Le misure cautelari reali. Il sequestro preventivo e la confisca “per equivalente”

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Premesse

Le misure cautelari sono disciplinate dal libro IV, titolo II, del codice di procedura penale, rappresentando delle vere e proprie limitazioni della libertà personale. Tali strumenti giuridici sono disposti da un giudice, sia nella fase delle indagini preliminari che nella fase processuale, lasciando un certo margine di discrezionalità, condizionato dalla presenza di presupposti stabiliti dalla legge. Si distinguono in misure cautelari personali e misure cautelari reali.

Per quanto riguarda le misure cautelari reali, il nostro codice di procedura penale prevede disciplina due tipologie, ossia il sequestro preventivo e il sequestro conservativo, le quali si sostanziano quali provvedimenti incidenti direttamente sulla sfera patrimoniale del soggetto cui vengono disposte, andando a formare un vincolo di indisponibilità su cose o sui beni di proprietà di quest’ultimo, nel rispetto di due principali finalità cautelari: la prima consistente nel far si che sia garantito il pagamento delle pene pecuniarie comminate, delle spese di giustizia e degli eventuali risarcimenti; la seconda, invece, per impedire che il soggetto indagato e sottoposto alle indagini abbia la libera disponibilità di un bene collegato o pertinente al reato, rischiando di aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolando la commissione di altri reati.

Le misure cautelari reali, quindi, comportano un vincolo di indisponibilità su cose mobili o immobili, le quali tendono ad evitare che il passaggio del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l’efficacia pratica della sentenza irrevocabile di condanna. Insomma, i provvedimenti di sequestro si caratterizzano  per una loro particolare finalità che si pone in relazione di strumentalità rispetto alla finalità, divenendo, così come osservato dallo stesso Calamandrei, “strumenti dello strumento”, in quanto volti a dare concretezza all’obiettivo ultimo della funzione giurisdizionale[1].

A differenza delle misure cautelari personali quelle reali non richiedono, per la loro applicazione, la sussistenza di gravi indizi e particolari esigenze cautelari, essendo sufficienti il “fumus bonis iuris” e il “periculum in mora”.

Per approfondire leggi anche “Procedimento ed esecuzione penale” di Cristina Marzagalli.

Il sequestro preventivo

Analizzati quelli che sono gli aspetti generali di tali misure, ci soffermeremo nello specifico sull’analisi del sequestro preventivo.

Mentre il sequestro conservativo, previsto dall’art. 316 e ss. c.p.p., tende a evitare che diminuiscano o si disperdano le garanzia patrimoniali (beni di proprietà dell’imputato o del responsabile civile), che servono al procedimento ai fini di pagamento delle spese di giustizia o delle somme dovute dal condannato a titolo di risarcimento del danno alla parte offesa; il sequestro preventivo, art. 321 e ss. c.p.p., invece, mira a impedire che una cosa pertinente al reato possa essere utilizzata per aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso.

Nello specifico, il dispositivo dell’art. 321 c.p.p. prevede espressamente che, “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari”. Inoltre, “Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”, e il comma 2-bis dispone che, “Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca”.

Il sequestro preventivo[2], dunque, si caratterizza per il suo spiccato finalismo cautelare, sul presupposto implicito che sia già stata accertata la sussistenza di elementi idonei a suffragare in concreto il fumus commissi delicti. La norma prevede che il giudice, anche prima dell’esercizio dell’azione penale e su richiesta del pubblico ministero, debba disporre con decreto motivato il sequestro delle cose pertinenti al reato, tra cui tutte le cose suscettibili di confisca, ogni volta che la libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato oppure agevolare la commissione di altri reati.

In merito a ciò, assume particolare rilevanza la discrezionalità del giudice, ad eccezione dei procedimenti riguardanti delitti commessi da pubblici ufficiali contro la P.A., per i quali il sequestro preventivo diviene obbligatorio, con una chiara intenzione di tutelare maggiormente il buon nome ed il buon andamento della pubblica amministrazione.

Inoltre, coerentemente con il presupposto cautelare, la misura può essere revocata a richiesta del P.M. o dell’imputato, quando si accerti l’insussistenza delle esigenze di prevenzione, anche per fatti sopravvenuti.

La confisca “per equivalete”: le particolarità dell’art. 322-ter c.p.

Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 321, anche se commesso ai sensi dell’articolo 322bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti indicati nell’articolo 322bis, secondo comma.

Nei casi di cui ai commi primo e secondo, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato”.

La confisca per equivalente, anche detta “confisca di valore”, scaturisce dall’evoluzione che, nel corso degli anni, ha interessato l’istituto della confisca, quale trasferimento coattivo allo Stato di beni correlati alla commissione di un reato. È una fattispecie peculiare per mezzo della quale si confiscano utilità patrimoniali di valore corrispondente nella materiale disponibilità del reo, non essendo possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato.

Tale figura normativa è stata aggiunta dall’art. 3 della legge n. 300/2000 e riguarda beni non collegati al reato che abbiano un valore equivalente al prezzo o al prezzo del reato.

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Beni confiscabili: beni intestati a terzi

La confisca “per equivalente” così come disciplinata dall’art. 322-ter c.p. è una misura sanzionatoria, alternativa alla confisca diretta del profitto o del prezzo del reato, che consente l’ablazione in danno della parte ritenuta colpevole, di beni di cui lo stesso abbia la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato, nel caso in cui i beni che costituiscano il profitto o il prezzo non siano direttamente confiscabili, con la finalità di evitare che il responsabile possa in qualsiasi modo indebitamente avvantaggiarsi delle difficoltà che l’autorità dovesse incontrare nell’individuare beni che, costituendo il profitto o il prezzo del reato, sarebbero destinati alla confisca diretta[3]. Per i giudici di legittimità, tale forma di confisca non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialità tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la commissione del reato: in tali casi, infatti, il soggetto responsabile viene colpito nelle sue disponibilità economiche, in quanto autore dell’illecito, restando il collegamento tra la confisca, da un lato, e il profitto o il prezzo del reato, dall’altro, misurato solo da un meccanismo di equivalenza economica.

Per la Suprema Corte[4], quindi, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prescinde dalla prova del periculum” oggettivo, inteso anche come incertezza sulla capacità economica della persona indagata di far fronte con il proprio patrimonio all’eventuale futura misura sanzionatoria, trattandosi, una volta accertata la confiscabilità dei beni sequestrati, di dato del tutto irrilevante ai fine della misura.

La natura sanzionatoria della confisca per equivalente fa sì che la stessa sia disposta in via principale nei confronti del soggetto che ha commesso il reato. Tuttavia, secondo quanto previsto dai giudici di legittimità, non deve sussistere un rapporto di necessaria pertinenzialità tra i beni oggetto della misura ablatoria ed il reato, essendo sufficiente che i beni di cui viene disposta la confisca, e preliminarmente il sequestro, corrispondano per valore al prezzo e al profitto del reato a nulla rilevando il fatto che tale profitto sia andato a beneficio di un soggetto diverso dall’autore dell’illecito[5].

In ordine al sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell’indagato stesso, la Corte di Cassazione[6] in diverse pronunce ha disposto che non opera alcuna presunzione di intestazione fittizia, ma “incombe su pubblico ministero l’onere di dimostrare situazioni concrete da cui desumere l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite, ossia la riconducibilità dello stesso alla disponibilità e alla sfera di interesse economico dell’indagato.

Sequestro preventivo e confisca per equivalente

Ripercorrendo i quadro appena esaminato è possibile affermare in conclusione che la confisca “di valore” rappresenta un provvedimento ablativo disposto su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato, previsto per talune fattispecie criminose allorquando sia intervenuta condanna e sia impossibile identificare fisicamente le cose che ne costituiscono effettivamente il prezzo, il prodotto o il profitto.

La confisca per equivalente, pertanto, trova il suo fondamento e il suo unico limite nel profitto derivato dal reato e prescinde dalla pericolosità che in qualsiasi modo possa derivare dalla cosa o dall’uso della stessa.

L’ablazione dunque può avere ad oggetto, fino alla concorrenza dell’importo determinato, non solo i beni già individuati nella disponibilità dell’imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità entrano dopo il provvedimento di confisca[7].

Volume consigliato

[1] C. SANTORIELLO, Le misure cautelari reali nel processo penale. Considerazioni generali, in G. Spanghere, C. Santoriello (a cura di) Le misure cautelari reali, Torino, 2009.

[2] Il sequestro preventivo è eseguito: a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili; b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; c) sui beni aziendali organizzati per l’esercizio di un’impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l’immissione in possesso dell’amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l’impresa; d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese; e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170.

[3] Cfr. Cass. Pen., n. 33765/2015.

[4] Cfr. Cass. Pen., n. 11405/2014.

[5] Cfr. Cass. Pen., n. 36927/2013.

[6] Cfr. Cass. Pen., nn. 24816/2016; 36530/2015; 14605/2015; 11497/2015.

[7] Cfr. Cass. Pen., n. 24430/2016.

 

Giacomo Ottobre

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