Le concessioni di lavori pubblici e questioni applicative

Scarica PDF Stampa
 

SOMMARIO: 1. Oggetto e ambito di applicazione. – 2. Calcolo del valore stimato delle concessioni per determinare le c.d. “soglie comunitarie” (art.35, d.lgs. n.50/2016) – 3. Rischio operativo e piano economico finanziario. – 4. Durata, procedure di affidamento e criteri di aggiudicazione (art.166  ed artt.171-173, d.lgs. n.50/2016). – 5. Sottoscrizione e modifiche contrattuali. – 6. Annullamento, risoluzione e revoca (art.176, d.lgs. n.50/2016).  – 7. Subappalto delle concessioni. – 8. Affidamenti dei concessionari.

1. Oggetto e ambito di applicazione.

In Italia il d.lgs. 18 aprile 2016 n°50, rubricato “codice dei contratti pubblici” (nel prosieguo “codice appalti”) rappresenta  la normativa  vigente in materia di contratti pubblici relativi  a lavori, servizi e forniture.  Entrato in vigore il 19 aprile 2016, la parte III° del codice appalti (artt. 164-178) è dedicata ai contratti di concessione di lavoro e di servizi, definendone i criteri e le procedure di aggiudicazione e affidamento (aggiungendosi alle disposizioni generali già contenute nelle  parti I° e II° del codice) nonché la durata, le garanzie, le modalità di comunicazione agli offerenti e candidati, le modalità di esecuzione, di pubblicazione e di redazione dei bandi e degli  avvisi, i termini di ricezione delle domande di offerta e di partecipazione, i requisiti di qualificazione degli operatori economici che vogliano concorrere nelle tipologie di attività esplicitate nell’allegato II del Codice. L’art.3, d.lgs. citato, ci fornisce la definizione della concessione di lavori (lett.uu)  e di servizi (lett.vv) stabilendo rispettivamente che:

– “la concessione di lavori è un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano l’esecuzione di lavori ad uno o più operatori economici riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire le opere oggetto del  contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in  capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione delle opere”;

– “la concessione di servizi è un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del                   quale una o più stazioni appaltanti affidano ad uno o più operatori economici la fornitura e la gestione  di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll)[1] riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in  capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”;

Vale ricordare come tra l’appalto di servizi e la concessione di servizi pubblici, si possono individuare alcuni criteri distintivi e precisamente: a) la natura giuridica di tipo unilaterale                     del titolo concessorio di affidamento del servizio pubblico, rispetto al carattere negoziale dell’appalto; b) il carattere di semplice rilevanza economica dei servizi svolti dall’appaltatore nell’interesse del committente pubblico, contrapposto al carattere surrogatorio dell’attività svolta dal concessionario di pubblico servizio (che assume su di sé anche obblighi di natura pubblica più stringenti, proprio perché si surroga nella fornitura al pubblico del servizio preso in concessione);
c) il necessario trasferimento di potestà pubbliche in capo al concessionario, che nulla hanno a             che vedere con le prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico riconosciute, invece, all’appaltatore[2] che non opera quale organo indiretto dell’amministrazione[3].

Si precisa, infine, che i contratti pubblici di concessioni di lavori e di servizi fanno parte di                   quelle forme di coinvolgimento di capitali privati che prendono il nome di partenariato pubblico-privato a cui è dedicata la parte IV del codice.

2. Calcolo del valore stimato delle concessioni per determinare le c.d. “soglie comunitarie” (art.35, d.lgs. n.50/2016).

L’art.167 del codice appalti, ci fornisce i criteri di riferimento per determinare il valore della concessione ai fini delle “soglie comunitarie” previste dall’art.35, d.lgs. citato. Tale valore si  compone del fatturato totale del concessionario, generato per tutta la durata del contratto,                        al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore,                    quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi[4]. La scelta del metodo per il calcolo del valore stimato delle concessioni deve rientrare e non può essere escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs.                         n. 50/2016,  nella considerazione dei seguenti punti fondamentali:

–  il valore stimato della concessione è calcolato con un metodo oggettivo, specificato nei documenti della concessione, al momento dell’invio del bando di concessione o, quando non sia previsto un bando, al momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore avvia  la procedura di aggiudicazione della concessione;

– se il valore della concessione, al momento dell’aggiudicazione, è superiore di più del 20%              rispetto al valore stimato, la stima rilevante è costituita dal valore della concessione al momento dell’aggiudicazione;

– una concessione non può essere frazionata a meno che non vi siano ragioni oggettive valide,                  che sono valutate al momento della predisposizione del bando dall’amministrazione aggiudicatrice.

Tali criteri di determinazione, impressi nel citato art. 167, d.lgs. n. 50/2016, consentono di individuare – in senso oggettivo – il valore prestazionale della concessione e, al tempo stesso,                  di circoscrivere l’eventuale ambito del contendere davanti al Giudice del Merito.

 

3. Rischio operativo e piano economico finanziario.

L’art.165 del codice appalti, trasferisce in capo agli appaltatori il “rischio operativo”                     (art.3, lett.zz), da intendersi come la possibilità che, in condizioni operative normali, intervengano variazioni relative ai costi e ai ricavi (oggetto della concessione)  che incidano sull’equilibrio               del piano economico-finanziario, inizialmente redatto.

Ed è proprio quest’ultimo a costituire il presupposto per una corretta allocazione dei rischi,              in quanto caratterizzato dalla contemporanea presenza della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria (art.3, comma 1, lett.fff, del codice)[5]. È da sottolineare come, ai fini                   del raggiungimento di tale equilibrio, in sede di gara, la stazione appaltante può stabilire                        un prezzo che può consistere in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili,                 ma in ogni caso l’eventuale riconoscimento dello stesso non può essere superiore al 49%                         del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.

In tutto ciò il concessionario è libero di organizzare la propria attività, secondo i criteri                  scelti da quest’ultimo per la migliore gestione del servizio, ma con il trasferimento del rischio imprenditoriale, ovvero quel  rischio operativo che pone il concessionario nella condizione di ammettere (con specifica sottoscrizione della relativa clausola contenuta nel contratto di concessione) che non gli sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti             per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione.

Va comunque precisato che la parte del rischio trasferita  al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato, tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico, non sia puramente nominale o trascurabile.

Da quanto detto, ne consegue la precisazione – fatta propria dall’art.165, appena citato – che                   “la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi  al mercato. Tali contratti comportano il trasferimento al concessionario del rischio operativo riferito alla possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio del piano economico finanziario. Le variazioni devono essere, in ogni caso, in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario”.

Ne consegue l’effetto che amministrazioni ed enti vincitori otterranno una remunerazione             per il lavoro svolto esclusivamente dai servizi resi, ovvero dalla gestione del servizio attivato,               e da nessun altra attività economica.  Un esempio potrebbe essere quello della concessione di servizio in favore della società “Autostrade per l’Italia” che trae la propria remunerazione                      dal pedaggio sostenuto dai fruitori del servizio, potendo rischiare,  in questo modo, di non rientrare interamente negli investimenti sostenuti. Diversa sarebbe la posizione economico-giuridica                 della  società nel caso in cui essa si trovi a stipulare  un contratto di appalto perché, in questo caso,  il costo della realizzazione e manutenzione delle reti viarie andrebbe interamente a carico dell’amministrazione appaltante.

 

4. Durata, procedure di affidamento e criteri di aggiudicazione (art.166 ed artt.171-               173, d.lgs. n.50/2016).

La durata delle concessioni è limitata ed è determinata nel bando di gara in funzione dei  lavori o servizi richiesti al concessionario ed è commisurata al valore della concessione e alla complessità  organizzativa dell’oggetto della stessa.

È palese come la durata del contratto di concessione pone l’attenzione sulla compatibilità della stessa con principi comunitari della tutela della concorrenza e della libera circolazione dei servizi, in quanto una durata eccessiva o non in linea con i parametri valutativi di cui sopra, potrebbe risultare contrastante con le direttive comunitarie[6].

Comunque la durata massima non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti sostenuti, sia in fase iniziale sia in corso di concessione, da parte                   del concessionario, considerando una remunerazione del capitale investito[7].

Per quanto riguarda le procedure di affidamento delle concessioni (art.166) le stazioni appaltanti hanno ampia libertà nell’organizzazione delle procedure di scelta del concessionario,           con l’obbligo di osservare le disposizioni contenute nella Parte I, II e III del codice appalti, garantendo un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, parità di trattamento e promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici, nonché il pieno rispetto                       dei principi di aggiudicazione secondo l’art.30 del codice, il quale detta norme comuni sia                             ad appalti che a concessioni[8].

L’art.173 del codice, stabilisce poi che le concessioni vengono aggiudicate sulla base                   dei criteri che la stazione appaltante elenca nel bando, in ordine decrescente di importanza.

Tuttavia, per casi eccezionali, la stazione appaltante può modificare tale ordine per tenere conto di una soluzione innovativa contenuta in un’offerta caratterizzata da un livello straordinario   di prestazioni funzionali, non prevedibile utilizzando l’ordinaria diligenza, con il limite che la modifica dell’ordine non deve dar luogo a discriminazioni. In seguito alla modificazione dell’ordine dei criteri di aggiudicazione, la stazione appaltante deve informare tutti gli offerenti ed emettere              un nuovo invito a presentare l’offerta o, nel caso in cui i criteri di aggiudicazione siano stati pubblicati contestualmente alla pubblicazione del bando, pubblicare un nuovo bando.

L’aggiudicazione delle concessioni avviene sulla base dei detti criteri e nel rispetto di certe condizioni elencate  negli artt.171-172 del codice, precisamente:

–  l’offerta  presenta  i  requisiti minimi indicati nel bando;

–  l’offerente possiede tutti i requisiti necessari per la partecipazione al bando;

– le stazioni appaltanti verificano le condizioni di partecipazione relative alle capacità tecniche, professionali, finanziarie ed economiche dei candidati o degli offerenti, sulla base di certificazioni o attestati che devono essere presentati come prova;

– l’offerente non è escluso dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione nei casi previsti dall’art.172 (valutazione qualitativo-tecnica dei candidati) quando, per soddisfare i requisiti di partecipazione relativi alle capacità tecniche e professionali e alla capacità finanziaria, si avvale di altri soggetti, attraverso l’istituto dell’avvalimento;

– nel bando di concessione, le stazioni appaltanti forniscono una descrizione della concessione e delle condizioni di partecipazione;

– le stazioni appaltanti indicano che la concessione è vincolata alla piena attuazione del piano finanziario per la realizzazione degli investimenti e che l’offerta deve contenere, a pena di esclusione, l’impegno espresso del concessionario al rispetto di tale condizione.

 

5. Sottoscrizione e modifiche contrattuali.

Successivamente alla presentazione della documentazione del finanziamento dell’opera,                può avvenire la sottoscrizione del contratto di concessione, il quale si risolve di diritto se il contratto di finanziamento non è perfezionato entro dodici mesi dalla sottoscrizione dello stesso contratto              di concessione. Per agevolare l’ottenimento del finanziamento dell’opera, i bandi e i relativi allegati, compresi lo schema di contratto e il piano economico finanziario, sono definiti in maniera tale da assicurare elevati livelli di bancabilità, cioè la reperibilità sul mercato finanziario di risorse proporzionate ai fabbisogni, la sostenibilità di tali fonti e la redditività del capitale investito               per le concessioni da affidarsi con la procedura ristretta.

Si precisa, infine, che il bando può prevedere, prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare l’offerta, al fine di consentire alla stazione appaltante di verificare se il progetto posto a base di gara presenta criticità  dal punto di vista della finanziabilità, consentendo ad essa di provvedere ad adeguare gli atti di gara, aggiornando il termine di presentazione delle offerte,                  che non può essere inferiore a trenta giorni dalla relativa comunicazione agli interessati.

Per quanto riguarda, invece, le modifiche apportate al contratto di concessione senza una nuova procedura di aggiudicazione, l’art.175 del codice prevede che esse sono possibili solo              sulla base di precisi criteri e condizioni, ed in particolare quando:

– le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state espressamente previste              nei documenti di gara iniziali e cristallizzate in clausole chiare, precise e inequivocabili che fissino portata, natura e condizioni in cui le stesse possano intervenire; tuttavia, tali clausole non possono consentire di apportare modifiche che alterino la natura generale della concessione e comunque            non possono prevedere la proroga della durata della concessione;

– per lavori o servizi supplementari da parte del concessionario originario che si sono resi necessari e non inclusi nella concessione iniziale, un cambiamento del concessionario risulti impraticabile per motivi economici o tecnici, comportando per la stazione appaltante un notevole ritardo o aggravio dei costi;

– la modifica possa qualificarsi “necessitata”, derivando cioè da situazioni imprevedibili che  la stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando l’ordinaria diligenza e comunque a condizione che le modifiche non alterino, a prescindere dal loro valore, la natura generale della concessione e gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuito[9];

– un nuovo concessionario sostituisce quello inizialmente aggiudicatario, a causa di una “clausola di revisione” prevista nei documenti iniziali di gara oppure quando al concessionario iniziale succeda, a seguito di ristrutturazioni societarie, acquisizioni, fusioni, insolvenza,                 un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente                    e senza modifiche sostanziali al contratto;

– un nuovo concessionario sostituisce il precedente perché la stazione appaltante si è assunta gli obblighi del concessionario principale nei confronti dei suoi subappaltatori.

Si tratta, in sostanza, di casi ben definiti al fine di impedire, da un lato, che il principio di libera concorrenza e trasparenza venga violato e, dall’atro, consentire che – in presenza di eventi eccezionali od anti-economici – la stazione appaltante possa perseguire l’obiettivo economico funzionale della concessione.

 

6. Annullamento, risoluzione e revoca (art.176, d.lgs. n.50/2016).

Il contratto  di concessione  può  essere  annullato  d’ufficio,  quando:

  • la stazione appaltante ha violato, con riferimento, al procedimento di aggiudicazione,  il diritto dell’Unione europea, da intendersi non solo le norme di aggiudicazione strettamente intese ma anche i principi comunitari che sottendono la disciplina contrattualistica;
  • la concessione ha subito, durante il periodo della sua efficacia, una modifica delle condizioni tali da richiederne una nuova procedura di aggiudicazione.
  • il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell’art.80 (elenca motivi di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione alla concessione)[10].

L’annullamento d’ufficio richiamato dall’articolo, consiste in una specificazione dell’istituto generale disciplinato dall’art.21-nonies della legge n.241/1990: in effetti, esso risulta sempre ascrivibile ai c.d. procedimenti di riesame (con la rimozione dell’atto affetto da vizi insanabili con efficacia ex tunc) con la differenza che qui il legislatore ha già predeterminato  i singoli casi  in             cui ravvisare le “ragioni di pubblico interesse”, dettate per l’istituto  in via generale[11].

Se la concessione viene risolta per inadempimento della stazione appaltante oppure se                questa revochi la concessione per motivi di pubblico interesse[12] o ancora l’annullamento d’ufficio                  sia  dipesa da un vizio  non  imputabile al concessionario, a  questi  spettano, a titolo di indennizzo:

  • il valore delle opere realizzate e gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso l’opera non abbia superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti;
  • le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione;
  • una quota di risarcimento pari al 10% del valore delle opere ancora da eseguire ovvero del valore attuale del servizio pari ai costi monetari della gestione operativa previsti nel piano economico-finanziario allegato alla concessione.

L’efficacia della revoca della concessione è sottoposta alla condizione del pagamento                       da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore delle somme previste[13].

Nel caso di concessione risolta per inadempimento del concessionario, trova applicazione l’art.1453 del codice civile, secondo il quale “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno (..)”. Pertanto,                       la parte non inadempiente potrà quindi azionare, davanti l’autorità giudiziaria competente, l’istituto della risoluzione ovvero chiedere l’esecuzione del contratto, facendo sempre salva la possibilità di chiedere il risarcimento del danno subito.

Giova peraltro precisare come la natura pubblicistica del rapporto instaurato, non esclude l’applicazione delle regole di carattere civilistico, atteso che l’art.30 co.8, d.lgs. cit. stabilisce, in via di principio, per tutti i contratti pubblici (quindi anche quelli relativi alla concessione di servizi) che, per quanto non espressamente previsto nel codice appalti e negli atti attuativi, alla fase di stipula del contratto ed alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile.

7. Subappalto delle concessioni.

Secondo l’art.174 del codice, gli operatori economici hanno una generale facoltà di indicare, in sede di offerta, le parti del contratto di concessione che intendono subappaltare a terzi[14].

Tale facoltà non si estende agli operatori costituenti microimprese, piccole e medie imprese mentre, sul piano dell’oggetto contrattuale, deve trattarsi di concessioni per le quali non sia necessaria una particolare specializzazione tecnico-qualitativa.

Gli operatori economici, inoltre, devono reperire sul mercato una terna di nominativi di subappaltatori, in quanto il numero degli operatori che svolgono le prestazioni richieste   risulterebbe, altrimenti, troppo elevato. È comunque fatto divieto del c.d. “subappalto a cascata”,                   cioè l’affidamento di lavorazioni di competenza del subappaltatore, ad altra impresa in                               sub-affidamento.

Il concessionario è responsabile in via esclusiva nei confronti della stazione appaltante                       ed è solidalmente obbligato con il subappaltatore nei confronti dei dipendenti dell’impresa subappaltatrice, in relazione agli obblighi contributivi e retributivi di legge. Tuttavia, se la                natura del contratto lo consente, la stazione appaltante ha l’obbligo di pagare direttamente i subappaltatori ma nel solo caso di microimprese e piccole imprese mentre, per le altre tipologie di imprese, essa è onerata nel solo caso di inadempienza dell’appaltatore o di richiesta del subappaltatore.

8. Affidamenti dei concessionari.

L’art.177, comma 1, d.lgs. n.50/2016, ha espressamente previsto l’obbligo per i soggetti pubblici e privati titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già in essere alla data di entrata in vigore del codice (con esclusione delle concessioni affidate con la formula della finanza di progetto o con procedura di gara ad evidenza pubblica) di affidare una quota pari all’80%                  dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro, mediante procedura ad evidenza pubblica, “introducendo clausole speciali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità”.

La restante parte può essere realizzata “da società in house (..) [15] per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati,          ovvero tramite operatori individuati con procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato”. La verifica del rispetto del limite dell’80% dovrà essere effettuata dall’A.N.A.C  e dai soggetti preposti, i quali individueranno le situazioni di squilibrio rispetto al limite citato sopra, con il conseguente riequilibrio entro il termine individuato dall’ente di controllo.

Infine, si precisa come l’obbligo di gara ad evidenza pubblica per le concessioni già in essere,                                 ai sensi dell’art.177 del codice, comma 2, deve essere adempiuto entro un periodo transitorio,                  di  adeguamento, di 24 mesi “dalla data di entrata in vigore del presente codice” [16].

Tale disciplina transitoria riscontra tutta la ratio normativa del codice appalti, in quanto tende             ad adeguare anche i contratti già in essere, ai principi cardine della materia, cioè in sostanza garantendo quei principi di libera concorrenza (o di non esclusione del mercato), di non discriminazione, di trasparenza e di proporzionalità sanciti dall’art.30 del codice, di chiara             matrice comunitaria.

Volume consigliato

Il contenzioso su appalti e contratti pubblici

Il testo intende fornire un quadro completo di tutti i rimedi, giurisdizionali e non, alle controversie nascenti in materia di appalti pubblici, sia nel corso di svolgimento della procedura di gara e fino all’aggiudicazione, sia nella successiva fase di esecuzione del contratto di appalto. In primis, dopo un excursus sull’evoluzione degli ultimi anni, utile a comprenderne pienamente la ratio, viene affrontato approfonditamente il rito processuale speciale, disciplinato dal Libro IV, Titolo V del Codice del processo amministrativo, con particolare attenzione alla fase cautelare. Vi è poi un focus sul rito “super accelerato”, da ultimo dichiarato conforme alle direttive europee da una pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 14 febbraio 2019.Alle controversie sorte in fase di esecuzione dei contratti di appalto è dedicato uno specifico capitolo, che rassegna le principali pronunce del Giudice Ordinario con riferimento alle patologie più frequenti (ritardi nell’esecuzione, varianti, riserve).Infine, quanto alla tutela stragiudiziale, il testo tratta i rimedi previsti dal Codice dei Contratti Pubblici, quali l’accordo bonario, la transazione e l’arbitrato e infine approfondisce il ruolo dell’ANAC, declinato attraverso i pareri di precontenzioso, i poteri di impugnazione diretta, e l’attività di vigilanza.Più schematicamente, i principali argomenti affrontati sono:• il rito speciale dinanzi a TAR e Consiglio di Stato, delineato dagli artt. 119 e 120 del Codice del processo amministrativo;• il processo cautelare;• il rito super accelerato ex art. 120 comma 2 bis;• il contenzioso nascente dalla fase di esecuzione del contratto di appalto;• i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie: accordo bonario, transazione, arbitrato;• poteri e strumenti di risoluzione stragiudiziale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.Elio Guarnaccia, Avvocato amministrativista del Foro di Catania, Cassazionista. Si occupa tra l’altro di consulenza, contenzioso e procedure arbitrali nel settore degli appalti e dei contratti pubblici. È commissario di gara nelle procedure di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in qualità di esperto giuridico selezionato da UREGA Sicilia e dall’ANAC.È autore di numerosi saggi e articoli nei campi del diritto amministrativo e del diritto dell’informatica, nonché di diverse monografie in materia di appalti pubblici, processo amministrativo, amministrazione digitale. Nelle materie di propria competenza ha sviluppato un’intensa attività didattica e di formazione per pubbliche amministrazioni e imprese. In ambito universitario, ha all’attivo vari incarichi di docenza nella specifica materia degli appalti pubblici.

Elio Guarnaccia | 2019 Maggioli Editore

22.00 €  20.90 €

Note

[1] Escludendo cioè gli “appalti pubblici di lavori” ovvero  quei contratti che prevedono la sola esecuzione  dell’opera                 o la sua progettazione, escludendone la “gestione” nei termini precisati dalla norma di cui sopra.

[2] Infatti, nell’appalto di lavori, servizi e forniture, l’azienda appaltatrice certamente non  opera quale organo                    indiretto dell’amministrazione, cosa che, invece, avviene nel contratto di concessione in cui, come detto sopra,                            il concessionario di pubblico servizio opera in regime di tipo “surrogatorio”.

[3] Per un confronto,  Circ. Pres. Cons. Min. del 1.3.2002  n° 3944, pubblicata in G.U. del 3.05.2002.

[4] In Cons. Stato, sez. III,  18 ottobre 2016 n. 4343,  il Giudice Amministrativo,  nell’esaminare il caso di un appellante che riteneva legittima la determinazione del valore della concessione ancorandolo al parametro del canone concessorio e non al fatturato, ha ribadito come il valore della concessione non può essere computato con riferimento al                        c.d. “ristorno” e cioè al costo della concessione, poiché trattasi di un elemento del tutto eventuale; esso deve, invece, essere calcolato sulla base del fatturato stimabile da parte del concessionario, nel caso de quo generato dal consumo               dei prodotti da parte degli utenti del servizio di distribuzione automatica.

[5] In linea con quanto fino d’ora detto e per completezza, si ricordano le sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV,                     del 4 settembre 2012, n. 4682 e sez. IV del 4 maggio 2020 n. 2810, le quali sottolineano che “si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del                     servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione”.

[6] Cfr.  A. DI GIOVANNI, I servizi di interesse generale tra poteri di autorganizzazione e concessione di servizi,                 ed. 2018  p.137 ss.; in Collana “Nuovi problemi di amministrazione pubblica”, diretta da F. G. SCOCA.

[7] Per completezza, si ricorda la sentenza TAR l’Aquila del 25 Novembre 2019 n. 598 la quale, nel caso di una società            in disaccordo con l’ente comunale per questioni relative alla proroga del contratto di concessione tra  l’ente e la società stessa, ribadisce che ai sensi dell’art.168 comma 2 del d.lgs. 50/2016, la “proroga delle concessioni per il periodo              di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario, trova applicazione solo per le concessioni ultraquinquennali e quindi non può trovare applicazione nel caso di specie, posto che l’originario contratto di concessione aveva durata quadriennale”.

Dunque pur volendo accedere ad una diversa e più estensiva interpretazione della norma, il periodo di proroga della concessione deve comunque rispondere ad un criterio di ragionevolezza e in riferimento al caso specifico della sentenza precedentemente citata, nel quale il periodo di proroga del contratto di concessione ha avuto una durata di sette anni ,quasi doppia rispetto alla durata del contratto originario, secondo il Collegio “il Comune ha pertanto accordato alla società un amplissimo lasso temporale, che ben avrebbe potuto essere sfruttato dalla stessa per raggiungere l’equilibrio economico finanziario e superare quindi la situazione debitoria”.

[8] Riprende il concetto di non alterazione della libera concorrenza – di spiccata natura comunitaria – il secondo comma dell’articolo citato, secondo cui “le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di aggiudicazione delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi”.

[9] In proposito si ricorda la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 18.09.2019 (C-526/17) la quale, in merito                al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi e di proroga della durata di una concessione esistente per la costruzione e gestione di un’autostrada, senza pubblicazione di un bando di gara, ribadisce come nel rispetto del principio di parità di trattamento e di trasparenza nell’aggiudicazione di un contratto di concessione di lavori pubblici, “l’amministrazione aggiudicatrice concedente e il concessionario non possono apportare nel contratto di concessione modifiche tali da alterare in maniera sostanziale la natura del contratto iniziale e quindi della concessione stessa”. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto: a) “di estendere             la concessione di lavori pubblici, in modo considerevole, a elementi non previsti”; b) “di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore del concessionario”; c) “oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione della concessione di lavori pubblici nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”  (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2016, Finn Frogne, C‑549/14, punto 28  e giurisprudenza ivi citata).

Pertanto, in linea di principio, una modifica sostanziale di un contratto di concessione di lavori pubblici deve             dar  luogo a una nuova procedura di aggiudicazione relativa al contratto così modificato; v., in tal senso, sentenza            del 7 settembre 2016, Finn Frogne, C‑549/14, punto 30 e giurisprudenza ivi citata – [rif. art.168, d.lgs. n. 50/2016].

 

[10] La sentenza TAR Roma, 25.02.2020 n. 2442,  in linea con l’art.80, comma 5, lettera c-bis, l’art.57 della direttiva 2014/24/UE, par.4, lett. h e le sentenze del Consiglio di Stato, sez. III, 13 giugno 2018, n. 3628 e  sez. V, 16 novembre 2018, n. 6461, hanno rimarcato “l’obbligo informativo da parte dell’operatore economico di ogni eventuale rapporto contrattuale che non si è concluso in modo fisiologico (risoluzione, revoca, etc.)”, nonché di tutte le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione e di una preliminare valutazione di affidabilità professionale dell’impresa da parte della  stazione appaltante in corso di gara nonché  al  momento della formulazione della domanda di partecipazione alla stessa. Ne deriva che l’omissione dichiarativa circa gli obblighi informativi                    cui è tenuto l’operatore economico “può integrare il grave illecito professionale e comportare l’esclusione dalla                       gara specifica”.

[11] Per dovere di completezza, giova precisare che ci troviamo nell’ambito della c.d. “autotutela legata”, nel senso che            – in totale opposizione a quello accade nei rapporti negoziali tra privati, dove gli stessi possono sciogliersi unilateralmente dal vincolo negoziale nei soli casi previsti dalla legge e comunque dovendo agire in sede giudiziale             per ottenere una sentenza con efficacia costitutiva –  qui l’Amministrazione-stazione appaltante  è tenuta ad intervenire               ex post sul rapporto costituito, onde eliminarlo giuridicamente, ogni qualvolta esso presenti – ad un attento riesame              in autotutela – il carattere della illegittimità, in quanto contrastante con l’interesse pubblico nella sua dimensione concreta ed attuale.  Sul punto Cfr. CERULLI IRELLI,  Lineamenti del diritto amministrativo, 2017, 401 ss.

[12] La revoca per sopravvenuto interesse, richiamata dall’art. 176, codice appalti,  ricalca l’istituto richiamato dal legislatore in materia di “accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento” di cui all’art.11 co.4, legge n.241/1990.               In effetti, anche n questo ultimo caso, l’Amministrazione procede, unilateralmente, a revocare, con efficacia ex nunc         gli effetti del provvedimento risultati in contrasto con gli interesse pubblici emersi nel frattempo.

[13] In proposito il Tar Campania, con  sentenza del 12 luglio 2018 n.4652, ha affermato la legittimità dell’atto di revoca di una concessione di pubblico servizio, per inadempimento del concessionario, non preceduto da una “diffida ad adempiere” ai sensi dell’art. 1454 c.c., ritenendo sufficiente l’invio di una comunicazione di avvio del procedimento “risolutorio”, ai sensi dell’art.7, legge n.241/1990.  Il giudice amministrativo ha, infatti,  ritenuto che   “(..) tenuto conto della natura pubblicistica del potere di risoluzione esercitato, e in ragione del principio del raggiungimento             dello  scopo (..)”, le “garanzie partecipative” invocate da parte ricorrente fossero state nello specifico “(..) ampiamente rispettate (..)”,  stante l’invio da parte dell’Amministrazione concedente, di una apposita e preventiva “comunicazione di avvio del procedimento risolutorio ex art. 7 L. 241/90, (..) la quale ha dato luogo una effettiva interlocuzione procedimentale, avendo la concessionaria analiticamente controdedotto in merito alle singole contestazioni (…)”.

[14] In proposito la sentenza della Corte di Giustizia Europea, 03.10.2019 (C-267/18) ha ribadito come il “il subappalto, effettuato da un operatore economico, di una parte dei lavori nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, deciso senza il consenso dell’amministrazione aggiudicatrice e che abbia dato luogo alla risoluzione di tale contratto di appalto, costituisce una significativa o persistente carenza accertata nell’ambito dell’esecuzione di una prescrizione sostanziale relativa al suddetto appalto pubblico…ed è dunque idoneo a giustificare l’esclusione di tale operatore economico dalla partecipazione ad una successiva procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, nel caso in cui, dopo aver proceduto alla propria valutazione dell’integrità e dell’affidabilità dell’operatore economico interessato dalla risoluzione del precedente contratto di appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice che organizza tale successiva procedura di aggiudicazione di appalto ritenga che un subappalto siffatto determini la rottura del rapporto di fiducia con l’operatore economico in parola.”. Prima di pronunciare tale esclusione, l’amministrazione aggiudicatrice deve però, in conformità dell’art.57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE  “lasciare la possibilità a detto operatore economico di presentare le misure correttive da esso adottate a seguito della risoluzione del precedente contratto di appalto pubblico”. [rif. art. 80art. 105 d.lgs. n. 50/2016].

[15] Si ha affidamento in house quando il committente pubblico provvede in proprio ad attribuire l’appalto o il servizio con affidamento diretto, ossia senza gara d’appalto, in deroga al principio di carattere generale dell’evidenza pubblica. Giova ricordare l’art.5 del Codice, il quale contiene i requisiti di ammissibilità dell’affidamento in house                   ovvero tutte quelle concessioni e appalti pubblici che non rientrano nell’ambito  di applicazione del codice appalti, unitamente all’art. 192, relativo alla disciplina specifica e procedurale degli affidamenti  in house.

[16] La sentenza Consiglio di Stato, sez. V, 27.07.2017 n. 3703, fornisce chiarimenti sull’art.177 comma 2 e in particolare

sull’espressione “entro ventiquattro mesi”. A tal proposito il Collegio “ritiene la formulazione letterale della norma conduca univocamente alla conclusione secondo cui l’obbligo di evidenza pubblica è immediatamente operativo e il termine di ventiquattro mesi è soltanto un termine finale, “entro” (e non a partire da) il quale deve essere raggiunta l’aliquota minima dell’80% di contratti affidati mediante gara. La conseguenza è che, mano a mano che i precedenti contratti vengono a scadenza, i nuovi contratti devono, sin da subito, essere affidati mediante gara”. Dunque appare evidente come i soggetti pubblici e privati titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già in essere, entro ventiquattro mesi e di certo non esigibile prima di tale periodo, hanno l’obbligo di affidare una quota pari all’80% dei singoli contratti di concessione, mediante gara ad evidenza pubblica. Infine, come precisato dal Collegio, “l’interpretazione che meglio rispecchia l’intenzione del legislatore è dunque proprio quella secondo cui l’obbligo di indire la gara è immediato per tutti i nuovi affidamenti (senza distinzione sotto questo profilo tra vecchi e nuovi concessionari) e che la finestra temporale di ventiquattro mesi riservata ai vecchi concessionari riguarda non l’obbligo di gara in quanto tale (immediatamente operativo), ma il rispetto del tetto dell’80%”.

Francesco Di Giuseppe

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento