La impugnabilità degli atti endoprocedimentali nei pubblici concorsi

Scarica PDF Stampa

§ 1: l’atto endoprocedimentale nell’ambito del procedimento amministrativo

Preliminarmente alla trattazione dell’atto endoprocedimentale appare doveroso un richiamo alla nozione di procedimento amministrativo, disciplinato in linea generale dalla Legge 241/90 e del quale l’atto endoprocedimentale costituisce uno dei passaggi.

Per procedimento amministrativo possiamo intendere un insieme di una pluralità di atti che, nonostante la loro eterogeneità e la loro autonomia, sono preordinati alla stesso fine: la produzione degli effetti giuridici propri di una determinata fattispecie.

L’emanazione del provvedimento finale è quindi preceduta da un insieme di atti, fatti e attività, tutti tra di loro connessi in quanto concorrono all’emanazione del provvedimento stesso. Tali atti, fatti e attività, caratterizzati dallo scopo comune e unitario testé richiamato, confluiscono, per l’appunto, nel procedimento amministrativo 1, come noto scomponibile in tre fasi: iniziativa, istruttoria e decisoria; a queste si aggiunge una fase eventuale: l’integrazione dell’efficacia.

Tra i due estremi del procedimento (l’iniziativa, da un lato, e l’integrazione dell’efficacia, ove prevista, o l’emanazione del provvedimento finale, dall’altro) trovano posto i c.d. atti endoprocedimentali che, pur normalmente indifferenti per l’ordinamento generale, sono, tuttavia, destinati a produrre effetti rilevanti nell’ambito del procedimento stesso: in particolare, questi atti non soltanto generano l’impulso alla progressione del procedimento, ma contribuiscono altresì a condizionare in vario modo la scelta discrezionale finale (basti pensare ai pareri, alle osservazioni e alle memorie presentate dai privati, alle valutazioni tecniche), ovvero la produzione dell’effetto sul piano dell’ordinamento generale 2.

Per le suesposte ragioni, secondo giurisprudenza e dottrina unanimi, è palese che gli atti endoprocedimentali facciano parte del procedimento amministrativo.

§ 2: la disciplina processuale dell’atto amministrativo endoprocedimentale; in particolare la sua impugnabilità

Prima di analizzare la disciplina processuale dell’atto endoprocedimentale pare altresì opportuno richiamare, seppure sinteticamente, alcune nozioni relative al presupposto della legittimazione in un ricorso giurisdizionale amministrativo.

Come noto, il processo amministrativo è ad istanza di parte, nel senso che sono rimesse all’iniziativa del soggetto interessato alla pronuncia sia l’inizio del giudizio che la sua prosecuzione.

È però ovvio che non tutti i soggetti sono legittimati, rispetto ad uno specifico provvedimento, ad adire il giudice amministrativo; occorre infatti che vi sia la presenza di due requisiti: la legittimazione ad agire e la legittimazione processuale (o interesse a ricorrere); nel presente lavoro sarà incentrata maggiormente l’attenzione sulla seconda.

La legittimazione ad agire spetta a chi riveste una posizione qualificata, nel senso di una posizione che l’ordinamento contempla in capo ad un destinatario individuato, che lo differenzia rispetto alla collettività.

La legittimazione processuale, invece, consiste – in analogia al principio di cui all’art. 100 c.p.c. – nell’utilità concreta che il ricorrente può ottenere dal giudizio; nella possibilità quindi di ottenere un qualche beneficio dall’accoglimento del ricorso: il bene della vita, un vantaggio o, infine, la eliminazione di un pregiudizio.

Ne deriva che il concetto di utilità non deve necessariamente essere inteso in senso economico, ma può essere anche un’utilità di tipo diverso che non sia un semplice vantaggio emulatorio (può infatti trattarsi anche di un’utilità di tipo morale). Si ammette che il vantaggio possa consistere in una attività strumentale 3 derivante dalla rimessa in discussione del rapporto controverso, ad esempio rinnovazione della procedura di gara per l’aggiudicazione di un contratto, della quale non è facile prevedere l’esito.

L’interesse a ricorrere deve essere personale, concreto e deve sussistere durante tutto il corso del giudizio, fino alla pronunzia definitiva del giudice, pena una sentenza dichiarativa dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse.

Come conferma la giurisprudenza “il presupposto perché venga adita la tutela giurisdizionale riposa nell’interesse alla decisione, derivante da una lesione (né paventata né futura né inattuale) ad una posizione giuridica attiva tutelata dall’ordinamento: l’interesse processuale presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e l’idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo interesse sostanziale” (Consiglio di Stato, n. 4133/2009).

Come si è visto l’interesse a ricorrere non coincide con l’interesse legittimo (legittimazione ad agire): le due fattispecie vanno infatti tenute distinte atteso che mentre l’interesse a ricorrere va valutato su un piano strettamente processuale, l’interesse legittimo ha invece natura sostanziale. Ciò spiega come ben può sussistere l’interesse legittimo, trovandosi il ricorrente in una posizione differenziata che lo legittima al ricorso, ma può non sussistere l’interesse a ricorrere per mancanza di un vantaggio potenziale 4. Si veda, ad esempio, in tema di concorsi pubblici, la mancata valutazione di un titolo che, se considerato, non sarebbe sufficiente a modificare l’ordine della graduatoria del concorso oppure, sempre in tema di concorsi pubblici, la legittimità di una graduatoria che sia contestata per l’attribuzione ad un candidato di un punteggio inferiore al dovuto: questi potrebbe ricorrere (rectius avrebbe interesse a ricorrere) solo qualora dimostrasse che l’attribuzione del punteggio più alto lo collocherebbe in una posizione utile per l’assunzione. In caso contrario il ricorso sarebbe ritenuto inammissibile per carenza di interesse.

Si può quindi affermare che per essere legittimato ad ottenere la decisione il ricorrente non solo deve essere effettivamente titolare di un interesse sostanziale (interesse legittimo o, nel caso di giurisdizione esclusiva, anche diritto soggettivo), ma tale interesse deve anche avere subito una lesione da parte dell’atto amministrativo impugnato.

Da un punto di vista processuale l’interesse a ricorrere è accertato d’ufficio dal giudice anche nel caso in cui nessuna delle parti eccepisca eccezioni in proposito, compiendo egli un giudizio che verte su due oggetti: l’effettività della lesione e il vantaggio potenziale.

La rilevanza dell’interesse a ricorrere è sottolineata da dottrina e giurisprudenza in vari modi.

Vengono predicati gli attributi della personalità (il vantaggio deve riguardare specificamente e direttamente il ricorrente: non è ammesso quindi un ricorso esclusivamente nell’interesse altrui), dell’attualità (l’interesse deve sussistere, secondo la dottrina maggioritaria, al momento della proposizione del ricorso, non essendo sufficiente configurare l’eventualità o l’ipotesi di una lesione 5, e deve essere certamente presente al momento della decisione evidenziato che, in caso diverso, il ricorso sarebbe dichiarato estinto per carenza di interesse) e della concretezza (l’interesse deve essere valutato riferito a un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del ricorrente).

Se nel corso del giudizio si verifica un mutamento della situazione di fatto o di diritto tale da escludere che l’accoglimento del ricorso possa comportare un risultato utile al ricorrente, il ricorso viene dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, o, più correttamente, improcedibile.

Si supponga, a tal fine, il caso di una graduatoria concorsuale al termine del quale un concorrente, dichiarato inidoneo nel corso della prova orale, proponga ricorso avverso tale giudizio di inidoneità per vizi afferenti lo svolgimento della prova stessa (ad esempio mancata predeterminazione dei quesiti in spregio all’art. 12 del D.P.R. 487/94). Il ricorso de quo, stante il pregiudizio concreto e attuale, è certamente ammissibile.

Qualora però, nelle more del ricorso, l’Amministrazione si rendesse conto dell’errore commesso e provvedesse all’annullamento in autotutela degli atti relativi alla prova orale ripetendola in modo rispettoso della vigente normativa e al termine si riscontrasse un esito della nuova procedura concorsuale di fatto analogo al precedente (inidoneità del ricorrente), il giudice adito non potrebbe far altro che “dichiarare improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse non avendo il ricorrente superato la prova orale cui è stato nuovamente sottoposto” (Consiglio di Stato, n. 25/2008).

Incidentalmente può osservarsi che se anche la commissione prevista per la ripetizione della prova fosse diversa dalla precedente, nulla muterebbe. Come infatti ha avuto modo di evidenziare la giurisprudenza amministrativa, “quando si debba procedere [per ordine del giudice] ad una nuova valutazione di candidati l’Amministrazione deve affidare incarico ad una nuova commissione, affinché sia garantito che il nuovo giudizio si svolga al di fuori di qualunque condizionamento collegabile alla pregressa vicenda concorsuale” (Consiglio di Stato, n. 3882/2009 e n. 6196/2006).

E, ancora, si può sottolineare che “per costante giurisprudenza la commissione esaminatrice esaurisce il suo compito con la proclamazione dell’esito della procedura concorsuale. Ne consegue che, allorché si presenti l’esigenza di compiere nuovi atti integrativi o ripetitivi della procedura, può legittimamente procedersi mediante una commissione costituita a quel determinato fine” (Consiglio di Stato, n. 3882/2009 citata e n. 3985/2007).

Tuttavia si evidenzia come, ai sensi dell’art. 84 co. 12 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), “in caso di rinnovo del procedimento di gara a seguito di annullamento dell’aggiudicazione o di annullamento dell’esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione”.

La norma non è direttamente applicabile alle procedure concorsuali, ma non può non essere tenuta in considerazione atteso che, per analogia, molte delle norme previste nel Codice dei contratti trovano applicazione nelle procedure concorsuali.

Stante la breve premessa nelle righe che precedono, si nota facilmente la possibilità di ritenere impugnabili atti (endoprocedimentali) riconducibili a tipologie molto diverse l’una dall’altra, affermandosi quindi l’onere della loro impugnazione a carico dei soggetti destinatari dei loro effetti.

In questa breve trattazione ci si soffermerà proprio sulle fattispecie pratiche in cui vi è un provvedimento in corso; il problema dell’impugnabilità degli atti endoprocedimentali peraltro è stato più volte posto sia in dottrina sia in giurisprudenza.

In casi del genere sarà necessario preliminarmente accertare se nell’ambito del procedimento sia o meno stato emanato qualche atto in relazione al quale possa porsi un problema di impugnativa: può infatti anche darsi il caso in cui al privato venga semplicemente comunicato che l’Amministrazione è intenzionata a provvedere in un determinato senso, senza che tuttavia sia stato ancora emanato un atto finalizzato ad ottenere quel risultato. In questo caso si avrebbe soltanto da accertare che non esiste un atto impugnabile, in quanto – come incidentalmente si è visto – la lesività è legata alla concreta ed attuale modificazione di posizioni giuridiche, motivo per cui non è accoglibile un ricorso per lesione soltanto temuta.

Il fattore discriminante per ritenere proponibile o meno un ricorso risiede nell’avvenuta lesione di interessi, cioè l’avvenuta modificazione delle situazioni giuridiche del privato, ciò atteso che, come già precisato, tale lesione deve sussistere fin dal momento della proposizione del ricorso.

Costringere il privato ad una impugnazione per la quale non ha tutti gli elementi necessari rende poi difficile una seria ed effettiva reazione contro un provvedimento. Ancor di più laddove, come avvenuto in alcuni casi, si è anche affermato che la comunicazione di un provvedimento pone senz’altro l’interessato in grado di ricorrere alla giurisdizione amministrativa, essendo idonea a far decorrere il termine di impugnativa 6.

Appare decisamente migliore un diverso modo di affrontare la questione, osservandosi che, nelle fattispecie descritte, un problema di impugnazione (e di una correlativa lesione di interessi) può essere posta soltanto in quei casi in cui al futuro provvedimento venga data esecuzione anticipata, e venga quindi realizzato l’assetto di interessi previsto.

Normalmente un provvedimento in corso non è ancora capace di produrre tutti gli effetti giuridici cui tende; e proprio per questo la comunicazione di esso all’interessato non può essere ritenuta idonea a mettere in moto il termine per presentare ricorso giurisdizionale 7.

Di contro, realizzando una modificazione delle situazioni giuridiche del privato coinvolto, si concretizza l’attualità dell’interesse a ricorrere, ma sempre nell’ottica che la regola debba comunque essere quella dell’impugnabilità al momento dell’avvenuto perfezionamento dell’atto. Ed ecco perché in giurisprudenza, con una formula comunque compromissoria, si è anche affermato che la comunicazione che un provvedimento è tuttora in corso consente di impugnarlo in sede giurisdizionale, ma non fa decorrere il termine per l’impugnazione; concedendo così all’interessato la facoltà di ricorrere, ma non configurando un onere in tal senso, e con la possibilità di attendere il perfezionamento secondo legge dell’atto, momento a partire dal quale decorreranno perciò i termini di decadenza.

Il fatto è che tale soluzione di compromesso potrebbe andare bene solo nell’ipotesi in cui fosse data anticipata esecuzione al provvedimento in corso, che, appunto per questo, viene comunicato; anche in questo caso, però, il prendere atto della lesione apportata agli interessi privati dall’esecuzione anticipata dell’atto, dovrebbe indurre, più coerentemente, a ritenere che il termine di decadenza decorra necessariamente da quel momento e non da quello di avvenuto perfezionamento dell’atto. Infatti, o l’esecuzione dell’atto, per quanto illegittima e fonte di eventuale responsabilità per il funzionario preposto, modifica gli interessi sostanziali del privato, e fa quindi sorgere in capo ad esso la legittimazione al ricorso salva la presentazione di motivi aggiunti in seguito al perfezionamento dell’atto oppure, diversamente e solo in quest’ultimo caso, il termine coinciderà con quello di perfezione dell’atto e della sua comunicazione al privato 8.

In sostanza, quindi, soltanto l’anticipata esecuzione dell’atto può rendere attuale l’interesse a ricorrere, mentre non può essere considerato momento di decorrenza del termine quello della comunicazione del provvedimento in corso, soprattutto se il provvedimento in questione non sia, come spesso avviene, né efficace né, tantomeno, perfetto. Un ricorso contro un atto del genere, quindi, dovrà essere dichiarato irricevibile, per mancanza dell’oggetto, o, quanto meno, inammissibile, per carenza di interesse 9.

Secondo la giurisprudenza amministrativa la mancata impugnazione dell’atto endoprocedimentale non preclude l’impugnazione dell’atto finale poiché quest’ultimo non è atto meramente confermativo, ma è atto autonomo. Dal che se non è impugnato il provvedimento finale questo si consolida e rende inutile la definizione del giudizio avverso gli atti endoprocedimentali, con conseguente dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità del ricorso proposto per sopravvenuta carenza di interesse 10 (si pensi alla graduatoria concorsuale viziata per un errore di valutazione dei titoli dei candidati: dovrà essere impugnato l’atto endoprocedimentale illegittimo con cui è stata compiuta la valutazione, ma con esso anche il provvedimento finale di approvazione della citata graduatoria, ed anzi, la “vera impugnazione” sarà nei confronti di quest’ultimo).

La giurisprudenza ha infatti riconosciuto che “la regola secondo la quale l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile (la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso essendo normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento) incontra un’eccezione nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato, e di atti soprassessori che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell’an e nel quando il soddisfacimento dell’interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza”. Si tratta di atti idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva (ex multiis Consiglio di Stato n. 2223/2012, n. 296/2008, n. 1246/2004; n. 1377/1998, n. 226/97).

Ecco perché secondo giurisprudenza e dottrina unanime una clausola illegittima di un bando di gara che porti all’esclusione di un determinato soggetto deve da questo essere impugnata nei termini di decadenza decorrenti immediatamente e non dal momento in cui viene reso noto l’esito della procedura di gara.

Particolare esempio di atto endoprocedimentale tipizzato dal legislatore è costituito dal preavviso di rigetto disciplinato dall’art. 10 bis della L. 241/90, atteso che la sua funzione è quella di avvisare il privato dell’intenzione dell’Amministrazione di adottare un provvedimento a lui sfavorevole 11.

Conseguentemente non è possibile, in via ordinaria, ammetterne una sua immediata impugnabilità, stante il suo carattere di atto non immediatamente lesivo delle situazioni giuridiche dei soggetti privati.

Tuttavia la recente giurisprudenza, anche in questa fattispecie, ha avuto modo di sottolineare che “il preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis L. 241/90, ancorché non è di per sé un atto autonomamente lesivo, può essere ugualmente impugnato dal destinatario, specie quando è suscettibile di determinare un arresto procedimentale, fermo in ogni caso restando l’onere di tempestiva impugnativa del diniego definitivo eventualmente adottato nelle more del giudizio, a pena di inammissibilità del ricorso iniziale” (TAR Lazio, Latina, sez. I, n. 19/2009).

Non è quindi da escludere che un atto endoprocedimentale possa produrre di per sé effetti esterni e che, se lesivo di situazioni giuridiche soggettive, possa essere impugnato: è questa la ragione per cui la giurisprudenza ritiene talora immediatamente impugnabili alcuni di questi atti, così come gli atti presupposti 12.

Sintetizzando quanto sopra: in linea generale l’impugnabilità degli atti amministrativi è subordinata al loro carattere immediatamente lesivo; gli atti endoprocedimentali, quelli soggetti a controllo, gli atti confermativi, gli atti esecutivi e gli atti generali non sono normalmente autonomamente impugnabili per carenza di interesse a ricorrere.

Un accenno merita anche la complessa questione relativa all’invocabilità del principio dell’affidamento rispetto ad atti endoprocedimentali posti in essere dalla Pubblica Amministrazione, quali ad esempio pareri, raccomandazioni ecc., da cui emerge una situazione di vantaggio nei confronti di un soggetto.

All’orientamento che riconosce l’applicabilità del principio agli atti endoprocedimentali in ragione della loro possibile idoneità ad ingenerare nel destinatario un affidamento meritevole di tutela, in quanto attributivi di concrete posizioni di vantaggio, si contrappone quello, prevalente, che è ostile ad ammettere nell’ipotesi prospettata l’operatività del principio in esame.

Si osserva infatti che l’atto endoprocedimentale in sé può essere fonte di mera aspettativa per il privato, inidonea come tale a limitare il potere dell’Amministrazione di rimuovere l’atto, conseguendone che nella fase endoprocedimentale le aspettative del privato giustificano e impongono l’obbligo dell’Amministrazione di attendere ad un più intenso impegno motivazionale in sede di ritiro dell’atto ivi adottato, senza tuttavia incidere sulla sussistenza del potere. 13

Venendo ora alla materia che qui interessa, quella dei pubblici concorsi, possiamo affermare, applicando i suesposti principi, che, a rigore, gli atti endoprocedimentali di una concorso o di una gara non sarebbero impugnabili. Questo poiché gli atti posti in essere dalla commissione nel corso del procedimento non sono definitivi, assumendo invece valenza definitiva – e quindi esterna – solo quando siano fatti propri con il provvedimento finale dell’organo dell’Amministrazione deputato ad impegnare la stessa in modo definitivamente vincolante all’esterno. Pertanto gli atti endoprocedimentali, nella normalità dei casi, non assumono nel procedimento concorsuale valenza lesiva se non, per l’appunto, quando vengano recepiti nel provvedimento finale 14.

Tuttavia, al contrario, qualora questa lesività vi sia, giurisprudenza e dottrina ne consentono la immediata impugnabilità 15.

Il fenomeno è spiegabile ricorrendo all’idea della pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche 16. Lo stesso atto può cioè rilevare sia come atto del procedimento, sia come atto, avente effetti esterni, lesivo di posizioni giuridiche di alcuni terzi.

L’effetto esterno può essere prodotto anche da un atto che determini l’arresto del procedimento, configurabile, in astratto, come atto endoprocedimentale: esso diviene allora impugnabile in quanto costituisce l’atto che formalizza la conclusione in senso negativo del procedimento e che preclude al terzo la possibilità di ottenere l’utilità finale cui aspirava (si pensi all’esclusione del soggetto dal concorso). Accanto all’ipotesi di pronuncia espressa che comporta l’impossibilità per il procedimento di proseguire, va collocato il caso del rifiuto a porre in essere un atto della serie procedimentale, che comporta un’illegittima interruzione della procedura amministrativa.

Mentre l’atto esplicito di arresto può essere, a seconda dei casi, legittimo o illegittimo, il rifiuto puro e semplice di emanare un atto è sempre illegittimo, anche se, in ipotesi di silenzio, si dovrà applicare la disciplina del silenzio rifiuto.

Pertanto se vi è immediata lesione dell’interesse tutelato da parte dell’atto presupposto occorre impugnarlo immediatamente, se invece ciò non si verifica occorre attendere il secondo provvedimento e impugnarlo comunque assieme al primo 17.

Conferma quanto sopra esposto anche la giurisprudenza, la quale ha più volte rilevato che “l’onere di immediata impugnazione del bando di concorso sussiste solo se l’interessato intenda contestare la decisione dell’Amministrazione di avviare la procedura concorsuale oppure ritenga di censurare clausole che impediscano la stessa partecipazione al concorso, potendo per il resto il concorrente attendere di verificare la lesività delle stesse all’esito della procedura” (Consiglio di Stato n. 1398/2011, 5555/2010, 3308/2010 e 5668/2009).

Nel caso di una commissione che abbia deciso di sospendere il concorso senza motivazione alcuna e l’Amministrazione abbia avallato tale scelta, la lesione dei partecipanti è certo attuale ed essi ben possono adire direttamente il giudice in quanto solo la pronunzia giurisdizionale potrà consentire la ripresa del procedimento paralizzato.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multiis, Consiglio di Stato, n. 3043/2005 e TAR Napoli, n. 4849/2007) infatti è impugnabile in sede giurisdizionale, in quanto immediatamente lesiva, ogni determinazione amministrativa idonea a produrre un definitivo arresto procedimentale, specie per quanto attiene ai c.d. interessi pretensivi (ossia gli interessi che ricevono da un provvedimento positivo dell’Amministrazione il loro concreto soddisfacimento), i quali non potrebbero altrimenti essere tutelati, se non azionando l’interesse strumentale all’eliminazione dell’atto o del comportamento preclusivo del successivo sviluppo del procedimento amministrativo.

In concreto non è sempre agevole capire se la lesione si è compiuta con il primo o con il secondo provvedimento.

Se un bando di concorso in spregio alle vigenti disposizioni non ammette soggetti che hanno superato un certo limite di età nulla quaestio, perché costoro dovranno impugnare immediatamente il bando in quanto sanno che se parteciperanno non saranno accettati, sicché la lesione opera con l’emanazione del bando.

Se invece il bando prevede che una commissione esaminatrice venga individuata in modo non conforme alle norme non occorre impugnare il bando perché può accadere che nonostante tutto la commissione scelga comunque i soggetti migliori 18. Solo allorché la commissione avesse male operato si dovrà impugnare la graduatoria finale e/o la determinazione di approvazione unitamente al bando viziato. In questo caso, pertanto, pur illegittimo il primo provvedimento la lesione si concretizza in un secondo momento, essendo la futura lesione all’inizio solo ipotizzabile.

Sintetizzando si può pertanto affermare che di regola è impugnabile solo l’atto finale del procedimento e che, in occasione della impugnativa di questo, possono essere denunziati i vizi degli atti endoprocedimentali che lo hanno preceduto.

Sfuggono tuttavia a questa regola generale alcuni tipi di atti che, pur anch’essi endoprocedimentali, sono invece immediatamente impugnabili perché immediatamente lesivi (ad esempio esclusione da una gara o da un concorso) o perché idonei a produrre un arresto definitivo del procedimento.

Poiché infatti l’Amministrazione ha per legge l’obbligo di concludere il procedimento, una determinazione procedimentale che ne provochi il suo arresto non può ritenersi satisfattiva dell’interesse pretensivo all’ottenimento del provvedimento richiesto e come tale è immediatamente impugnabile 19.

§ 3: un caso pratico

Premesso quanto nelle pagine precedenti, siamo ora in grado di provare a rispondere a un caso pratico che può apparire di scuola ma che non è impossibile si verifichi nella realtà.

Ci si riferisce al caso di un bando di concorso pubblico in cui, approvata la graduatoria finale con la nomina di un vincitore e successiva sua presa di servizio, la stessa venga poi annullata dal giudice amministrativo con ripetizione della prova orale per mancata predeterminazione dei quesiti nella prova orale stessa (incombenza obbligatoria alla luce della normativa vigente come si è accennato sopra: cfr. D.P.R. 487/94, art. 12, e giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto, ex multiis Consiglio di Stato, n. 1398/2011), su ricorso promosso da altri due soggetti partecipanti al concorso: il primo dei ricorrenti è un soggetto ammesso a sostenere le prove pur non possedendo i requisiti previsti dal bando (titolo di studio non equipollente a quelli indicati) e poi risulterà vincitore del concorso dopo che si sarà ripetuta la prova orale; il secondo ricorrente è un soggetto utilmente collocato nella prima graduatoria e in possesso invece dei requisiti previsti nel bando.

Si vuole qui rispondere se il primo vincitore debba necessariamente proporre ricorso incidentale nei confronti del ricorrente ammesso alle prove concorsuali senza averne i titoli al fine di ottenere una pronuncia di inammissibilità del ricorso principale – beninteso nei confronti del solo privo dei requisiti specifici – o se, invece, lo stesso primo vincitore possa (o debba) invece attendere ed impugnare la seconda graduatoria, approvata in ipotesi oltre due anni dopo la prima a seguito dell’annullamento operato dal giudice amministrativo e della ripetizione della prova orale.

Evidentemente durante lo svolgimento della parte “ordinaria” del concorso (e cioè fino alla prima approvazione della graduatoria) il candidato risultatone vincitore non aveva impugnato l’ammissione del candidato privo dei requisiti atteso che tra la pubblicazione del bando, l’ammissione del candidato sine titulo e l’approvazione della graduatoria finale erano trascorsi appena pochi giorni. Sicché nel momento in cui il concorrente divenuto poi vincitore si trovava ancora nei termini per l’eventuale impugnativa di ammissione, il procedimento si era concluso con esito a lui favorevole. Da ciò conseguiva che, quale vincitore, non aveva interesse alcuno a ricorrere.

Inoltre, come si è visto, perché possa ammettersi l’impugnabilità degli atti endoprocedimentali (come appunto sono le determinazioni di ammissione alle prove), occorre che da parte di questi si riscontri una lesione che non può essere meramente potenziale; dal che è ipotizzabile che il ricorso sarebbe stato dichiarato inammissibile. Diverso il caso di una esclusione illegittima: in questo caso si riscontra una lesione che deve essere prontamente sollevata dinanzi al giudice onde paralizzare il concorso che altrimenti si avvierebbe alla sua conclusione senza che il soggetto titolato – e illegittimamente escluso – possa parteciparvi.

Si è già accennato che “l’onere di immediata impugnazione del bando di concorso sussiste solo se l’interessato intenda contestare la decisione dell’Amministrazione di avviare la procedura concorsuale oppure ritenga di censurare clausole che impediscano la stessa partecipazione al concorso, potendo per il resto il concorrente attendere di verificare la lesività delle stesse all’esito della procedura” (Consiglio di Stato n. 1398/2011, 5555/2010, 3308/2010 e 5668/2009).

Dalle considerazioni sopra esposte emerge quindi che il concorrente primo vincitore avrebbe dovuto attendere l’esito della graduatoria prima di promuovere qualunque ricorso atteso che la lesione, per il momento, era solo potenziale. E infatti poiché all’esito del concorso nessuna lesione si è verificata nei suoi confronti, questi non ha aveva interesse alcuno al ricorso.

Ma neppure il soggetto vincitore sembra avere un interesse giuridico che lo legittimi a proporre ricorso incidentale nei confronti del ricorrente avverso la prima graduatoria finale e ammesso al concorso in assenza dei prescritti requisiti; tanto più in un caso come quello che si considera, in cui vi è altro ricorrente perfettamente rispondente ai requisiti richiesti nel bando.

Ne conseguirebbe, infatti, che anche qualora il ricorso incidentale venisse accolto, questo condurrebbe alla eliminazione di un partecipante ma non alla salvezza della graduatoria che verrebbe comunque travolta a seguito del ricorso promosso dal secondo dei due ricorrenti.

Anche in questo caso, comunque, la lesione sarebbe solo potenziale: il ricorrente senza requisiti potrebbe solo teoricamente precedere il precedente vincitore nella nuova graduatoria.

Quanto sopra ricostruito trova pieno riscontro nelle richiamate sentenze del Consiglio di Stato n. 1398/2011, 5555/2010, 3308/2010 e 5668/2009 secondo cui se non si tratta di clausole del bando (o, nel caso di specie, titoli di ammissione) che impediscono la partecipazione, il concorrente può attendere di verificare la lesività delle stesse all’esito della procedura.

Dal che si deve dedurre che qualora il primo vincitore risulti secondo nella nuova graduatoria a seguito di ripetizione delle prove per ordine del giudice e in questa graduatoria risulti vincitore il soggetto ammesso pur privo dei requisiti previsti nel bando, il primo vincitore ha titolo per proporre ricorso negli ordinari termini avverso quest’ultima graduatoria, in quanto la lesione si viene realmente a concretizzare solo all’atto della sua approvazione.

 

Bibliografia

  • Francesco Caringella, Corso di diritto amministrativo – profili sostanziali e processualiTomo I, Giuffrè Editore, VI edizione

  • Francesco Caringella, Manuale di diritto amministrativo – Dike Giuridica Editore, 2010

  • Elio Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2010

  • Sabino Cassese, Corso di diritto amministrativo diretto da – Istituzioni di diritto amministrativo – Volume I, Giuffrè Editore, III edizione, 2009

  • Vincenzo Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Giappichelli Editore, 2010

  • Roberto Chieppa – Vincenzo Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2007

  • Michele Corradino, Il diritto amministrativo, CEDAM Editore, 2009

  • Guido Corso, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli Editore, 2010

  • Luigi Delpino – Federico del Giudice, Diritto amministrativo, Edizione Simone, XXVIII edizione, 2011

  • Carlo Emanuele Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Giappichelli Editore, 2010

  • Roberto Garofoli – Giulia Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Nel Diritto Editore, 2012

  • Raffaele Juso, Lineamenti di giustizia amministrativa, Giuffrè Editore, 2008

  • Carlo Talice, Diritto amministrativo, Maggioli Editore, 2008

  • Luigi Tarantino, L’interesse strumentale al ricorso, in Urbanistica e appalti, IPSOA Editore, 1998

  • Aldo Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli Editore, 2012

  • Pietro Virga, Diritto amministrativo, atti e ricorsi – Volume 2, Giuffrè Editore, 2001

  • www.giustizia-amministrativa.it

  • www.diritto.it

1 Elio Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2010 – p. 409.

2 Elio Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit. – p. 419.

3 Luigi Tarantino, L’interesse strumentale al ricorso, in Urbanistica e appalti, IPSOA Editore, 1998 – pag. 1107 (secondo cui l’interesse strumentale può consistere nella mera messa in discussione del rapporto controverso, sempre che, per effetto della rimozione dell’atto lesivo il rapporto possa eventualmente concludersi in senso favorevole al ricorrente. Si veda anche Consiglio di Stato, n. 154/1999).

4 Pietro Virga, Diritto amministrativo, atti e ricorsi – Volume 2, Giuffrè Editore, 2001 – pag. 282.

5 Aldo Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, cit. – capitolo IX – l’azione nel processo amministrativo.

6 In giurisprudenza si è ritenuto che, anche in assenza di atti che in qualche modo ledano già posizioni giuridiche, la comunicazione ufficiale data all’interessato di un provvedimento in itinere è idonea a far decorrere il termine di impugnazione, quando essa contenga tutti gli estremi sufficienti a porre l’interessato stesso in grado di avere piena conoscenza del dispositivo e dei motivi che, identificando senza possibilità di dubbio o di equivoco la natura e la portata dell’atto, ne renda possibile la denuncia di eventuali vizi, salvo la successiva proposizione di eventuali motivi aggiunti, qualora dalla conoscenza del contesto del provvedimento emanato emergano ulteriori elementi di illegittimità (Consiglio di Stato, n. 435/1949).

7 Il provvedimento in corso, cioè il provvedimento emanato dall’Amministrazione ma non ancora produttivo di effetti, non è idoneo a far decorrere il termine d’impugnazione, per il quale occorre la comunicazione legale del provvedimento definitivo. Non è ammessa, nondimeno, l’impugnazione, nel caso in cui l’interessato ne abbia avuta compiuta notizia (Così Consiglio di Stato, n. 1231/1997 e n. 518/1949).

8 Tale problematica andrebbe peraltro coordinata con l’ipotesi in cui il perfezionamento dell’atto avvenga mentre è in corso il giudizio, o dopo il passaggio in giudicato della sentenza che abbia deciso il ricorso contro il provvedimento anticipatamente eseguito.

9 Del resto, come è stato osservato, tale posizione giurisprudenziale, oltre a degradare il provvedimento perfetto al rango di atto confermativo, perché un ricorso contro tale atto non sarà proponibile, contrasta anche letteralmente con l’art. 36 del T.U. sul Consiglio di Stato, (norma ora abrogata dal D.Lgs. 104/2010) che fa decorrere il termine per l’impugnativa dalla conoscenza dell’atto, e non dell’intenzione di emanarlo, anche se già attuata fino ad un certo punto: Guicciardi, Sul termine per l’impugnativa dei provvedimenti in corso (nota a Cons. St., sez. IV, 30 dicembre 1949 n. 435), in Giur. it., 1950, III, 131. V. anche Cassarino, op. cit., 839.

10 Si vedano anche, conformi, le sentenze TAR Toscana, n. 149/2009 e TAR Genova 610/2009.

11 Luigi Delpino – Federico del Giudice, Diritto amministrativo, Edizione Simone, XXVIII edizione, 2011 – p. 388.

12 Vincenzo Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2009 – p. 385.

13 Roberto Garofoli – Giulia Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, Nel Diritto Editore, 2012 – p. 558.

14 Francesco Caringella, Corso di diritto amministrativo – profili sostanziali e processualiTomo I, Giuffrè Editore, VI edizione – p. 349 e Roberto Chieppa – Vincenzo Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Giuffrè Editore, 2007 – p. 229.

15 Sabino Cassese, Corso di diritto amministrativo diretto da – Istituzioni di diritto amministrativo – Volume I, Giuffrè Editore, III edizione, 2009 – p. 289 e Carlo Talice, Diritto amministrativo, Maggioli Editore, 2008, p. 302;

16 Elio Casetta, Manuale di diritto amministrativo, cit. – p. 420.

17 Raffaele Juso, Lineamenti di giustizia amministrativa, Giuffrè Editore, 2008 – p. 326.

18 Raffaele Juso, Lineamenti di giustizia amministrativa, cit. – p. 327.

19 Pietro Virga, Diritto amministrativo, atti e ricorsi – Volume 2, cit. – pag. 281.

Dott. Spadone Luigi

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento