Quando la motivazione dell’ordinanza emessa nel riesame è apparente

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Risulta apparente la motivazione con la quale il tribunale del riesame, di fronte all’eccezione difensiva relativa alla mancanza di un’autonoma valutazione da parte del G.i.p. dei requisiti normativi previsti per l’adozione della misura coercitiva, confermi il provvedimento cautelare limitandosi ad affermare, in modo generico e sintetico, che il giudice, “in più parti“, ha inserito le proprie conclusioni ed indicato gli elementi valutativi, senza precisare in quali punti, passaggi o pagine dell’ordinanza possa rinvenirsi l’autonoma valutazione che l’art. 292 cod. proc. pen. richiede a pena di nullità.

(Annullamento con rinvio)

(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 292)

Il fatto

Il Tribunale di Catanzaro – a seguito di istanza di riesame proposta nell’interesse di G. B. avverso l’ordinanza cautelare emessa il 28.12.2017 dal G.I.P. distrettuale di Catanzaro con la quale era stata applicata al predetto la misura della custodia cautelare in carcere -, riqualificata la condotta contestata in quella di partecipe all’associazione di cui al capo 1) (art. 416 bis cod. pen.) ed in relazione al delitto di cui al capo 80) (artt. 12 quinquies d.l. n. 306/92, 7 d.l. 152/91), confermava la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del B. in ordine ai predetti reati e la misura custodiale applicata. 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la suddetta ordinanza proponevano ricorso per cassazione i difensori del B. deducendo: a) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al principio della autonoma valutazione del giudice in quanto il Tribunale non si era confrontato con i rilievi esposti nella memoria difensiva prodotta a riguardo dalla difesa, omettendo di motivare in ordine alla loro non condivisione e di occuparsi della specifica posizione del ricorrente limitandosi a riportare le medesime considerazioni svolte in ordine ad altre posizioni laddove la difesa aveva dedotto, in relazione ai capi 1) e 80), il pedissequo ricalco – da parte del G.I.P. – della  richiesta del P.M. e della CNR del ROS di Catanzaro indicando le pagine degli atti posti a raffronto; b) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla omessa valutazione della memoria difensiva, in uno alla c.t.p. del dott. S. e delle dichiarazioni rilasciate dall’indagato il 13.2.2018 nonché delle allegazioni alla memoria (all.ti 4, 5, 6, 7 e 8), poiché riguardanti argomenti che rivestivano il carattere di decisività; c) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al capo 1) della incolpazione atteso che le condotte contestate al ricorrente da pg. 34 a pg. 40 del  provvedimento impugnato non erano idonee – secondo i principi di legittimità – ad integrare la ritenuta partecipazione associativa, non desumibile neanche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia F. F., non potendo rilevare a riguardo né il semplice rapporto di parentela acquisito con il matrimonio né la mera frequentazione con personaggi di vertice della presunta associazione mentre al più avrebbe potuto ravvisarsi a carico del ricorrente il diverso reato di concorso esterno nel reato di associazione mafiosa; c) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al reato di cui al capo 80) e omessa valutazione della memoria difensiva e della c.t.p. del dott. S. che aveva ricostruito tutti i flussi finanziari escludendo la ricostruzione fatta propria dai Giudici del riesame che – invece – pareva fondarsi solo sui rapporti di parentela ritenuti dalla p.g. operante inquinanti le attività, riconducendole alla impresa mafiosa; c) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla contestata aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/91 di cui al capo 80) e omessa valutazione della memoria difensiva stante il fatto che la circostanza secondo la quale G. B. e I. M. erano i veri titolari delle quote sociali fino al momento della loro cessione priva di fondamento la sussistenza della stessa ipotesi base, non potendosi porre a carico del ricorrente nessuna condotta riconducibile alle due ipotesi della contestata aggravante; d) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla dedotta carenza di esigenze cautelari e omessa valutazione della memoria difensiva mancando qualsiasi considerazione della posizione soggettiva del ricorrente, privo di pregiudizi penali a carico, e del lasso di tempo trascorso.

Inoltre, con memoria difensiva, si deduceva: 1) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al reato di cui al capo 1) ed alla proporzionalità ed adeguatezza della misura con riferimento alla prospettata riqualificazione del fatto allegandosi la decisione emessa dal Tribunale del riesame di Catanzaro in data 13.2.2018 nei confronti di N. P., al quale era stato riconosciuta la posizione di concorrente esterno ed assumendone la rilevanza decisiva rispetto alla specularità della posizione dell’attuale ricorrente; 2) violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al reato di cui al capo 80) con riferimento alla obliterazione della consulenza tecnica di parte.

Con ulteriore memoria difensiva, nel ribadire la censura di violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta gravità indiziaria e con riferimento alla obliterazione delle ragioni esposte nella memoria difensiva depositata al Tribunale, si allegava la decisione di annullamento della ordinanza custodiale emessa da quest’ultimo nei confronti di G. S..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

La Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si rilevava in via preliminare, per un verso, come il provvedimento impugnato avesse ritenuto infondata l’eccezione difensiva di nullità della ordinanza genetica per violazione dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen. richiamando l’orientamento di legittimità secondo il quale “in tema di misure cautelari personali, la necessità di un’autonoma valutazione da parte del giudice delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, richiesta dall’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., così come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, deve ritenersi assolta quando l’ordinanza, benché redatta con la tecnica del c.d. copia-incolla, accolga la richiesta del P.M. solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa graduazione delle misure costituiscono, di per sé, indice di una valutazione critica, e non meramente adesiva, della richiesta cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne” (Sez. 6, n. 51936 del 17/11/2016, omissis, Rv. 268523; Sez. 2, n. 25750 del 04/05/2017, omissis, Rv. 270662), per altro verso, come i Giudici del riesame, a questo proposito, avessero valorizzato la rielaborazione critica da parte del primo Giudice del materiale a sua disposizione, la complessiva ordinanza cautelare che non sempre aveva aderito alla richiesta formulata dall’Accusa, con riferimento ad altre posizioni ed altri capi di incolpazione, e l’operato “discernimento” in ordine alla opportuna misura cautelare da applicare ai singoli indagati.

Premesso ciò, gli ermellini ritenevano di non poter condividere la prospettiva ermeneutica che sorreggeva la decisione impugnata e la correlata valutazione espressa dal Tribunale giacché entrambe le decisioni di legittimità, richiamate a sostegno della decisione, avevano senz’altro spiegato che “il diniego opposto dal Giudice che ha emesso la misura ad una o più richieste formulate in sede di domanda cautelare soggettivamente od oggettivamente cumulativa segnala univocamente … che la richiesta stessa, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne, è stata effettivamente e materialmente esaminata e valutata in senso critico e non meramente adesivo, così che l’accoglimento della stessa per altri indagati o per altre imputazioni cautelari, sia pure negli stessi esatti termini, anche linguistici e argomentativi, formulati dal Pubblico ministero, non può essere stigmatizzata in termini di mancato esercizio di quel dovere critico che la nozione di autonoma valutazione sottintende e che il rigetto di alcune richieste segnala come sicuramente esercitato”.

Si considerava a questo riguardo non condivisibile questo approdo ermeneutico, sia sotto un profilo sistematico sia, ancor più, rispetto alle ragioni di rango costituzionale – la tutela della libertà delle persone ed il correlato diritto di difesa nonché l’esercizio indipendente della giurisdizione – che sorreggono la necessità che il provvedimento con il quale il Giudice decide la compressione del bene fondamentale della libertà di un determinato soggetto palesi la riconducibilità al medesimo titolare del potere di cautela della relativa giustificazione in modo da poter dire che questa sia “propria” del Giudice che l’ha emessa perché tale necessità comporta un giudizio incentrato sulla specifica posizione del soggetto attinto dalla misura cautelare che costituisce oggetto di giudizio, e ciò in ragione del fatto che il tema dell’autonoma valutazione – come è anche stato osservato in dottrina – che in realtà sottende la tematica del rispetto del diritto fondamentale dell’individuo alla libertà personale comprimibile solo da un provvedimento adeguatamente e puntualmente motivato di un giudice terzo ed imparziale è strettamente connesso alla tecnica di redazione del provvedimento.

Tal che se ne faceva conseguire, come logico corollario, che sia fondamentale che il provvedimento esprima con chiarezza l’avvenuto esercizio della funzione di controllo affidata al giudice: il che se non vuol significare l’obbligo di una riscrittura degli elementi di prova con “parole diverse“, tuttavia onera l’organo, cui è affidato il controllo, ad ostendere il percorso logico che sostiene la decisione attraverso una, pur sintetica ma autonoma, valutazione della legittimità e consistenza degli elementi disponibili (Sez. 2, n. 46136 del 2015, omissis) e, pertanto, la mancanza di una motivazione così connotata, ad avviso della Corte, è insanabile proprio perché investe profondamente il diritto di difesa per l’impossibilità di procedere dinanzi al tribunale, organo terzo, ad un efficace contraddittorio tra l’accusa e la difesa per la verifica, nel confronto dialettico tra le parti, della portata degli elementi addotti dal giudice per le indagini preliminari come gravi indizi di colpevolezza o esigenze di cautela.

Di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si reputava fondamentale valorizzare un altro orientamento nomofilattico  ossia quello secondo il quale “la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, è osservata anche quando il giudice riporti nella propria ordinanza le acquisizioni e le considerazioni svolte dagli investigatori e dal pubblico ministero, pure mediante il rinvio per “relationem” al provvedimento di richiesta, purché, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto” (Sez. 3, n. 840 del 17/12/2015, omissis, Rv. 265645); in altri termini, sempre alla luce di questo approccio interpretativo, la legittimità della motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale – della quale la incorporazione della richiesta del P.M. e/o delle risultanze investigative costituisce una delle forme espressive – , richiede, tra gli imprescindibili requisiti, la necessità che nel provvedimento si faccia ricorso alla “dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione” (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, omissis, Rv. 216664) anche perché, da una parte, ancor prima della novella del 2015, era stato affermato che “il potere dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche quando l’apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all’impiego di mere clausole di stile o all’uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell’atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni” (Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, omissis, Rv. 254161), dall’altra, a seguito delle modifiche apportate agli artt. 292 e 309 cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, era stato affermato che “l’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame può integrare l’eventuale carenza o insufficienza della motivazione di quella adottata dal primo giudice, salve le ipotesi di motivazione mancante o apparente, ovvero priva dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa, in quanto, ricorrendo tali ipotesi, il tribunale del riesame è tenuto ad annullare il provvedimento impositivo della misura “(Sez. 3, n. 49175 del 27/10/2015, omissis, Rv. 265365; conforme, Sez. 6, n. 44605 del 01/10/2015, omissis, Rv. 265349).

La necessità di una autonoma valutazione – espressamente ma non innovativamente indicata dal legislatore del 2015 rispetto ad un sistema che già lo conteneva (Sez. 6, n. 40978 del 15/09/2015, omissis, Rv. 264657; Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, omissis, Rv. 265983) – andava conformata, sempre secondo quanto enunciato in questa sentenza, sulla tutt’ora attuale osservazione secondo la quale “il coordinamento fra il disposto dell’art. 292, comma secondo, lett. c e c bis e quello dell’art. 309, comma nono, c.p.p., va stabilito nel senso che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda “de libertate“, onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante, e quindi primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva” (Sez. 6, n. 52 del 10/01/2000, omissis, Rv. 215433) e, per giungere ad una soluzione di questo tipo, è fondamentale una verifica necessariamente incentrata sulla posizione del soggetto e non sulla tenuta complessiva del provvedimento oggettivamente o soggettivamente cumulativo posto che, trattandosi di un vizio della motivazione, è distonico desumere la autonomia dal superficiale rilievo delle difformità di altri esiti decisori (ben potendo anche un esito conforme esprimere una autonomia di ragioni), fermo restando che – quand’anche li si voglia utilizzare quale indice sintomatico dell’autonomia –  la Corte reputava comunque doveroso non prescindere dalle ragioni che li hanno determinati, le quali in tanto potrebbero essere considerate in quanto rapportabili a quelle che hanno giustificato la decisione sulla posizione oggetto di giudizio.

Da ciò si addiveniva alla conclusione secondo la quale non si reputa atta a soddisfare le ragioni della prescrizione in parola, e della conseguente verifica demandata al Tribunale del riesame, l’affermazione di un criterio di equipollenza fondato su una spersonalizzante fungibilità sulla base della quale si ritiene assolta la prescrizione allorché si esprime qualche difformità decisoria e compiuta la verifica con il mero suo rilievo in quanto contrastante con la natura stessa del giudizio “de libertate“, indubitabilmente incentrato sul soggetto in relazione al quale la compressione del diritto fondamentale alla libertà personale deve essere fornita di una giustificazione che manifesti l’autonomia valutativa del Giudice terzo che l’ha disposta, altrimenti esulandosi dalle esigenze di garanzia per le quali il requisito della motivazione è previsto e la verifica richiesta e comprimendosi ingiustificatamente lo stesso diritto di difesa.

In virtù di tali considerazioni giuridiche, i giudici di Piazza Cavour giungevano a formulare il seguente principio di diritto: “In tema di misure cautelari personali, la necessità di un’autonoma valutazione da parte del giudice delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, richiesta dall’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., così come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non può ritenersi assolta quando l’ordinanza accolga la richiesta del P.M. solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa graduazione delle misure non costituiscono, di per sé, indice di una valutazione critica, e non meramente adesiva, della richiesta cautelare, essendo necessario che la autonoma valutazione del giudice sia espressa in relazione alla specifica posizione oggetto di giudizio, rispetto alla quale detto requisito della motivazione è previsto a pena di nullità rilevabile anche di ufficio”.

Una volta pervenuti a postulare questo criterio ermeneutico, si faceva presente come, alla luce dell’esposto orientamento, dovesse essere considerata condivisibile l’affermazione secondo la quale “risulta apparente la motivazione con la quale il tribunale del riesame, di fronte all’eccezione difensiva relativa alla mancanza di un’autonoma valutazione da parte del G.i.p. dei requisiti normativi previsti per l’adozione della misura coercitiva, confermi il provvedimento cautelare limitandosi ad affermare, in modo generico e sintetico, che il giudice, “in più parti”, ha inserito le proprie conclusioni ed indicato gli elementi valutativi, senza precisare in quali punti, passaggi o pagine dell’ordinanza possa rinvenirsi l’autonoma valutazione che l’art. 292 cod. proc. pen. richiede a pena di nullità” (Sez. 1, n. 23869 del 22/04/2016, omissis, Rv. 267994) e pertanto, il provvedimento impugnato era incorso nel duplice vizio denunciato, e precisamente alla specifica eccezione di nullità della difesa (v. pg. 2 e sg. della memoria difensiva depositata al Tribunale) in cui, da un lato, si rispondeva senza alcuna considerazione delle sue ragioni e della motivazione posta a base del provvedimento restrittivo a carico del ricorrente limitandosi a considerare la complessiva struttura espositiva della ordinanza, dall’altro, si valorizzavano gli esiti difformi dalle richieste dell’Accusa relativi ad altri soggetti indagati e ad altre imputazioni, o – ancora genericamente – il “discernimento” per ogni singolo soggetto in merito alla misura cautelare ritenuta opportuna.

Di talchè l’accoglimento del motivo, stante la sua natura pregiudiziale, assorbiva ogni altra questione prospettata dal ricorrente, e comportava l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame di Catanzaro per nuovo esame.

Conclusioni

La sentenza in commento è sicuramente condivisibile in quanto in essa si fa un buon governo dei principi da doversi seguire nella stesura di un provvedimento in materia de libertate da parte del Tribunale del Riesame.

Il bisogno di una valutazione individualizzata per ciascun ristretto, che deve avvenire attraverso una autonoma motivazione, rappresenta difatti l’unico modo attraverso il quale comprimere il diritto fondamentale alla libertà personale proprio perché ci si riferisce alle esigenze di cautela che riguardano la persona destinataria di un provvedimento restrittivo e il fatto ad ella contestato, e non altri individui e/o vicende.

Invece, come puntualmente rilevato in questa pronuncia, il rilievo di esiti riferiti a posizioni diverse da quella oggetto di esame “si palesa insufficiente poiché allontana proprio dalle ragioni di tutela della libertà di quella persona che ne giustificano il presidio”; in altre parole, non può consentirsi  la limitazione dello status libertatis di un individuo sulla scorta di valutazioni che involgono persone o situazioni differenti da costui; la motivazione in questi casi, difatti, non può che ritenersi apparente.

Il giudizio, quindi, su questa pronuncia, si ribadisce, non può che essere positivo.

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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