L’assegnazione della casa coniugale quando il figlio non convive

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Spesso si sente parlare o si legge su questo argomento.

In questa sede cercheremo di scrivere sulla questione con l’intento di fugare i dubbi che qualcuno potrebbe avere.

L’assegnazione della casa coniugale all’ex coniuge presso il quale sono collocati i figli dura sino a quando prosegue la “coabitazione”tra gli stessi e il genitore.

Nelle righe che seguono si vedrà meglio che cosa s’intende con la parola “coabitazione” e che cosa accadrebbe se il figlio dovesse andare a studiare in un luogo fuori sede e ritornare nella casa coniugale nei fine settimana, vale a dire, se si dovesse perdere l’assegnazione dell’immobile.

Attraverso la recente ordinanza del 27/10/2020 n. 23473/20, la Suprema Corte di Cassazione ha risposto al quesito che chiedeva se la casa coniugale spettasse quando il figlio non convive.

A chi viene assegnata la casa coniugale

In presenza di una separazione consensuale, con accordo di marito e moglie, sono i coniugi a decidere dove vada a finire la casa cointestata o di proprietà di uno dei due.

Possono stabilire che resti in capo al proprietario o venga dallo stesso donata all’altro coniuge oppure venga venduta e il ricavato diviso.

In presenza di una separazione giudiziale, che a causa del mancato accordo tra i coniugi, viene decisa dal giudice a seguito di un regolare processo, la regola è che l’utilizzo della casa spetti al coniuge al quale vengono assegnati i figli, indipendentemente da chi sia il proprietario.

Ad esempio, se il marito è proprietario dell’appartamento e la moglie ottiene la collocazione dei figli spetterà a lei restare nell’appartamento coniugale.

Il diritto cesserà quando i figli, con o senza la madre, andranno a vivere in altro luogo o acquisteranno l’indipendenza economica.

Lo scopo dell’assegnazione della casa coniugale è tutelare la prole e fare in modo che i piccoli non debbano a subire altri traumi dalla separazione.

In una coppia senza figli, la casa resta sempre al proprietario, anche se l’altro/a non ha redditi per vivere.

Se la madre, assegnataria della casa, deciderà di trasferirsi con i figli perderà la casa coniugale.

Se i figli andranno all’università e si stabiliranno in un altro luogo, la madre dovrà abbandonare la casa coniugale.

Una volta che i figli hanno acquisito l’indipendenza economica, anche se abitano ancora nella casa del padre la dovranno lasciare.

A chi va la casa in una coppia senza figli

In simili ipotesi la casa resta del proprietario.

Le ipotesi sono:

La casa è di proprietà del marito,  sarà lui a continuare a vivere nell’appartamento e la moglie dovrà andare via.

Casa di proprietà della moglie, sarà il marito ad essere sfrattato.

Casa in comproprietà perché acquistata dai coniugi in regime di comunione legale.

I due possono trovare un accordo che preveda la vendita dell’immobile e conseguente divisione del ricavato oppure l’assegnazione dello stesso al marito o alla moglie con liquidazione del 50% del valore di mercato all’altro.

Se la coppia non trova un accordo dovrà decidere il giudice se procedere a una separazione in natura del bene, se possibile, o se procedere alla vendita coattiva.

Casa acquistata prima del matrimonio da uno dei due coniugi, resta di sua proprietà perché non entra in comunione.

Casa ricevuta in donazione da uno dei due coniugi, resta di sua proprietà perché non entra in comunione.

In un’eventuale separazione consensuale, marito e moglie possono sempre trovare un diverso accordo.

In quali circostanze spetta l’assegnazione della casa coniugale

Il giudice ha il potere di assegnare la casa coniugale a favore del coniuge non proprietario se presso lo stesso vengono collocati i figli.

In presenza di simili circostanze, il provvedimento di assegnazione della casa è valido se la coppia ha avuto figli che non sono autosufficienti sotto il profilo economico  e sino a quando gli stessi coabitano con il genitore presso il quale sono stati collocati.

In assenza anche di uno di questi requisiti la casa familiare non può essere assegnata al coniuge non proprietario, perché l’assegnazione della casa familiare si prefigge la tutela della prole e non può essere prevista o disposta in sostituzione o come componente dell’assegno di mantenimento.

Come la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito in precedenza (Cass. 4 ottobre 2018 n. 24254, Cass. 18 settembre 2013 n. 21334), l’assegnazione può essere disposta esclusivamente se ci sono figli conviventi, sia minorenni sia maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente.

In assenza di figli, il coniuge economicamente più debole non può ottenere l’assegnazione come forma di prestazione parziale in natura del mantenimento.

L’assegnazione della casa è importante per potere quantificare l’assegno di mantenimento, perché per il coniuge assegnatario rappresenta un valore economico, che di solito corrisponde al canone che si può ricavare con la locazione dell’immobile.

Quando ha fine l’assegnazione della casa coniugale

L’assegnazione della casa ha fine quando si verificano determinati eventi.

Essi sono:

Il trasferimento da parte del genitore assegnatario della casa presso altra dimora

La cessazione della coabitazione tra il genitore collocatario e i figli

Il raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli.

La coabitazione tra figlio e genitore

Se il figlio maggiorenne che non è autosufficiente dal lato economico e ritorna a casa della madre ogni fine settimana, l’assegnazione della casa coniugale in favore della stessa, a seguito della separazione dal marito, è legittima.

La presenza nei fine settimana integra il requisito della coabitazione con il figlio maggiorenne non autonomo.

L’abitudine del figlio, che non ha un lavoro, di ritornare nella casa coniugale nei fine settimana giustifica l’assegnazione.

Il principio è comprensibile e fa leva sull’assenza di un’autonomia economica del giovane.

Quando il figlio raggiunge un’indipendenza sul piano del reddito da potersi permettere di vivere per conto suo, pagando un canone di affitto, il genitore perde l’assegnazione della casa.

La regola che fissa la Cassazione nell’ordinanza, sostiene che il ritorno settimanale del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente presso la casa familiare assegnata al genitore collocatario, ma non proprietario del bene, integra il requisito della coabitazione, giustificando il mantenimento dell’assegnazione dell’immobile stabilito in sede di separazione.

Nella vicenda che ha giudicato la Suprema Corte, l’elemento più importante è il fatto che “il figlio ritornava a casa in modo saltuario”.

Il dettaglio è stato valutato con attenzione anche dai Supremi Giudici, secondo i quali, preso atto che “il figlio maggiorenne non autosufficiente ritornava con frequenza settimanale presso la casa coniugale”, si riteneva integrato “il requisito della convivenza con la madre presso la stessa abitazione”.

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