L’affidamento dei figli in seguito a separazione quando la moglie è affetta da un disturbo della personalità 

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Quando un matrimonio finisce e marito e moglie si separano, per i figli minorenni si ha una sorta di trauma, nonostante, a volte, la decisione di ricorrere alla separazione rappresenti la soluzione migliore.

Come spesso accade, assistere a continui e incessanti litigi tra i genitori e, per fortuna, a sporadiche scene di violenza, per bambini o ragazzi è causa di indescrivibile sofferenza.

Per fare vivere i figli con maggiore serenità simili momenti molto delicati, la legge prevede l’affido condiviso, attraverso il quale entrambi i genitori si dovranno fare carico di seguirli in uguale misura, passando del tempo con loro.

 

I minori dovranno vivere esclusivamente con uno dei due genitori, che di solito, è la madre.

Le circostanze non risultano essere molto facili quando uno dei coniugi presenta disturbi della personalità.

A questo proposito ci si è chiesti come sia possibile conciliare una situazione di madre borderline e affidamento dei figli.

Si tratta di una condizione che deve essere considerata con la massima attenzione, perché, se da una parte tra mamma e figli esiste un vincolo affettivo molto forte, che merita di essere tutelato, dall’altra devono essere evitati determinati comportamenti patologici che possano nuocere all’educazione della prole o addirittura metterla in pericolo.

Ne scriveremo in questa sede.

In quali circostanze una persona viene considerata borderline

Il disturbo borderline della personalità, che spesso si trova abbreviato con la sigla DBP, è una patologia di carattere psichiatrico che presenta diversi sintomi, combinati in modo vario tra loro:

umore instabile, irritabilità per ragioni spesso inconsistenti, con scatti d’ira a volte incontrollabile,

paura del rifiuto e dell’abbandono, instabilità nelle relazioni, tendenza a interrompere percorsi  intrapresi in precedenza,  vita sessuale disordinata,  tendenza all’autolesionismo e, a volte, al suicidio.

Non di rado le persone affette da questo disturbo non proseguono gli studi, divorziano o si licenziano, sempre per motivi che all’apparenza non sono comprensibili.

Si tratta di una patologia che di solito viene trattata con la psicoterapia e diversi rimedi farmacologici

In che cosa consiste l’affido condiviso

Quando una coppia mette fine al matrimonio decidendo di procedere alla separazione e ci sono figli minorenni, la legge prevede che ci sia un affido condiviso tra i genitori, che deve costituire la regola (art. 337 – ter c.c.).

I bambini o i ragazzi hanno il diritto di continuare a mantenere rapporti in modo continuativo e sereno, con entrambi i genitori, e per questo gli stessi dovranno passare del tempo con loro e contribuire alla loro educazione e istruzione.

I minori non potranno abitare con entrambi i genitori, perché il fatto di doversi spostare spesso da una casa all’altra sarebbe destabilizzante, per questo, dovranno vivere con uno di loro, che di solito è la madre.

Il genitore presso il quale vivono i figli viene detto collocatario.

Il padre e la madre dovranno cooperare perché i minori possano intrattenere rapporti continuativi con entrambi.

Se non riescono a raggiungere un accordo in questo senso, spetterà al giudice stabilire i tempi e le modalità  con le quali i bambini o i ragazzi potranno incontrare il genitore non collocatario e stare con lui.

Si rende anche necessario che i minori mantengano rapporti sereni e, se possibile, assidui con le famiglie di origine di entrambi i genitori, nonni, zii, cugini.

In quali circostanze si preferisce l’affidamento esclusivo

Come si sente spesso dire, ogni regola ha le sue eccezioni e lo stesso vale per l’affido condiviso.

La legge prevede che, in alcuni casi eccezionali, il figlio venga affidato ad uno soltanto dei genitori, limitando o addirittura escludendo la possibilità che l’altro lo incontri e trascorra del tempo con lui.

Le ipotesi nelle quali  può avvenire, che sono state rilevate da parte della giurisprudenza sono:

Maltrattamenti nei confronti del figlio

Possono essere violenze fisiche oppure esclusivamente verbali.

Relazione patologica tra genitore e figlio

Si verifica quando il genitore, a causa delle sue particolari condizioni psichiche, manifesta nei confronti del minore un attaccamento morboso, privandolo di autonomia e non permettendogli di condurre una normale vita affettiva e sociale.

Fanatismo nel professare una religione

Anche determinati comportamenti eccessivi del genitore possono condizionare in modo negativo la crescita serena del minore.

Incapacità educativa

Il genitore è poco presente, distratto, assente nella vita del figlio, oppure si comporta in modo illecito e ha rapporti con persone poco raccomandabili che coinvolgono anche il minore.

 

La madre borderline può ottenere l’affidamento esclusivo?

In che modo si procede in presenza di una madre borderline in relazione all’affidamento dei figli?

Si deve mettere in evidenza il fatto che la malattia mentale di un genitore non comporta in modo automatico l’affidamento esclusivo dei bambini o ragazzi all’altro genitore.

Il disagio psichico non rende sempre inadeguati a crescere ed educare un minore (Trib. Milano ord. Del 27/11/13).

La patologia deve fare derivare dei comportamenti, come quelli sopra descritti, che siano tali da pregiudicare una crescita serena ed equilibrata dei figli, come ad esempio, comportamenti aggressivi e violenti, atteggiamenti che vanno da una mancanza di affetto a un attaccamento morboso, disattenzioni e frequenti assenze.

Il padre che vuole ottenere l’affidamento esclusivo dei figli deve dimostrare la patologia della quale soffre la moglie, che può fare avvalendosi di certificazione medica, dimostrando che sia tale da non renderla idonea a svolgere il ruolo di madre.

A questo scopo, è possibile chiedere che il giudice nomini dei consulenti tecnici, nelle persone di uno psicologo e di uno psichiatra, che procedano alla valutazione dello stato mentale della donna in relazione ai suoi rapporti con il figlio.

Possono essere utili anche testimonianze rivolte a provare comportamenti della donna incompatibili con il suo ruolo di madre.

Il giudice può decidere di sentire il minore, se ha compiuto i 12 anni di età o se è in grado di comprendere la situazione e di esprimersi di conseguenza.

Il padre, in alternativa, può chiedere che il bambino o ragazzo venga collocato presso di lui e che gli incontri con la madre avvengano per periodi di tempo brevi e in condizioni di sicurezza.

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