Lavoro dei detenuti: la funzione rieducativa e i detenuti in regime 41 bis

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 “Made in Jail”, fabbricato in carcere, ecco la provenienza delle magliette indossate in un famoso vecchio concerto da parte di due grandi artisti italiani sottolineando il lavoro dei detenuti come lavoro dignitoso al pari di quello svolto in modo” libero”. E’ oggi difficile valutare il giro di affari e di distruzione di questi prodotti a causa del riserbo di molti operatori detenuti. Al 31.1.2023, secondo fonti del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sono 56.127 i detenuti presenti nei 189 ( di cui solo 12 definiti di carcere duro) istituti penitenziari italiani e si attesta a 759 (di cui solo 12 donne) il numero di quelli detenuti in regime di 41 bis. Oggi si fa un gran parlare di detenuti al “41 bis” dopo gli ultimi avvenimenti di cronaca giudiziaria: ci si chiede come vivano i detenuti, cosa facciano come passino il loro tempo. Parlare di lavoro carcerario è parlare del carcere, e non è possibile capire l’evoluzione storica dell’istituto senza far riferimento ad un’analisi sommaria dell’evoluzione della pena detentiva e della funzione, assai mutevole, che essa ha svolto nel tempo e per dirla con Focault “Sorvegliare e punire ” laddove la punizione è disciplinamento. “Il problema peculiare del lavoro penitenziario, inteso come lavoro caratterizzato soggettivamente dalla condizione di detenuto prestatore di lavoro, è quello del continuo intersecarsi tra situazioni giuridiche nascenti dal rapporto di lavoro e istanza punitiva dello Stato”. E questa ambivalenza resterà sempre presente agli operatori del diritto: un’ambivalenza tra intento di recupero alla società e intento retributivo che è propria del concetto stesso di pena detentiva. La giurisprudenza di merito e di legittimità nonché la Corte costituzionale si è espressa sulla questione in particolare del lavoro dei detenuti e degli internati e la conclusione è sempre quella che il lavoro è libertà anche per i reclusi. Prendendo le mosse dall’art 4 della Costituzione che stabilisce il valore fondante del lavoro, l’art. 15 della l. 354/1975 – Ordinamento penitenziario (o. p.), individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa. Il lavoro è uno strumento cardine della rieducazione e del percorso di reinserimento delle persone ristrette in carcere. Le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa dei detenuti sono disciplinate dall’art. 20 come riformato dai d.lgs. 123 e 124/2018 che hanno recepito parte delle proposte elaborate dai lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale. L’ambito applicativo ed il quadro normativo del lavoro svolto dalle persone detenute sono sostanzialmente allineati a quello svolto dai cittadini liberi. Non è obbligatorio, perché l’adesione al trattamento è libera, e non è afflittivo, in considerazione della sua funzione di reinserimento e risocializzazione ai sensi dell’art. 1 della Costituzione e deve favorire l’acquisizione di una formazione professionale adeguata al mercato del lavoro. Da detenuti lavoratori o da lavoratori detenuti i diritti sono i medesimi: il diritto alla retribuzione, il diritto a ferie, alle assenze per malattia retribuite, ai contributi assistenziali e pensionistici. Il lavoro dei detenuti presenta comunque delle criticità legate alla condizione di “non libertà” del lavoratore ed alle modalità di prestazione dell’attività lavorativa, dato che questa è indubbiamente condizionata dal contesto punitivo a cui il soggetto è detenuto. E tuttavia il reinserimento sociale dei detenuti è efficace solo se non si prescinde dal reinserimento lavorativo: solo chi riesce a rientrare nel mercato del lavoro quasi certamente eviterà la marginalizzazione e probabilmente la commissione di nuovi reati. L’argomento infatti assume valore sociale ed etico, si inserisce nel più vasto tema della lotta all’esclusione sociale dei detenuti attraverso il lavoro.

Indice

 1. Cosa è il 41 bis?  Ma i detenuti in carcere duro possono lavorare?

Il regime differenziato di 41 bis introdotto dalla L. 663/1986, prevede un più limitante sistema carcerario per i detenuti per reati particolarmente gravi, è uno strumento di prevenzione utile ad interrompere i legami tra un detenuto di elevata pericolosità e il suo gruppo criminale di riferimento. E’ uno strumento importante per il contrasto alla criminalità organizzata, il cui scopo è ben preciso, “ed è impedire, o rendere estremamente più difficile, che detenuti con un ruolo di spicco in contesti associativi organizzati possano dal carcere continuare ad informarsi di fatti criminali e a dare disposizioni ai sodali in libertà” ma questo non po’ contrastare con i diritti previsti dalla costituzione ed in primis quello di lavorare : in tal senso la rilevanza delle sentenze della corte costituzionale n° 376/97, 186/2018, 97/2020 e n°197/2021 “ la giurisprudenza costituzionale  ha interpretato la disciplina qui censurata bilanciando le esigenze di prevenzione speciale, che essa persegue, con l’indispensabile finalizzazione rieducativa delle pene e delle stesse misure di sicurezza. Secondo criteri di proporzionalità e congruità, il legislatore, l’autorità amministrativa e la stessa autorità giudiziaria, nell’ambito delle rispettive competenze, devono quindi verificare se, in ogni caso concreto, le restrizioni imposte a norma dell’art. 41-bis ordin. penit. siano legittimate da una duplice e determinante condizione: da un lato, come è ovvio, la necessità effettiva ed attuale d’un regime differenziale per l’interessato; dall’altro, la miglior scelta possibile, quanto alle modalità esecutive, al fine di favorire l’attuazione di un efficace programma individuale di recupero”. Il trattamento restrittivo – si tratti di esecuzione della pena o di internamento per misura di sicurezza – deve conservare una concreta efficacia rieducativa. In  definitiva, secondo l’interpretazione  sopra riportata, gli internati in regime differenziale restano esclusi dall’accesso alla semilibertà ed alle licenze sperimentali, non potendo uscire dalla struttura in cui sono collocati, ma, quanto alla socialità ed ai movimenti intra moenia, deve essere loro garantita la possibilità di lavorare: “nella valutazione del percorso rieducativo, dovrà tenersi conto anche della qualità e quantità delle occasioni effettivamente messe a disposizione dell’interessato”.

2. Tipi di lavoro penitenziario

Il lavoro dei detenuti può svolgersi alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e alle dipendenze di soggetti esterni. Le due categorie si differenziano sulla base dell’organizzazione dell’attività lavorativa ma hanno stessa natura giuridica, riconducibile allo schema del rapporto di lavoro subordinato di diritto privato. La qualificazione però del lavoro carcerario solleva da sempre opinioni contrastanti. L’orientamento risalente nel tempo negava che il lavoro carcerario potesse ricondursi allo schema comune del rapporto di lavoro, poiché non trae origine da un contratto ma dall’obbligo legale del detenuto nell’ambito dell’esecuzione della pena; si è perfino giunti a considerare e configurare il lavoro carcerario come oggetto di un rapporto di diritto pubblico. L’obbligazione lavorativa deriva dalla legge penale mentre tutti gli altri aspetti sono disciplinati dall’ordinamento penitenziario. Tale orientamento però ad oggi è disatteso in quanto già nelle norme dell’ordinamento penitenziario si trovano le basi giuridiche per considerare il lavoro carcerario come rapporto di lavoro subordinato equiparandolo al lavoro “libero”. Il lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria può essere di tipo domestico, industriale e agricolo, mentre i rapporti di lavoro per le aziende esterne riguardano tutti i settori merceologici. Per il lavoro alle dipendenze di soggetti esterni, il DPR 230/2000 (Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario) introduce la possibilità per imprese e cooperative sociali di avvalersi di manodopera detenuta e di organizzare e gestire le officine e i laboratori all’interno degli istituti. All’uopo per promuovere l’ingresso di attività esterne nelle carceri sono stati previsti degli incentivi per gli imprenditori come la concessione dei locali in comodato dalle direzioni (art. 47 regolamento di esecuzione) utilizzando gratuitamente i locali e le attrezzature già esistenti e come gli sgravi economici previsti dalla l. 193/2000 (cd. Smuraglia per gli sgravi fiscali). La legge offre benefici fiscali ai datori di lavoro che assumono detenuti, anche come lavoranti esterni con rientro notturno in istituto (art. 21 o.p.) sotto forma di credito d’imposta per ogni detenuto assunto, uno sconto del 95% sui contributi che il datore di lavoro versa allo stato per la pensione e l’assistenza sanitaria, benefici che si estendono ad un periodo di 18 o 24 mesi successivi alla scarcerazione. Complessivamente sono 349 le aziende che, per un ammontare complessivo di 9.399.892,94 euro sono state ammesse alle agevolazioni per il 2022

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3. La retribuzione dei detenuti

Solo riconoscendo piene tutele e concreti diritti la persona ristretta può riconoscersi appieno come lavoratore e la non completa declinazione di tutele e diritti mette in discussione proprio il progetto inclusivo di reinserimento sociale che deve attuarsi attraverso il lavoro. I detenuti che lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria percepiscono una remunerazione pari ai 2/3 di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro, circostanza su cui si dovrebbe effettuare un approfondimento da parte del legislatore, considerati i dubbi di costituzionalità che fa sorgere una tale regola.  Nel 2018 con i d.lgs. n° 123 e 124 si è intervenuti sull’art. 20 dell’ord. penit., valorizzando la produzione per autoconsumo. Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale e previa autorizzazione del Ministro della giustizia, possono vendere prodotti delle lavorazioni penitenziarie o rendere servizi attraverso l’impiego di prestazioni lavorative dei detenuti e degli internati a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti o servizi corrispondenti nella zona in cui è situato l’istituto. È inoltre prevista la possibilità di destinare i proventi delle lavorazioni penitenziarie al finanziamento per lo sviluppo del lavoro e della formazione professionale. Le retribuzioni dei lavoratori alle dipendenze di soggetti esterni sono uguali a quelle dei lavoratori liberi. Se parliamo di lavoro dipendente ci sono dei presupposti: assunzione e contratto individuale di lavoro che richiama il CCNL di riferimento, buste paga insomma anche per i detenuti vanno rispettate le regole giuslavoristiche inerenti la disciplina dell’avviamento e la gestione del rapporto di lavoro.  Il rapporto di lavoro intercorre tra il detenuto e le imprese che gestiscono l’attività lavorativa mentre il rapporto di queste ultime con le direzioni è definito tramite apposite convenzioni. La questione della determinazione della retribuzione spettante al detenuto e le decurtazioni previste dall’ordinamento previdenziale sono state oggetto di pronuncia da parte della Corte Costituzionale n° 1087/1988 che ha ritenuto l’art 22 ord.pen applicabile solo per il lavoro alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria con esclusione di quello svolto in regime di semilibertà  o per le imprese pubbliche o private, valutando la decurtazione/ mercede dei 2/3 un fatto solo “intramurario ”e cosa ben diversa dalla remunerazione/retribuzione di cui all’art 23 ord pen. I datori di lavoro devono versare alla direzione dell’istituto la retribuzione per intero dovuta al lavoratore, al netto delle ritenute di legge e l’importo di eventuali assegni familiari. L’ordinamento penitenziario prevede la costituzione di: commissione per il lavoro penitenziario in ogni istituto che è composta dal direttore o da un dirigente penitenziario delegato, dal dirigente sanitario, da responsabili delle aree pedagogica e sicurezza, da un funzionario dell’ufficio per l’esecuzione penale esterna, da rappresentanti sindacali e dal direttore del centro per l’impiego. La commissione provvede a formare elenchi di detenuti per l’assegnazione dei posti di lavoro e stabilisce criteri per il loro avvicendamento.

 4. Il diritto alla Naspi

È altresì riconosciuto il diritto alla NASPI ai detenuti, a seguito della riforma di cui al D.lgs 22/15 che ha ridotto i requisiti in tema di accesso al trattamento di disoccupazione (cfr non da ultimo in termini cronologici la sentenza n° 311/2022 del Tribunale di Firenze). Tale riforma ha allargato la platea dei soggetti aventi diritto al fine di maturare i requisiti di cui alla riforma. Va richiamato a tal proposito sempre l’art 20 della L. 354/75 con cui il legislatore ha previsto l’estensione al lavoro carcerario di tutta la disciplina previdenziale e assicurativa: “ai detenuti sono garantiti….la tutela assicurativa e previdenziale senza alcuna limitazione e quindi inclusa  anche l’assicurazione contro la disoccupazione”. Esiste quindi a carico dell’amministrazione pubblica l’obbligo di versare tutti i contributi previdenziali, inclusi quelli per la disoccupazione involontaria. In merito a questo ultimo aspetto si rammenti sempre l’art 20 dell’ord. pen che prevede per i detenuti un avvicendamento nelle posizioni di lavoro disponibili, quindi anche in tal caso si tratta di disoccupazione involontaria per il soggetto perché questa sopravvenuta disoccupazione non discende da una deliberata scelta del singolo di astenersi dal prestare attività lavorativa ma è dovuta all’indisponibilità dell’occasione di lavorare.

5. Conclusioni

Il ponte con l’esterno è fondamentale per creare inclusione. Sono ancora pochi i casi delle imprese che danno lavoro dentro il carcere e riescono a far proseguire il percorso anche dopo che la persona è libera, ma esistono. Ad esempio: “Le Lazzarelle” a Napoli hanno una torrefazione dentro il carcere femminile di Pozzuoli, e ora hanno aperto un bistrot all’esterno, un luogo che può fare da ponte tra dentro e fuori (Sono circa 70 le donne che una cooperativa ha seguito e formato dal 2010 all’interno del carcere di Pozzuoli nel progetto del caffè Le Lazzarelle). Poi al Malaspina, il carcere minorile di Palermo, con il progetto “Cotti in fragranza “si producono biscotti all’interno del carcere, ma è stato aperto anche un bistrot all’esterno e sono state avviate anche attività di ricezione turistica. Poi, grazie all’impegno di alcune persone del dipartimento penitenziario, oggi si sta incentivando l’ingresso di grandi aziende e cooperative all’interno del carcere. Molti sono ad oggi i progetti ( all’interno degli Istituti di Opera a Milano e Rebibbia a Roma) ed i  programmi  ( ad es Pasticceria Giotto ai due Palazzi a Padova, Fastweb, Linkem, Tiscali, Sky, Telecom Italia, Vodafone e Windtre, Open Fiber, Sielte e Sirti, il protocollo del 19 ottobre 2022, siglato tra commissario straordinario per il sisma, la Cei, l’Ance e l’Anci con cui si prevede che i detenuti di dieci province delle regioni Abruzzo, Lazio, Molise, Marche e Umbria possano avere l’occasione di lavorare nei cantieri di oltre 5mila opere di ricostruzione pubblica e in quelli di 2.500 chiese danneggiate dal terremoto 2016) in essere perché una delle esigenze primarie resta anche quella di dare un contributo in termini di riduzione del sovraffollamento carcerario e, conseguentemente, di diminuzione del rischio di diffusione del contagio da COVID-19 nell’ambito del sistema carcerario gravato da condizioni strutturali particolarmente critiche e complesse. La “fedina penale macchiata” non può essere un deterrente e non deve essere soprattutto un grave pregiudizio: al 30.6.2022 Su un totale di 54.841 detenuti, i lavoranti erano complessivamente solo 18.654.

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Il volume si configura come luogo di confronto tra studiosi e operatori che, muovendo da diversi orientamenti disciplinari e da molteplici percorsi professionali, dedicano attenzione critica al carcere e alle dinamiche penitenziarie.  Attraverso il prisma delle scienze sociali, si suggeriscono percorsi teorici e indicazioni operative finalizzate a osservare, interpretare l’universo penitenziario e a ipotizzare strade per introdurre in tale mondo una nuova cultura della pena. I saperi sociali, infatti, si rivelano particolarmente preziosi nel munire i lettori di lenti in grado di aumentare il livello di consapevolezza pubblica delle profonde contraddizioni del carcere, e consentono di vedere il penitenziario sia come specchio della società, sia come anticipatore di processi che rischiano di investirla successivamente. Se vi è una nota comune alle voci che compongono il testo, è proprio il tentativo di fare del penitenziario un oggetto di ricerca sociale, in una prospettiva che si colloca sul limine tra il dentro e il fuori, e che si rivela l’unica possibile per reintegrare e legittimare l’oggetto carcere all’interno del contesto sociale, in un’epoca storica orientata invece a rimuovere ed escludere.   Andrea BorghiniDocente di Sociologia generale e di Sociologia del controllo sociale e della devianza presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano le trasformazioni del potere dello Stato nell’era globale, la sociologia di Pierre Bourdieu e i mutamenti del controllo sociale. È stato Direttore del Master Universitario in Criminologia sociale e, dal 2007, è Delegato del Rettore per le attività universitarie rivolte ai detenuti. Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo: The Role of the Nation-State in the Global Age, Brill (2015); The Relationship between Globality and Stateness: Some Sociological Reflections, Palgrave (2017); Carcere e disuguaglianze socio-economiche: una ricostruzione del dibattito sociologico, Pisa University Press (2018).Gerardo PastoreDocente di Sociologia della globalizzazione e Sociologia del controllo sociale e della devianza presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Le sue ricerche dedicano attenzione alla sociologia critica e dell’emancipazione; allo studio delle disuguaglianze sociali e dei processi di inclusione nella società della conoscenza; alle dinamiche sociali tra inclusione ed esclusione nelle istituzioni totali. Tra le sue recenti pubblicazioni sul tema oggetto del presente volume si segnalano: Carceral society, in Bryan S. Turner (editor), Encyclopedia of Social Theory, Wiley-Blackwell (2018); Inclusion and social ex-clusion issues in university education in prison: considerations based on the Italian and Spanish experiences, in International Journal of Inclusive Education (2018); Pratiche di conoscenza in carcere. Uno studio sui Poli Universitari Penitenziari, in The Lab’s Quarterly (2017).

Andrea Borghini, Gerardo Pastore | Maggioli Editore 2020

Francesca Levato

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