La responsabilità penale e il decreto Balduzzi. Un caso pratico.

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Il caso

Il medico dell’ospedale veniva imputato ai sensi degli artt. artt. 40, 113 e 589 c.p. perché cagionava per colpa, in cooperazione con altro medico, la morte di una sua paziente per le con- seguenze di un’occlusione intestinale non tempestivamente diagnosticata né, conseguentemente, trattata chirurgicamente. In particolare il medico di fronte ad una sintomatologia allarmante e ad un evidente peggioramento della situazione clinica, attendeva prima di richiedere una consulenza chirurgica che, in assenza della segnalazione del carattere di urgenza, giungeva molto in ritardo e formulava ai familiari, che gli rappresentavano i gravissimi sintomi perduranti da una settimana, una valutazione non preoccupante del quadro clinico e una diagnosi di probabile esofagite da reflusso. Il giudice di primo grado escludeva che la condotta dell’imputato potesse essere sussunta sotto l’ipotesi di colpa lieve irrilevante ai sensi della l. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3. Difettava infatti nella specie – secondo la Corte territoriale – il presupposto rappresentato dall’essersi il sanitario attenuto alle linee guida e alle buone pratiche legali della comunità scientifica, essendo al contrario il comportamento dell’imputato caratterizzato da incuria, omissioni e imperizia professionale di rile- vante livello a fronte di una sintomatologia definita dai periti come un caso di scuola. Avverso tale sentenza il medico proponeva ricorso per cassazione.

Peculiarità della fattispecie

La sentenza della Suprema Corte chiarisce che la limitazione della responsabilità in caso di colpa lieve prevista dall’art. 3 d.l. 13 settembre 2012, n. 158 opera soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida, non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza, perché le linee guida contengono solo regole di perizia.

Quali sono i requisiti perché la condotta del medico possa rientrare nell’ipotesi di colpa lieve di cui alla l. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3 (cd. legge Balduzzi)?

Secondo la Corte di Cassazione l’art. 3 l. n. 189/2012 si riferisce ad un terapeuta che si sia mantenuto entro l’area astrattamente, genericamente segnata dalle accreditate istruzioni scientifiche ed applicative e tuttavia, nel corso del trattamento, abbia in qualche guisa errato nell’adeguare le prescrizioni alle specificità del caso trattato. Essa obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve e colpa grave solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a linee guida, solo in questi casi essendo superata la nota chiusura della giurisprudenza che non distingueva fra colpa lieve e grave nell’accertamento della colpa penale.

La norma è pertanto applicabile solo allorquando si discuta della “perizia” del sanitario. Essa non può, invece, involgere ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, posto che le linee guida contengono solo regole di perizia.

Potrà dunque ritenersi non punibile, in quanto estranea all’area del penalmente rilevante quale delimitata dalla nuova disciplina, la condotta del medico caratterizzata da un non rilevante disco- stamento dallo standard di agire dell’agente modello, avendo attenzioni alle peculiarità oggettive e soggettive del caso concreto (colpa lieve).

Configurerà invece colpa grave e quindi reato la condotta del medico che riveli un marcato allontanamento dalle linee guida ma anche del terapeuta che si attenga allo standard generalmente appropriato per un’affezione, trascurando i concomitanti e riconoscibili fattori di rischio, ogni qualvolta questi assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente (v. sez. IV, n. 16237 del 29 gennaio 2013, C., Rv. 255105).

Non varrà invece a escludere il fatto dall’area del penalmente rilevante la levità del rimprovero muovibile al medico (rilevante al più solo ai fini della determinazione della pena), nel caso in cui lo stesso abbia riguardo all’inosservanza di regole di comune diligenza o prudenza (v. sez. IV, n. 16944 del 20 marzo 2015, R., non massimata; sez. IV, n. 7346 del 8 luglio 2014, dep. 2015, S., Rv. 262243; sez. III, n. 5460 del 4 dicembre 2013, dep. 2014, G., Rv. 258846; sez. IV, n. 11493 del 24 gennaio 2013, P., Rv. 254756).

Orbene, del tutto plausibilmente la Corte di merito ha escluso che tali presupposti possano ritenersi ricorrenti nel caso in esame, poiché caratterizzato “da incuria, omissioni ed imperizia professionale di livello rilevante a fronte di una sintomatologia definita dai periti come un caso di scuola”.

Non può dubitarsi che tale valutazione risulti ampiamente giustificata dalle risultanze peritali e, segnatamente, dalle accertate gravi omissioni e ritardi registratisi nei non pochi giorni di ricovero ospedaliero della vittima, per ciò che concerneva le semplici e necessarie attività diagnostiche stru- mentali e le connesse indilazionabili attività terapeutiche, di altrettanto agevole esecuzione (Cass. pen., 25 giugno 2015, n. 26996).

Pascale Gianluca

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