivita’ nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono: a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione; b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante; c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione; d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate. 2-ter. L’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo. 2-quater. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. È onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa. 3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, puo’ formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. 4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente. 4-bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). 5. E’ comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.

[71]Per il quale: “1. Nel caso previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), l’ente è responsabile se la commissione del reato e’ stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. 2. In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.  3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attivita’ svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attivita’ nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio. 4. L’efficace attuazione del modello richiede: a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello”.

[72]Per cui: “1. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote. 2. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui all’articolo 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 5), del codice di procedura penale, si applica la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote. 3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno. 4. Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nei commi 1 e 2, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3”, d.lgs. n. 231/2001.

[73]Alla stregua del quale: “1. Quando si deve procedere in camera di consiglio, il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori. L’avviso è comunicato o notificato almeno dieci giorni prima della data predetta. Se l’imputato è privo di difensore, l’avviso è dato a quello di ufficio. 2. Fino a cinque giorni prima dell’udienza possono essere presentate memorie in cancelleria. 3. Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell’avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Se l’interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo. 4. L’udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell’imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice. 5. Le disposizioni dei commi 1, 3 e 4, sono previste a pena di nullità. 6. L’udienza si svolge senza la presenza del pubblico. 7. Il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel comma 1, che possono proporre ricorso per cassazione. 8. Il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza, a meno che il giudice che l’ha emessa disponga diversamente con decreto motivato. 9. L’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito. Si applicano le disposizioni dei commi 7 e 8. 10. Il verbale di udienza è redatto soltanto in forma riassuntiva a norma dell’art. 140 comma 2”, c.p.p..

[74]L’art. 94 del codice antimafia, difatti, prevede quanto segue: “1.  Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni. 2.  Qualora il prefetto non rilasci l’informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all’articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell’articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, ed all’articolo 91 comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. 3.  I soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi. 4.  Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano anche nel caso in cui emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione”.

[75]Cass. pen., sez. V, 2/07/2018, n. 34526.

[76]Cass. pen., sez. V, 6/11/2020, n. 34586.

[77]Cass. pen., sez. I, 30/01/2020, n. 8084.

[78]Cass. pen., Sez. Un., 26/09/2019, n. 46898.

[79]Ibidem.

[80]Cass. pen., sez. I, 7/05/2019, n. 29487.

[81]Cass. pen., sez. II, 22/03/2019, n. 27856.

[82]Cass. pen., sez. II, 15/03/2019, n. 16105.

[83]Cass. pen., sez. II, 14/02/2019, n. 17451.

[84]T.A.R. Reggio Calabria (Calabria), sez. I, 30/10/2018, n. 643.

[85]Ibidem.

[86]Cass. pen., sez. V, 2/07/2018, n. 34526.

[87]Secondo cui: “1. Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun anno giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull’amministrazione della giustizia nel precedente anno nonché sugli interventi da adottare ai sensi dell’articolo 110 della Costituzione e sugli orientamenti e i programmi legislativi del Governo in materia di giustizia per l’anno in corso. Entro i successivi dieci giorni, sono convocate le assemblee generali della Corte di cassazione e delle corti di appello, che si riuniscono, in forma pubblica e solenne, con la partecipazione del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dei procuratori generali presso le corti di appello e dei rappresentanti dell’avvocatura, per ascoltare la relazione sull’amministrazione della giustizia da parte del primo Presidente della Corte di cassazione e dei presidenti di corte di appello. Possono intervenire i rappresentanti degli organi istituzionali, il Procuratore generale e i rappresentanti dell’avvocatura”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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