La sentenza n.254 /2007 di “tipo additivo” della Corte Costituzionale pubblicata il 6 luglio 2007 sul diritto dell’interprete di parte ad essere retribuito dallo Stato(q.l.c. art. 102 T.U. n.115/02).

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Memorandum: ART. 102 (Nomina del consulente tecnico di parte)
1.Chi è ammesso al patrocinio può nominare un consulente tecnico di parte residente nel distretto di corte d’appello nel quale pende il processo.
2. Il consulente tecnico nominato ai sensi del comma 1 può essere scelto anche al di fuori del distretto di corte di appello nel quale pende il processo, ma in tale caso non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalle tariffe professionali.
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            La sentenza in commento si pone nell’area di confine tra l’attività della Corte costituzionale che è di carattere, ormai unanimemente riconosciuto dalla dottrina, giurisdizionale, e l’attività qualificata “legislativa” da altra dottrina soprattutto nella fase precedente all’inizio del suo funzionamento (Calamandrei, “L’illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile”, Padova, Cedam, 1950).
L’articolo 102 del T.U. sulle spese di giustizia, compreso nel titolo II relativo alle disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e che ammette la nomina di un consulente di parte,  viene oggi dichiarato incostituzionale nella parte in cui non prevede che lo straniero ammesso al beneficio del gratuito patrocinio e che non conosce la lingua italiana, possa nominare un interprete di sua fiducia che abbia il compito di agevolarlo nella comprensione della vicenda processuale che gli viene illustrata e spiegata dal proprio difensore.
Il Giudice delle leggi striglia il legislatore il quale dovrà “compiutamente disciplinare la materia inerente a questa figura di interprete”.
La Corte è stata investita della questione circa la legittimità costituzionale dell’articolo 102 del D.P.R. 30 maggio 2002 n.115 sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia a seguito di opposizione da parte dell’interprete di una imputata del reato di omicidio la quale, dopo aver chiesto la liquidazione degli onorari per l’opera prestata quale traduttrice tra essa imputata e il suo difensore, vedeva rigettata la propria istanza in quanto, sebbene l’imputata fosse stata ammessa al patrocino a spese dello Stato, il difensore non aveva provveduto a nominarla quale sua consulente.
L’articolo 101 del T.U. suddetto prevede che il difensore della persona ammessa al patrocinio può nominare un sostituto o, al fine di svolgere attività di investigazione difensiva, un investigatore privato autorizzato, residente nel distretto di corte di appello dove ha la sede il magistrato competente per il fatto per cui si procede ed il successivo articolo 105 stabilisce che il giudice per le indagini preliminari liquida il compenso al difensore, all’ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all’investigatore privato, anche se l’azione penale non è esercitata.
            Orbene, la Corte, oggi riconosce e apprezza la attività dell’interprete che relaziona l’imputato non già con il Giudice (tale   è l’ausiliario del Giudice) ma con il proprio difensore e ciò assume una importanza enorme al fine di garantire la reale e puntuale conoscenza da parte dell’imputato del significato degli atti processuali ai fini della propria difesa.
            Già la stessa Corte in precedenti pronunce aveva ammesso che, laddove il legislatore italiano ha preso in specifica considerazione la situazione dell’imputato che non conosce la lingua italiana, statuendo che egli "ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa" (art. 143, comma 1, cod. proc. pen.), deve necessariamente intendersi che la norma configura il ricorso all’interprete non già come un mero strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano l’italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell’imputato, diretto a consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che é parte ineliminabile del diritto di difesa.
La garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende la effettiva possibilità che la partecipazione personale dell’imputato al procedimento avvenga in modo consapevole specialmente nelle fasi che l’ordinamento affida al principio dell’oralità: il che comporta la possibilità effettiva sia di percepire, comprendendone il significato linguistico, le espressioni orali dell’autorità procedente e degli altri protagonisti del procedimento, sia di esprimersi a sua volta essendone percepito e compreso (cfr. sentenza n. 9 del 1982 e, da ultimo, sentenza n. 10 del 1993).
“Senza la garanzia di tale possibilità, infatti, resterebbe irrimediabilmente compromesso, nelle fasi processuali dominate dall’oralità, il diritto dell’accusato di essere messo personalmente, immediatamente e compiutamente a conoscenza di quanto avviene nel processo che lo riguarda, e così non solo dell’accusa mossagli, ma anche degli elementi sui quali essa si basa, delle vicende istruttorie e probatorie che intervengono via via a corroborarla o a smentirla, delle affermazioni e delle determinazioni espresse dalle altre parti e dall’autorità procedente; nonchè, conseguentemente, il diritto dell’imputato di svolgere la propria attività difensiva, anche in forma di autodifesa, conformandola, adattandola e sviluppandola in correlazione continua con le esigenze che egli stesso ravvisi e colga a seconda dell’andamento della procedura, ovvero comunicando con il proprio difensore”.
La Corte ha infatti costantemente affermato che "la peculiare natura del processo penale e degli interessi in esso coinvolti richiede la possibilità della diretta e personale partecipazione dell’imputato", onde l’autodifesa, che "ha riguardo a quel complesso di attività mediante le quali l’imputato é posto in grado di influire sullo sviluppo dialettico del processo", costituisce "diritto primario dell’imputato, immanente a tutto l’iter processuale, dalla fase istruttoria a quella di giudizio" (sentenza n. 99 del 1975; e cfr. anche sentenze n. 205 del 1971, n. 186 del 1973).
Se normalmente questi diritti dell’accusato sono resi effettivi attraverso la garanzia della possibilità di presenziare alle udienze (salvo esserne allontanato solo se ne impedisce il regolare svolgimento: art. 475 cod. proc. pen.) e di rendere "in ogni stato del dibattimento" le dichiarazioni che egli ritiene opportune, purchè si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruzione dibattimentale (art. 494 cod. proc. pen.), avendo per ultimo la parola (art. 523, comma 5, cod. proc. pen.), nonchè attraverso la "facoltà di conferire con il proprio difensore tutte le volte che lo desideri, tranne che durante l’interrogatorio o prima di rispondere a domande rivoltegli" (sentenza n. 9 del 1982; e cfr. anche sentenza n. 216 del 1996), forme speciali di tutela sono richieste allorquando l’accusato, a causa di sue particolari condizioni personali, non sia in grado di comprendere i discorsi altrui o di esprimersi essendo compreso.
La più comune di tali condizioni é rappresentata dalla non conoscenza della lingua in cui si svolge il processo, ed é per questo che le norme delle convenzioni internazionali sui diritti prevedono espressamente fra i diritti dell’accusato quello di "farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza" (art. 6, n. 3, lettera e, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; e analogamente art. 14, comma 3, lettera f, del patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre 1966).
Con la sentenza in commento, quindi, la Corte, escludendo che il traduttore possa essere ritenuto un “mero” consulente di parte, ha esteso le garanzie riconosciute all’imputato anche per quanto riguarda le necessità dello stesso di capire e farsi capire dal proprio difensore avvalendosi dell’ausilio di un traduttore della propria lingua che può essere scelto (certamente sarà scelto) tra le persone che conoscono e frequentano lo stesso imputato.
Avv.Nicola Ianniello, presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti- 07/07)

Ianniello Nicola

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