La proprietà fondiaria -scheda di diritto

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La proprietà fondiaria è una delle tre principali tipologie di proprietà identificate dal codice civile italiano.
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Indice

1. Le caratteristiche


Il fondo, sia rustico sia urbano, è delimitato nello spazio, in senso orizzontale e in senso verticale. La sua delimitazione orizzontale è di carattere geometrico, i confini che segnano il limite del diritto del proprietario.
La proprietà del suolo si estende al sottosuolo e a quello che lo stesso contiene, e si estende allo spazio sovrastante.
Il proprietario può eseguire scavi nel sottosuolo ed effettuarvi lavori, come può utilizzare lo spazio sovrastante per innalzare costruzioni, piantare alberi o altro, però il suo diritto non è illimitato.
Secondo l’articolo 840 del codice civile non si può opporre alle attività altrui che si svolgano a una determinata profondità nel sottosuolo o a una determinata altezza nello spazio sovrastante che non abbia interesse ad escludere.
Il criterio che consente di identificare il limite della proprietà in senso verticale è di natura economica.
La proprietà si estende sino dove il proprietario del suolo può dimostrare di avere un interesse ad esercitare il suo diritto esclusivo.
Passato questo limite, il sottosuolo e lo spazio aereo si devono considerare cose comuni di ognuno.

2. I rapporti di vicinato


In linea di principio, l’attività di godimento del proprietario deve essere contenuta entro i suoi confini.
Significativa è la norma in materia di stillicidio (art. 908): il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non in quello del vicino.
L’articolo 840 del codice civile dispone che il proprietario si deve astenere dal compiere sul suo fondo o nel sottosuolo, opere che possano recare danno al vicino, vale a dire, lederne il diritto.
Tra proprietari confinanti capita spesso che il godimento di uno interferisca con il godimento dell’altro, limitandolo o pregiudicandolo.
Per alcuni aspetti simili interferenze trovano nella legge specifici metodi di contemperamento.
Un primo limite alla facoltà di godimento è nelle norme che impongono a protezione del diritto del vicino, di rispettare determinate distanze nel costruire edifici, scavare pozzi o fosse, piantare alberi:
le costruzioni su fondi confinanti, se non sono unite o in aderenza tra loro, devono essere tenute a distanza di almeno 3 m, salvo le maggiori distanze previste dai regolamenti locali (art. 873):
distanza ritenuta il minimo indispensabile perché le costruzioni vicine non si tolgano reciprocamente aria e luce e non pregiudichino la sicurezza reciproca.
In materia vice il cosiddetto principio della prevenzione temporale: tra due proprietari confinanti risulta favorito quello che costruisce per primo: egli può costruire a meno di 1,5 m dal confine, anche sul confine, costringendo l’altro, se intende costruire a sua volta, o ad arretrare il fronte della sua costruzione, in modo da rispettare la distanza legale, o ad avanzarlo per costruire in appoggio al muro del vicino (pagando la metà del valore del muro, che diventa muro in comproprietà) o in aderenza ad esso e pagando il valore del suolo del vicino che abbia occupato con la sua costruzione (artt. 874-877 c.c.).
Se il secondo costruisce in modo da violare la distanza legale dalla preesistente costruzione, il primo può esigere la riduzione in ripristino (art. 872), vale a dire, la demolizione di quella parte della costruzione che viola le distanze consentite.
A volte i regolamenti comunali prescrivono distanze non tra le costruzioni, ma dal confine, con il risultato di rimuovere il principio della prevenzione temporale: diventerà così soggetto alla riduzione in ripristino anche chi costruisce per primo. I regolamenti prescrivono spesso anche limiti di altezza o di volume delle costruzioni, in rapporto alla classificazione urbanistica del territorio.
La violazione di queste ulteriori prescrizioni da parte del singolo proprietario non attribuisce al vicino il diritto alla riduzione in ripristino, ma solo all’azione per il risarcimento del danno che provi di avere subito (art. 872).
I pozzi, cisterne e tubi devono essere collocati ad almeno 2 m dal confine (art. 889), i fossi devono essere ad una distanza dal confine uguale alla loro profondità.
Gli alberi di alto fusto (il quale tronco, prima di ripartirsi in rami, superi l’altezza di 3 m) devono essere piantati ad almeno 3 m dal confine salvo deroghe consentite dai regolamenti o dagli usi locali; gli altri alberi ad 1,5 m; le viti e le siepi a 0,5 m (art. 892 c.c.). Il vicino può recidere le radici o chiedere al proprietario di tagliare i rami che superano il confine (art. 896 c.c.).
Il muro, il fosso, le siepi e gli alberi posti sul confine si presumono,sfino a prova contraria, comuni ai proprietari confinanti. 


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3. Le luci e vedute


L’interesse di ogni proprietario a ricevere aria e luce dalle finestre del proprio edificio è in conflitto con l’interesse del vicino a non trovarsi esposto a sguardi indiscreti o a pericoli della sicurezza propria e dei propri beni.
La legge distingue tra luci e vedute.
Sono luci le aperture nel muro che non consentono di affacciarsi sul fondo del vicino.
Sono vedute quelle che consentono di affacciarsi.
Per le luci che si aprono sul fondo del vicino non sono prescritte distanze minime dal confine, ma devono essere munite di inferriate e grate fisse e devono essere collocate a un’altezza dal suolo del vicino e dal pavimento interno prescritta dalla legge (art. 901).
Le vedute devono essere aperte a una distanza di almeno 1,5 m dal confine (art. 905 c.c.).
Il vicino che abbia il diritto di costruire in aderenza o di ottenere la comproprietà del muro, può accecare le luci (art. 904 c.c.).
Non può chiudere le vedute: se la costruzione del vicino è dotata di vedute, egli dovrà costruire alla distanza legale (art. 907 c.c.). 

4. Le immissioni


L’interferenza del godimento di un fondo con il godimento di un altro trova un metodo legale di regolazione nel caso delle immissioni da un fondo all’altro, di fumo, di calore, di rumori e, in genere, nei casi di propagazione di sostanze inquinanti, di vibrazione e così via.
Il metodo legale per la soluzione del conflitto è quello della normale tollerabilità (art. 844 c.c.): il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni o le propagazioni provenienti dal fondo vicino se esse non superano la capacità di sopportazione dell’uomo medio, la soglia superata la quale risultano intollerabili da parte dell’uomo di media tollerabilità.
In caso contrario il vicino potrà pretendere l’adozione di misure o l’applicazione di disposizioni anti rumore, anti inquinamento.
Se non bastasse può ottenere la cessazione dell’attività molesta.
L’articolo 844 del codice civile mitiga il metodo a favore delle attività produttive aggiungendo che, nell’applicare la normale tollerabilità, il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà.
Altri complementari metodi di legge sono le condizioni dei luoghi (a chi abita in una zona industriale si può chiedere una maggiore tolleranza) e la priorità di un dato utilizzo (tra il proprietario di una rumorosa officina e quello di una abitazione, è più protetto quello dei due che per primo ha dato la diversa destinazione al proprio fondo).
La soluzione radicale per questi conflitti sta nel prevenirli.
Spetta ai piani regolatori separare le diverse forme di utilizzazione del territorio e tenere le aree destinate alle attività industriali lontane da quelle assegnate alle costruzioni abitative. 

5. Le acque


Le acque, a norma dell’articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 “Disposizioni in materia di risorse idriche”, sono un bene pubblico.
La loro utilizzazione da parte dei privati, sul quale fondo scorrano o sgorghino corsi d’acqua, è in linea di principio ammessa in forza di concessione amministrativa.
Nonostante questo, l’articolo 28 della norma rendeva libera l’utilizzazione delle acque sotterranee per utilizzi domestici, incluso l’innaffiamento di orti e giardini e l’abbeveraggio del bestiame, e libera anche, per i proprietari di fondi rustici o urbani, la raccolta delle acque piovane.
Le norme che agli articoli 909 e 913 del codice civile regolano il diritto del proprietario del suolo sulle acque che non siano pubbliche, sopravvivono alla Riforma del 1994, nei limiti del menzionato articolo 28 oppure perché dirette a regolare l’esercizio dei diritti che nascono da concessione amministrativa o l’adempimento dei doveri che sul concessionario incombono nei confronti degli altri proprietari fondiari.
Quello che viene in considerazione come oggetto di un diritto di utilizzazione è il flusso di acqua che sul fondo sgorga o che vi scorre, in relazione alle energie naturali.
Da un elemento naturale concepito come flusso derivano le particolarità della sua disciplina.
Il proprietario di un fondo ha diritto di utilizzare le acque e può anche disporne a favore di altri, ma dopo essersene servito non le può sviare a danno degli altri fondi (art. 909 c.c.), deve permettere che le acque defluiscano nei fondi altrui perché altri se ne possano a loro volta servire.
Se il proprietario utilizza per l’irrigazione dei campi e per i suoi usi domestici acque che attraversano o costeggiano il suo fondo, deve restituire gli avanzi al corso ordinario, per consentire ai proprietari dei fondi a valle di farne diritto di uso (art. 910 c.c.).
Il proprietario a valle, al contrario, non si può rifiutare di ricevere le acque che naturalmente defluiscono dai fondi a monte (art. 913 c.c.).
In caso di controversie tra i proprietari sull’utilizzo di queste acque, il giudice deve conciliare gli interessi dei singoli proprietari con gli interessi legati all’industria, e può anche assegnare un’indennità al proprietario che abbia subito pregiudizio (art. 912 c.c.).

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Dott.ssa Concas Alessandra

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