La giurisdizione tributaria e i rapporti con la giurisdizione amministrativa

MC redazione 08/09/11
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Sommario: 1. Ambito della giurisdizione tributaria. – 2. Riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice amministrativo. – 3.  Rapporti tra processo tributario e processo amministrativo.

 

1. Ambito della giurisdizione tributaria

 

La giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (ordinanze n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006), con la conseguenza che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi tale natura comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali posto dall’art. 102, secondo comma, Cost.[1]

Viene ampliata la giurisdizione delle Commissioni tributarie con l’aggiunta, apparentemente minima ma significativa di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, della dizione: comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali, ed il Contributo per il servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi ed ogni altro accessorio (art. 2, c. 1 d.lgs. 546/92)

In materia di imposte e tasse, la giurisdizione attribuita alle commissioni tributarie è esclusiva e generale, ossia non circoscritta ad alcuni aspetti soltanto, ma estesa ad ogni questione, sia essa relativa all’an o al quantum del tributo; nella nozione di tassa vi rientrano anche i prelievi pseudo tributari ma tradizionalmente ritenuti tali (es:tassa sui contratti di borsa,  tasse automobilistiche) la riscossione coattiva di tributi esteri  in forza di trattato di assistenza in materia tributaria

Tale giurisdizione, pertanto, è totalmente indifferente al contenuto della domanda e  trova un limite unicamente di fronte agli “atti della esecuzione forzata tributaria”, fra i quali, tuttavia, non rientrano le cartelle esattoriali, gli avvisi di mora e le mere intimazioni di pagamento.     

Oltre alle controversie già attribuite alla giurisdizione delle Commissioni tributarie promosse dai singoli possessori, concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo  tra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale, vengono aggiunte alla giurisdizione tributaria dalla l. n. 248 del 2.12.2005 anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche …del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla  pubblicità ed il diritto sulle pubbliche affissioni.

Il canone per la occupazione di spazi ed aree pubbliche (e le relative sanzioni) rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario[2], anche quando il canone sia richiesto a seguito di una mera operazione materiale di occupazione; in quanto la mancanza del titolo concessorio non può trasformare un’obbligazione non tributaria in tributaria.[3]

Non rileva, come già evidenziato, la formale denominazione del prelievo essendo ininfluente la qualificazione legislativa del prelievo, mentre la natura del prelievo va desunta dalla disciplina posta dal legislatore ordinario.[4] 

La giurisdizione si determina in base alla pretesa dell’ente creditore; se la pretesa ha  natura tributaria, anche parziale,  la giurisdizione è della Commissione tributaria che  non può dichiarare il difetto di giurisdizione avverso atti di recupero da parte del concessionario  anche di entrate non tributarie, anche se la competenza va limitata alle contestazioni concernenti pretese di  natura tributaria.[5]

La tutela giurisdizionale dei contribuenti, con riguardo ai tributi cui le norme citate hanno riferimento, è affidata in esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente all’esistenza ed alla consistenza dell’obbligazione tributaria Cass 16 marzo 2009, n. 6315 ;Cass. SS.UU. civ., sent. n. 103 del 12.III/2001)”

Il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria”, ancora (), “non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione.[6]

Il difetto di giurisdizione va rilevato anche di ufficio in ogni stato e grado  del       processo (ma, in tal caso, occorre convocare previamente le parti o sottoporre alla stesse in sede di discussione la questione), mentre il regolamento preventivo di giurisdizione  ex art. 41. 1 c. Del c.P.C. è’ ammesso solo nel giudizio di primo grado.

In base al combinato disposto degli  artt. 3 e 57 del D. Lvo n. 546/1992, la questione di giurisdizione rientra fra quelle proponibili anche per la prima volta  con l’atto di  appello.[7]

Nella giurisdizione delle Commissioni tributarie rientrano anche il riconoscimento degli accessori del tributo, quali gli interessi anatocistici (art 1283 c.c.), il maggior danno da svalutazione monetaria (art. 1224 c.c.) e la responsabilità aggravata per lite temeraria (art. 96 c.p.c.).[8]

Anche la controversia concernente la revoca di un’agevolazione d’accisa è devoluta alla giurisdizione speciale delle Commissioni tributarie.[9]

Rientrano anche nella giurisdizione tributaria le controversie: a) tra datore di lavoro e ex dipendente sulla ritenuta d’acconto sulla somma liquidata dal giudice a titolo risarcitorio per ingiustificato licenziamento [10]; b) relative alle sanzioni irrogate in conseguenza della sottrazione di energia elettrica e dell’evasione della relativa imposta erariale sull’energia elettrica.[11]

La Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittima l’estensione della giurisdizione tributaria alle controversie relative a sanzioni irrogate da uffici finanziari, ove tali sanzioni non si riferiscano a violazioni concernenti rapporti tributari.[12]

È stata esclusa la giurisdizione delle Commissioni tributarie a favore del giudice ordinario, oltre che per gli atti di esecuzione forzata (art. 9 c.p.c), opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), opposizione agli atti esecutivi e opposizione di terzo fattispecie previste dalla legge[13], anche per i giudizi: a) relativi al risarcimento danni nei confronti della Amministrazione finanziaria o ente locale, b) per la richiesta di rimborso di una somma indebitamente versata alla Amministrazione che, tuttavia, ne riconosca la spettanza al contribuente, c) contro attività istruttorie degli Uffici o Enti pubblici, trattandosi di atti interni che devono ancora estrinsecarsi in un provvedimento dotato di autonomia esterna, d) per il rimborso delle somme dello scommettitore in quanto il Lotto si configura come una attività privata[14], e) per i pedaggi autostradali che hanno natura contrattuale e non di tassa[15], f) per i canoni di rotta, trattandosi di tariffa di convenzione internazionale navigazione aerea a cui va riconosciuta natura privatistica e non tributaria[16], g) per le controversie tra soggetto attivo e passivo iva, h) per le tasse automobilistiche [17], i) relativi alla impugnazione della cartella esattoriale in tema di infrazioni valutarie .[18]

La giurisdizione delle Commissioni tributarie è stata estesa anche ad entrate di cui è dubbia la natura tributaria, quali i canoni, anche se va segnalata la recente inversione di tendenza della Corte Costituzionale in tema di Cosap che ha dichiarato “costituzionalmente illegittima la norma che attribuisca alle Commissioni Tributarie la giurisdizione su prestazioni patrimoniali imposte non aventi natura tributaria, per violazione sia del divieto di costituzione di nuovi giudici speciali (art. 102, secondo comma, Cost.), sia del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, Cost.). Poiché, secondo il diritto vivente (Cassazione, sezioni unite civili, nn. 25551, 13902, 1611 del 2007; n. 14864 del 2006; n. 1239 del 2005; n. 5462 del 2004; n. 12167 del 2003) le controversie attinenti al canone per l’occupazione di spazi o aree pubbliche non hanno natura tributaria, è incostituzionale l’art. 2 d.lgs. n. 546/92, così come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, nella parte in cui prevede che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del cosap previsto dall’articolo 63 del d.lgs. n. 446/97.[19]

La Consulta fa espresso riferimento alla giurisprudenza della Cassazione al fine di ritenere accertato che il Cosap non avrebbe natura tributaria [20]e le relative controversie, vertendo su diritti soggettivi, appartengono naturalmente (ex art. 25 e 102 cost.) alla giurisdizione del giudice ordinario.

Il presupposto da cui parte la Suprema Corte è che il COSAP si applica in via alternativa al tributo denominato «tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche» (TOSAP), precisando che detto canone, da un lato, «è stato concepito dal legislatore come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo (Tosap) in luogo del quale può essere applicato» e, dall’altro, «risulta disegnato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici».[21]

Vi è, con tale impostazione, il rischio che l’intero settore delle c.d. imposte locali e soprattutto delle tasse, alle quali non si applica l’art. 53 Cost.,[22]venga attribuito al giudice ordinario, competente in materia in base all’art. 9 cod. proc. civ.

Sotto il profilo pratico appare, invero, non semplice distinguere tra la Cosap e la Tosap, ma con la attribuzione della prima al giudice ordinario la Consulta ha ottenuto il solo effetto di dilatare di almeno 5 anni i termini per la definizione delle relative controversie, la cui giurisdizione non può essere desunta dalla denominazione dei relativi tributi, ma dalla natura tributaria dell’atto.

Le Commissioni tributarie sono anche competenti in materia di iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77, d.P.R. 602/73 e di fermo dei beni mobili registrati di cui all’art. 86, d.P.R 602/73.

Il fermo amministrativo è uno strumento di autotutela della pubblica amministrazione, posto in es- sere mediante atti aventi natura provvedimentale, non essendo possibile rinvenire, né nel diritto pro- cessuale civile, né nel diritto privato (comune o speciale), istituti che, nell’ambito dei rapporti iure privatorum, consentano ad una delle parti di aggredire il patrimonio della controparte senza l’inter- vento di un giudice, con le caratteristiche di disciplina proprie del fermo di beni mobili registrati.[23]

Relativamente a tale ultima figura è da escludere che tale disposizione abbia inteso estendere la giurisdizione tributaria a tutti i fermi amministrativi, per qualunque credito, in quanto, ai sensi del combinato disposto gli artt. 2 e 19 del d.lgs. 546/1992, risulta evidente che il Legislatore ha inteso attribuire al Giudice Tributario la competenza giurisdizionale soltanto in materia tributaria e, quindi, sui soli fermi conseguenti ad atti tributari e tale risulta essere l’ultimo orientamento della Cassazione che ha statuito che quando il credito posto a fondamento del fermo amministrativo dell’auto non è di natura tributaria, la causa è decisa, in tutto o in parte, dal Giudice ordinario, secondo la parte dei crediti di natura non tributaria.[24]

Dopo l’esclusione della COSAP dalla giurisdizione delle Commisioni tributarie, notevoli perplessità sorgono sulla giurisdizione per l’impugnazione di atti tributari relativi a prestazioni coattive, correlate a servizi pubblici essenziali, esercitate in condizioni di monopolio, ancorché in concessione a terzi.

Deve ritenersi, in termini generali, che se trattasi di atti che hanno natura di tasse e contributi sussista la competenza delle Commissioni tributarie, mentre se trattasi di atti di natura privatistica, quali canoni e tariffe, ancorché trattasi di prestazioni che hanno anche natura di corrispettivi di servizi pubblici, sussiste la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria, anche se ancora deve essere stabilito dalla Cassazione un punto fermo in materia.

La coattività della prestazione può legittimamente far propendere, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dell’atto, per la prevalenza della natura di imposizione coattiva, assimilabile a un tributo, con conseguente giurisdizione delle Commissioni tributarie.

In tema di sanzioni irrogate da uffici finanziari va individuato la relativa natura (tributaria o meno), essendo stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.[25]

Non sono esperibili, nel processo tributario l’esercizio diretto dell’azione di indebito arricchimento o della pretesa da negotiorum gestio.[26]

Le vertenze relative al rifiuto di eseguire i rimborsi di tributi  che implicano la risoluzione di questioni tributarie sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie; sono invece attribuite alla giurisdizione ordinaria le controversie che insorgono in relazione al pagamento di tributi il cui diritto sia riconosciuto incondizionatamente dall’amministrazione debitrice, senza che vi sia necessità di risolvere una questione di carattere tributario” [27] 

E’ devoluta alla giurisdizione del giudice tributario l’opposizione avverso la cartella esattoriale per il pagamento della tassa per l’occupazione di aree pubbliche (TOSAP), ai sensi dell’art. 2, comma primo, lettera h), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a nulla rilevando che il contribuente abbia fondato la propria opposizione  sulla circostanza di avere già corrisposto, per il suolo oggetto di occupazione, il canone di concessione (COSAP)[28]

La controversia promossa dal sostituito d’im­posta, nei confronti del sostituto ai fini delle imposte dirette, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che (come nel caso) il sostituto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’im­posta, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.[29]

Viene superato l’orientamento precedente ancora del secondo cui la controversia promossa dal sostituto d’im­posta, nei confronti del sostituito, per chiedere il rimborso delle somme versate all’erario a titolo di maggior IRPEF i dovuta su  quanto percepito dal sostituito è devoluta alla giurisdizione del giudice tri­butario perché involge un’indagine sulla legittimità di detta ritenuta che non integra “una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata inciden­talmente, ma comportante una causa tributaria avente ca­rattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, evitando così un possibile potenziale contrasto di giudicati[30].

 

Sono anche  di competenza delle commissioni tributarie:1) le controversie relative a crediti IVA[31];2) le controversie relative a  cartelle per l’erogazione dell’acqua potabile[32]; 3) le controversie relative alla cancellazione o al rifiuto di iscrizione delle ONLUS avendo ad oggetto un atto di revoca o di diniego di agevolazioni[33]; 4) le controversie relative a canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari(CIMP) in quanto tale canone ha natura tributaria; la Consulta ha respinto la questione di legittimità costituzionale della norma che attribuisce alla cognizione del giudice tributario le controversie relative al canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari; sussiste, infatti, continuità tra la disciplina del CIMP e quella dell’imposta sulla pubblicità che evidenziano che il canone costituisce – seppure con diverso nomen iuris – un prelievo della stessa natura dell’imposta e presenta, perciò, tutte le caratteristiche del tributo.[34]l’ Imposta di pubblicità, si paga anche sul bagno chimico[35]; 5)il  contributo unificato[36]; anche il contenzioso  relativo al contributo per il consiglio nazionale forense per le spese del funzionamento del   Consiglio (Nazionale Forense), ancorchè sia denominata  “contributo” dall’art. 14, D.lgs.Lgt. n. 382 del 1944, ha natura tributaria, ed ha le stesse caratteristiche e scopi della “tassa” prevista dall’art. 7 del medesimo decreto[37]; 6) la domanda di restituzione di somme versate a titolo di IVA, una volta che l’amministrazione abbia rifiutato il rimborso esplicitamente o implicitamente, anche quando sia proposta, anziché dal contribuente, dal terzo cessionario del credito (es: Banca).[38]; 7) mancato pagamento di imposte dovute da contribuente italiano a uno stato estero[39]; 7) le controversie relative ai provvedimenti di cancellazione (o rifiuto di iscrizione) dall’Anagrafe delle Onlus, poiché riguardano atti di diniego o revoca di agevolazioni fiscali (articolo 19, comma 1, lettera h), del Dlgs 546/1992)[40]; 8)   fattura Tia, avendo natura tributaria[41]; la Tariffa di igiene ambientale prevista dall’art. 49    D.Lgs. n. 22/1997 ha,infatti, alla luce del parere espresso dalla Corte dei Conti, natura di tributo; e perciò deve essere ad essa applicata la normativa propria dei tributi.   E non assume alcun riliev in senso contrario  la disposizione introdotta con l’art. 14,  comma 33 D.L. 31 maggio 2010 n. 78 conv. In  l. 30 luglio 2010 n. 122,  secondo  “le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3   aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi   prevista non e’ tributaria.(..)” ;  ciò in quanto la tariffa,  prevista dal c.d. Codice   dell’ambiente (art. 238 D.Lgs. n. 152/2006) con la denominazione “tariffa per la  gestione dei rifiuti urbani”, (poi ridenominata “tariffa integrata ambientale”  dall’art. 5 comma 2 quater D.L. 30 dicembre 2008 n. 208, conv. in l. 27  febbraio 2009 n. 13) è un istituto diverso  rispetto alla TIA, che è destinato a sostituire;[42]

Sono, infatti, qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione «avviso di liquidazione» o «avviso di pagamento» o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente (omissioni che potranno determinare la mancata decorrenza del termine per impugnare).[43]

9) controversie concernenti la SIAE (l’art. 1, comma 2, l. n. 2 del 2008,  concernent4e la SIAE prevede:«tutte le controversie concernenti l’attività dell’ente, ivi incluse modalità di gestione dei diritti, nonché l’organizzazione e le procedure di elezione e di funzionamento degli organi sociali, sono devolute alla giurisdizione ordinaria, fatte salve le competenze degli organi della giurisdizione tributaria». Trattasi di clausola di salvaguardia per la quale il contrassegno Siae ha natura tributaria e le cause che lo riguardano vanno instaurate davanti alla Ctp.[44]; 10) tassa avvocati; le controversie sui contributi che i legali devono versare all’Ordine o al Cnf vanno devolute al giudice tributario. La prestazione per l’iscrizione all’Albo degli avvocati è una tassa a tutti gli effetti.[45] Tale «tassa» si configura come una «quota associativa» rispetto a un ente ad appartenenza necessaria; il Consiglio dell’ordine ha una potestà impositiva rispetto a una prestazione che l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell’albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all’ordine[46];11) controversie concernenti il diritto d’iscrizione annuale in albi e registri delle Camere di commercio[47]; 12) controversie relative al credito d’imposta; l’art. 4, commi da 181 a 186 e 189 della legge 350 del 2003, attribuisce, come anche risulta dal regolamento approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 dicembre 2004, n. 318,  alle imprese editrici, un credito   di imposta in  misura corrispondente ad una percentuale della spesa  sostenuta   per la carta utilizzata per la stampa delle testate  edite e dei libri;  sussiste perciò, in base agli artt. 2 e 19, comma 1, lett. h) del decreto legislativo 31 dicembre 1992,  n. 546, la giurisdizione del giudice tributario anche in quanto  il corrispondente importo è fruibile esclusivamente nell’ambito del  rapporto d’imposta, e all’eventuale revoca sia     estraneo ogni profilo di discrezionalità [48] ; 13) controversia sulla tassa d’archivio, dovuta dalle parti dell’atto – a mezzo del notaio – all’archivio notarile che ha natura tributaria (art. 39, primo comma della legge 22 novembre 1954, n. 1158)[49]

Rientrano, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario: 1) le  controversie tra fornitore ed utente privato relative all’iva applicabile, non avendo ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione  finanziaria ma esclusivamente un rapporto di natura privatistica, e comporta un mero accertamento incidentale in ordine all’ammontare dell’Iva, applicata dalle società erogatrici in misura contestata dall’utente[50];2) il rimborso Iva sulla TIA in quanto sulle contestazioni delle sanzioni erogate dal concessionario della riscossione per illeciti diversi da quelli fiscali decide il giudice ordinario[51];il soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi, e la controversia  non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente e amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati. Il fatto che il diritto alla rivalsa ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sia previsto da una normativa tributaria, non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario.  Il cittadino deve prima richiedere il rimborso all’ente impositore, cioè a colui che svolge per conto dell’ente locale o del comune, il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti e solo dopo il rifiuto (o l’inerzia) dell’ente impositore in merito al rimborso, si potrà ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria. Tuttavia la TIA non può assumere doppia natura (ai fini giurisdizionali un tributo, ai fini Iva un onere patrimoniale “non tributario”)[52]; 3) i contributi dovuti ai consorzi di bonifica su base contrattuale, avendo natura privatistica[53]; 4) i ricorsi relativi a cartelle esattoriali notificate da Equitalia per il mancato pagamento dei contributi INPS. [54]; 5)  la controversia avente ad oggetto diritti e obblighi attinenti ad un rapporto previdenziale obbligatorio anche se originata da pretesa azionata dall’ente previdenziale a mezzo di cartella esattoriale, non solo per l’intrinseca natura del rapporto, ma anche perché l’art. 24, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, sul riordino della disciplina mediante ruolo, nell’estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali, espressamente prevede che il contribuente in presenza di richiesta di contributi previdenziali può proporre opposizione contro l’iscrizione a ruolo avanti al giudice del lavoro[55]. Infatti  “la cartella esattoriale è un atto privo di autonomia, e costituisce uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale”, quindi deve essere “impugnata davanti al giudice competente a decidere in ordine al rapporto cui la cartella stessa è funzionale, a nulla valendo che l’atto non contenga una puntuale indicazione della fonte di credito fatta valere”[56]. Nel caso di infrazioni valutarie, la cartella esattoriale deve, quindi,  essere impugnata avanti al Giudice ordinario e non innanzi al Giudice tributario.[57]Il fatto che la cartella esattoriale non contenga puntuali indicazioni circa la fonte del credito fatto valere può rendere inidoneo l’atto a determinare il decorso dei termini di impugnazione o costituire fonte di responsabilità civile per il concessionario, ma non incide sulla giurisdizione[58]; 6) la domanda di rivalsa IVA, trattandosi non di una controversia tributaria ma di una ordinaria azione di ripetizione di indebito oggettivo.[59]; 7) sanzioni per uso di videogiochi irregolari[60]; 7) sanzioni per mancato pagamento cosap[61]; 8) l’impugnazione della cartella esattoriale per il pagamento  di crediti non aventi carattere fiscale ( “Cassa Depositi e Prestiti,   Cassa Ammende, Registro, Multe — Ammende — Sanzioni  amm.ve e Registro recuperi Spese Giustizia”[62]

 

2. Riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice amministrativo

 

Il riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice amministrativo si fonda, invece non sulla natura, ma sugli effetti dell’atto: se trattasi di effetti di natura tributaria va affermata la competenza delle Commissioni tributarie, se, invece, trattasi di contestare ulteriori effetti diversi da quelli propriamente tributari, la competenza sarà del TAR.

In tale ultimo caso poiché si è in presenza di interessi legittimi, non può che spettare al giudice amministrativo il sindacato sul provvedimento.[63]

L’art.  7, legge 27 luglio 2000, n. 212 (secondo cui ” la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” comporta”, “salvo espresse previsioni di legge”, “una naturale competenza del giudice amministrativo” soltanto “sull’impugnazione di atti amministrativi… a contenuto generale o normativo, come i regolamenti e le delibere tariffarie e di atti” (”aventi natura provvedimentale”) “che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva e in relazione ai quali esiste un generale potere di disapplicazione del giudice cui è attribuita la giurisdizione sul rapporto tributario.[64]

Le commissioni tributarie possono disapplicare i regolamenti comunali sui tributi locali, se ritenuti illegittimi, sia pure con efficacia limitata al rapporto dedotto in giudizio.

Tale principio… non può mai comportare una doppia tutela (dinanzi al giudice amministrativo e a quello ordinario o tributario) nei confronti di atti impostivi o di atti del procedimento impositivo.

L’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi,  ” non incontra un limite nell’art. 103 Cost.” perché non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici. [65]

La giurisdizione (piena ed esclusiva) del giudice tributario fissata dall’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, poi, non ha ad “oggetto” solo gli atti per così dire “finali” del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come “impugnabili” dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992) ma investe – nei limiti, ovviamente, dei “motivi” sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. e), stesso D. Lg.vo – tutte Ie fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto.

L’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto “istruttorio” prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto “finale” impugnato: “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria”, “è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa. [66]

Il quinto comma dell’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, stabilisce che le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, e resta “salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente“.[67]

Dunque gli atti di carattere generale sono bensì autonomamente impugnabili, e la relativa pronuncia avrà efficacia nei confronti della generalità dei contribuenti, ma questa impugnazione si svolgerà avanti ad un giudice “diverso” rispetto alle commissioni tributarie e cioè avanti alla giustizia amministrativa.

Inoltre, la possibilità dell’impugnativa di atti a carattere generale, fatta salva “nella diversa sede competente” dall’art. 7 del d.lgs. n. 546, con conseguente efficacia nei confronti di una generalità di contribuenti, trova il suo spazio davanti al giudice amministrativo.[68]

Si è anche precisato da parte delle Sezioni Unite che l’attribuzione al giudice tributario di una controversia che può concernere la lesione di interessi legittimi non incontra un limite nell’art. 103 Cost.”.[69]

Rientra nella competenza del giudice tributario, così come delineata dal del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 7, valutare la illegittimità degli atti amministrativi generali al limitato fine di decidere la controversia relativa ad uno specifico rapporto tributario, e senza poter procedere all’annullamento dell’atto generale.[70]

Vanno, quindi, attribuite al giudice amministrativo: 1) i ricorsi per l’impugnazione di un atto di carattere generale, 2) i regolamenti o atti normativi del Governo e Enti locali (es: provvedimento di gestione cioè delibera che regola le aliquote tariffarie, quale l’ ICI), c) i ricorsi contro i vizi formali dell’atto non attinenti al profilo impositivo (es.: annullamento di un atto di accertamento redatto in lingua italiana nei confronti di un cittadino tedesco, a Bolzano, dove vige il principio del bilinguismo), mentre va affermata, invece, la giurisdizione delle Commissioni tribitarie se trattasi di atto di applicazione delle stesse al caso concreto; 3) La controversia per  il rimborso della somma versata in eccesso a titolo di condono ex lege n. 47/1985[71]

 La rilevata erroneità della declinatoria di giurisdizione affermata dal giudice di merito non comporta, tuttavia, necessariamente una cassazione con rinvio della sentenza impugnata, in quanto il compito della Cassazione, quando queste non debbano decidere in sede di regolamento ai sensi dell’art. 41 c.p.c. o non siano chiamate a dirimere un conflitto (negativo o positivo) ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 2, bensì siano investite da un ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, – non può esaurirsi nel dichiarare a quale giudice spetti la giurisdizione, ma deve estendersi alla valutazione della sussistenza dell’interesse ad un’utile pronuncia di merito.[72]

La Cassazione, investita della questione di giurisdizione, è anche giudice del fatto, come in ogni altro caso in cui la censura abbia ad oggetto la violazione di una norma processuale.[73]

Sono, altresì,   precluse, davanti al giudice tributario: 1) l’azione di accertamento negativo dell’obbligazione tributaria qualora la pretesa fiscale non venga attivata mediante la formazione e la notificazione di un atto concreto[74];l’azione contro attività istruttorie degli Uffici o Enti pubblici, trattandosi di atti interni che devono ancora estrinsecarsi in un provvedimento dotato di autonomia.

Vanno decise dal giudice ordinario le controversie nelle quali il fisco abbia già riconosciuto al contribuente il diritto al rimborso, come spesso avviene per il canone Rai, o nel caso in cui la richiesta di rimborso di imposte  sia stata riconosciuta da  una sentenza passata in giudicato[75]       

La controversia per  il rimborso della somma versata in eccesso a titolo di condono ex lege n. 47/1985  appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo (e non a quella del giudice tributario)[76]

Appartiene alla competenza del giudice tributario la controversia — promossa da privati nei confronti del  gestore del servizio idrico integrato– che abbia  ad oggetto l’entità della tariffa del suddetto servizio; , in quanto,  sebbene nel regime scaturito dalla dichiarazione d’illegittimità  costituzionale dell’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 33, come   sostituito dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, sia venuta meno l’espressa esclusione di tali controversie dall’ambito della  giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di   pubblici servizi, tuttavia la Corte costituzionale, con la sentenza n.    204 del 2004, nel ridefinire l’ambito della predetta giurisdizione     esclusiva, ha precisato che questa postula l’inerenza della   controversia ad una situazione di potere della PA , mente la controversia avente ad oggetto rapporti individuali di utenza non vede coinvolta la PA. come autorità. Nè la giurisdizione del giudice   amministrativo è configurabile per il fatto che la controversia investa l’atto amministrativo generale con il quale sono determinate le tariffe per i vari tipi di utenze, atteso che al riguardo viene in   rilievo il potere del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 5 della legge  20 marzo 1865, n. 2248, all. E, di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, la cui efficacia condizioni l’esistenza ed il contenuto del diritto sostanziale costituente l’oggetto del processo. Per gli stessi  motivi, è  altresì esclusa la   giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, prevista  per l’impugnativa di provvedimenti  amministrativi  afferenti al  regime delle acque pubbliche (nel caso di specie era in discussione la pretesa dell’ente gestore di applicare retroattivamente la nuova tariffa).[77]

Tuttavia si è anche affermato che  la  tariffa  del  servizio   idrico intergrato, di cui al d.lgs. n. 152 del  2006,  art.  156,    costituisce un’entrata di diritto privato e per la riscossine delle somme dovute attraverso iscrizione a ruolo affidato al concessionario  è necessario che il debito  risulti da titolo avente efficacia esecutiva (e tale qualifica non hanno   le  fatture della  s.p.a.  gestore  del  servizio  idrico  integrato)[78]

Sono invece di competenza del giudice amministrativo le  controversie  aventi ad oggetto non la misura dei corrispettivi  dovuti, bensì la legittimità dell’atto amministrativo di cui si chieda  l’annullamento, ma non la  disapplicazione dell’atto.

 

3.  Rapporti tra processo tributario e processo amministrativo

 

Sussiste il dovere generale per il giudice tributario di riconoscere la rimozione per annullamento di un atto generale o presupposto, con conseguente ripristino ex tunc della situazione giuridica preesistente, e tale dovere prescinde dall’estensione del giudicato ai soggetti che non hanno assunto la qualità di parti nel giudizio.[79]

Il giudicato di annullamento di atti generali o indivisibili  si estende a tutti i soggetti interessati, pur non aventi qualità di parte.[80]

Non esiste un principio di assoluta autonomia delle singole giurisdizioni in materia di verifica della legittimità di atti amministrativi. Va, infatti, considerato il potere – dovere del giudice tributario di verificare in via incidentale, al pari di altre questioni devolute ad altre giurisdizioni, la legittimità degli atti amministrativi, anche a contenuto concreto, costituenti presupposto dell’imposizione e di procedere alla loro disapplicazione, consentita, quale principio generale dell’ordinamento, anche prima dell’espresso riconoscimento contenuto nel citato art. 12, comma 2.

Tale potere non può essere esercitato quando siano intervenute pronunce definitive della giurisdi- zione competente. Tanto è vero che il giudice tributario, dinanzi al quale si prospetta una questione di illegittimità di un atto amministrativo presupposto, può disporre la sospensione del processo se la stessa questione forma oggetto di specifico giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Da ciò di- scende che, anche se non sia stata disposta la sospensione, la pronuncia del giudice amministrativo che sia nel frattempo intervenuta, soprattutto quando sia assistita da efficacia di giudicato, non può non svolgere un effetto vincolante nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento e, in particolare, ai fini della pronuncia sulla validità dell’atto amministrativo, sulla quale il giudice, diverso da quello amministrativo, non fornito di giurisdizione in via principale, deve rendere incidentalmente.[81]

A seguito dell’annullamento dell’atto amministrativo da parte del Tar ne discende, quale necessaria conseguenza, l’illegittimità dei ruoli e dei successivi atti di imposizione e di riscossione, illegittimità che non può essere dichiarata dal giudice amministrativo, stante il carattere esclusivo della giurisdizione delle commissioni tributarie, tanto più a seguito della modifica introdotta dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 32, comma 2.

Si verifica in tale caso l’effetto riflesso del giudicato (c.d. effetto di fattispecie degli atti costitutivi), risolventesi nel dovere di tutti i soggetti dell’ordinamento, ivi compresi gli altri giudici, di riconoscere l’avvenuta rimozione dell’atto annullato.

Tale dovere di riconoscimento sussiste, anche a prescindere dall’efficacia di giudicato, come nel caso in cui l’atto presupposto viene rimosso attraverso l’esercizio dell’autotutela per accertata illegittimità originaria, rimozione che opera ex tunc al pari dell’annullamento giurisdizionale.

Il principio di autonomia delle singole giurisdizioni in materia di verifica della validità degli atti amministrativi non esclude che il giudice tributario, dinnanzi al quale sia stata prospettata l’illegittimità di un atto costituente presupposto di quello impositivo, possa disporre la sospensione del processo, nel caso in cui la medesima questione formi oggetto di uno specifico giudizio pendente dinnanzi al giudice amministrativo; qualora poi, indipendentemente dalla sospensione, sia intervenuta al riguardo una pronuncia del giudice amministrativo, la stessa, soprattutto se passata in giudicato, non può non svolgere effetto vincolante nel processo tributario, non ostandovi il dovere-potere del giudice tributario, non fornito di giurisdizione in via principale, di verificare in via incidentale la validità degli atti presupposti e di procedere alla loro disapplicazione. [82]. Il sindacato incidenter tantum di un atto amministrativo presupposto dell’imposizione, finalizzato alla disapplicazione di tale atto con riflessi. sulla legittimità dell’atto impositivo impugnato, non può, infatti, comportare l’esigenza di. un contraddittorio nei confronti del soggetto autore dell’atto presupposto.[83]. Il processo tributario, peraltro, non consente l’intervento adesivo dipendente e, in generale, la partecipazione di soggetti che non siano parti del rapporto tributario, essendovi ammessi soltanto i soggetti che hanno partecipato direttamente all’emissione dell’atto impositivo o che ne sono diretti destinatari.[84]

Al fine di disciplinare i rapporti tra processo tributario e giudicato amministrativo, va rilevato che il giudicato amministrativo si ripercuote sugli atti di imposizione; la sentenza del TAR che dichiari la illegittimità dell’atto presupposto alla applicazione dell’imposta  determina la consequenziale illegittimità di tutti gli  atti impositivi senza che sia consentito al giudice tributario procedere ad una propria valutazione circa la legittimità del provvedimento regionale (neppure in relazione ai contribuenti che  non siano intervenuti nel giudizio amministrativo).

Ad esempio, la sentenza del TAR che dichiari la illegittimità della modifica tariffaria comporta la invalidità derivata degli atti di  imposizione (nel caso di specie per TARSU) emessi dal compente ufficio sulla base di tale tariffa. [85]

Il problema può porsi in termini diversi ove il giudicato amministrativo affermi la validità dell’atto in quanto  “il potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo resta escluso soltanto se la sua legittimità sia stata affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio della parte e con autorità di giudicato”[86]

 Si è affermato che “la disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario non incontra alcuna preclusione per effetto del giudicato amministrativo di rigetto della domanda di annullamento, il quale non ha ad oggetto la declaratoria di legittimità dell’atto, né gli accertamenti compiuti per pervenire a tale risultato, ma solo la mancanza nel ricorrente del diritto ad ottenerne l’annullamento; a questa regola fanno eccezione soltanto l’ipotesi in cui relativamente alla legittimità dell’atto amministrativo sia prospettabile l’intervenuta formazione di un giudicato tra le parti, in quanto la disapplicazione sia stata richiesta in un giudizio di cui sia parte la p.a., nei confronti della quale sia stata precedentemente proposta la domanda di annullamento dinanzi al giudice amministrativo”.[87]

Il giudice ordinario così come il giudice tributario sono titolari del potere di disapplicare il provvedimento amministrativo quando l’oggetto della controversia è costituito dalla pretesa di un diritto soggettivo perfetto e quando la valutazione della legittimità del provvedimento debba avvenire sol- tanto in via incidentale il che si verifica allorché l’atto amministrativo non assume rilievo come cau- sa del diritto del privato, ma come mero antecedente, sicché la questione della sua legittimità viene a prospettarsi come questione pregiudiziale in senso tecnico e non come questione principale.[88]

È consentito al giudice tributario qualificare come non conforme al diritto oggettivo una condotta coerente con la situazione giuridica determinata dalla persistente efficacia, prevista dalla legge, di un atto amministrativo.[89]

Nel giudizio ordinario si può e si deve procedere all’accertamento dell’illegittimità dell’azione amministrativa che rappresenta uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’articolo 2043 cod. civ., oltre che alle più complesse valutazioni estese all’accertamento della colpa e del nesso di causalità.

 La cd. antigiuridicità in senso oggettivo, intesa quale elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2043 c.c., non può essere accertata in via incidentale e senza efficacia di giudicato; pertanto, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio, ad esempio a seguito di giudicato, decadenza o transazione, la domanda risarcitoria deve essere rigettata, perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito.[90]

L’inoppugnabilità dell’atto è nozione solo processuale in quanto esclude l’annullamento giurisdizionale, senza incidere sulla condizione giuridica dell’atto stesso, il quale, permanendo la sua non conformità alla legge, può essere per tale ragione rimosso dal suo autore ad ogni effetto (autotutela decisoria della pubblica amministrazione), ovvero rimosso dal giudice ai fini della decisione di una controversia, con valutazione incidentale, senza effetti di giudicato, della sua illegittimità (disapplicazione ex articolo 5 legge 2248/1865, all. E).

In assenza della rimozione dell’atto, il permanere della produzione degli effetti è conforme alla volontà della legge, e la necessaria coerenza dell’ordinamento impedisce di valutare in termini di danno ingiusto gli effetti medesimi; il giudice tributario non è abilitato ad incidervi, ove trattasi di questione incidentale[91]

L’amministrazione, da parte sua, non è obbligata ad annullare di ufficio gli atti definitivi, non suscettibili, cioè, di ricorso amministrativo ordinario, non conformi a legge e può farlo solo per soddisfare uno specifico interesse pubblico, per definizione non coincidente con quello del soggetto danneggiato dall’atto.

Quindi, la situazione giuridica prodotta da un atto amministrativo può essere ritenuta non conforme al diritto oggettivo solo attuando la rimozione dell’atto stesso o con l’istituto della disapplicazione.

Il principio fondamentale di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, a cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, subirebbe un notevole vulnus ove fosse consentito far valere, sia pure ad altri fini, l’illegittimità.

Se così fosse, l’amministrazione sarebbe posta nell’alternativa o di annullare l’atto di ufficio (ammesso che l’interesse pubblico specifico possa essere fatto coincidere con l’opportunità di contenere gli obblighi risarcitori e prevalga sull’interesse degli eventuali controinteressati), ovvero tenere fermo l’assetto di interessi pur in presenza di una condanna che si fondi sull’accertamento dell’illegittimità dell’atto, con evidente contraddizione con il principio generale, espresso chiaramente dall’ordinamento, secondo cui i fatti illeciti devono essere comunque repressi.

Non è possibile, tuttavia, qualificare in termini di fatto illecito una situazione giuridica che l’ordinamento riconosce come verificata e produttiva di effetti, se non rimossa mediante gli specifici rimedi previsti.

Invero, sia nei rapporti paritetici, fuori cioè dell’ambito dell’esercizio del potere pubblico, tra cittadini e pubblica amministrazione, sia in quelli interprivati, molteplici sono le ipotesi in cui è accordato preminente rilievo all’esigenza di certezza e, al di fuori della diversa ipotesi di richiesta di autotutela, l’interessato ha l’onere di contestare la conformità al diritto di determinate situazioni mediante l’impugnazione di atti o comunque reagendo entro termini di decadenza.

 

Dott. Domenico Chindemi

 

 

 


[1] Corte Cost., sentenze n. 141/2009, n. 130 e n. 64 del 2008.
[2] Cass., ord. 30.3.2011, n. 7190.
[3] Cass., 31 maggio 2011, n. 11967; Cass. 10 dicembre 2009, n. 25794.
[4] Corte Cost., 4.5.2009, n. 141.
[5] Cass., S.U. del 14 maggio 2010, n. 11720.
[6] Cass., 16 marzo 2009, n. 6315; Cass., sez. un., 27 marzo 2007, n. 7388; Cass., Sez. Un., ord. n. 13793/04.
[7] Cass., 27.1.2011, n. 1864.
[8] BUZZONE, Interessi per ritardato rimborso fino alla notifica dell’ordinativo di pagamento (Commento a Cass. sez. tribut. 30 marzo 2001, n. 4760), in Corriere trib., 2001, 1670.
[9] Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Bolzano, 28.11.2007, n. 349.
[10] Cass., SS.UU., 24.10.2007, n. 22266.
[11] Cass., SS.UU., 05.06.2008, n. 14827.
[12] Corte Cost., 14/05/2008, n. 130.
[13] Cfr. Cass. 31.3.2008, n. 8283. Pacifica è, infatti, la giurisdizione dell’ giudice ordinario per le controversie riguardanti: a) esecuzione forzata (art. 9 c.p.c.); b) opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.); c) opposizione agli atti esecutivi; d) opposizione di terzo; e) risarcimento danni contro l’agente della riscossione, Cass. 15.11.2006, n. 23019; f) controversie tra soggetto attivo e passivo iva.
[14] Cass., 6 aprile 2006, n. 6996.
[15] Deve ritenersi escluso dalla competenza delle Commissioni tributarie ogni questione attinente il pedaggio autostradale che ha natura contrattuale, trattandosi di rapporto tra proprietario o concessionario di autostrade a pedaggio ed automobilista utente; il pagamento del pedaggio (ove previsto) determina la nascita di un rapporto contrattuale, poiché quest’ultimo configura un “prezzo pubblico”, costituendo il corrispettivo versato per l’utilizzazione di un’opera già compiutamente realizzata per fini di interesse generale, Cass. 13.1.2003, n. 298, in Corriere Giuridico, 2003, 1165.
[16] La controversia avente ad oggetto il pagamento della somma per l’utilizzazione dei servizi di navigazione aerea e di rete, resi ad un vettore da parte dell’ENAV (Ente Nazionale di Assistenza al Volo), che è ente di diritto pubblico, non spetta alla giurisdizione tributaria, atteso che la prestazione pecuniaria richiesta dall’Eurocontrol (Organizzazione europea per la sicurezza della Navigazione aerea), quale corrispettivo dei predetti servizi di navigazione aerea e di rete resi dall’ENAV a società private, non si configura quale tributo, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo modificato dall’art. 12 della legge n. 448 del 2001. Infatti, nel nuovo assetto normativo della materia, conseguente all’entrata in vigore della legge n. 575 del 1995, di adesione dell’Italia alla Convenzione internazionale di cooperazione per la sicurezza della navigazione aerea (Eurocontrol), firmata a Bruxelles il 13 dicembre 1960, il termine <Tariffe> è utilizzato in armonia con le espressioni contenute nella Convenzione stessa (agli artt. 6, comma primo – lett. e – e 20) e nell’accordo multilaterale relativo ai canoni di rotta, fatto a Bruxelles il 12 febbraio 1981 e reso esecutivo il Italia con la citata legge n. 575 del 1995, che qualifica la somma dovuta per ogni volo effettuato nello spazio aereo definito dall’art. 1, come canoni di rotta. Inoltre, la legge n. 665 del 1996, sulla trasformazione in ente di diritto pubblico economico dell’azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale (ENAV), qualifica espressamente, all’art. 7, comma terzo, come Tariffe (a decorrere dal 1 gennaio 1996) le tasse già istituite, con la legge n. 411 del 1977, per la utilizzazione di installazioni e del servizio di assistenza alla navigazione aerea in rotta, e con il DL n. 77 del 1989, conv. nella legge n. 160 del 1989, per i servizi di assistenza in rotta, CASS, SS.UU., ord 29.10.2004, n. 20959.
[17] Spetta alle commissioni tributarie la giurisdizione in ordine al ricorso avverso la cartella esattoriale emessa per la riscossione della tassa e della soprattassa dovute in caso di trasporto di persone su autocarri appartenenti ad aziende agricole o industriali senza l’autorizzazione di cui agli artt. 28 e 29 del d.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39: le tasse automobilistiche hanno infatti natura indiscutibilmente tributaria, e dunque, alla luce dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come sostituito dall’art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (ed integrato dall’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248), il relativo contenzioso è devoluto alla giurisdizione del giudice tributario, il quale è pertanto chiamato a decidere sia sull’ammontare della tassa di circolazione dovuta, sia sulle sanzioni conseguenti all’utilizzazione di un veicolo senza che sia stata versata la tassa nella misura adeguata al servizio prestato, Cass. SS.UU., 24/07.2007 n. 16289.
[18] Cass. 8.2. 2008, n. 3001, la S.C. ha precisato che il fatto che la cartella esattoriale non contenga puntuali indicazioni circa la fonte del credito fatto valere può rendere inidoneo l’atto a determinare il decorso dei termini di impugnazione o costituire fonte di responsabilità civile per il concessionario, ma non incide sulla giurisdizione.
[19] Corte Cost., 14.3.2008, n. 64. per un commento critico a tale sentenza DE MITA, Il Sole24ORE del 15 marzo 2008.
[20] Cass, SS.UU., nn. 25551/2007; Cass. SS.UU., n. 13902/2007; Cass. SS.UU. n. 1611/2007; Cass. SS.UU., n. 14864/2006; Cass. SS.UU., n. 1239./2005; Cass. SS.UU., n. 5462 del 2004; Cass. SS.UU., n. 12167/2003.
La Consulta evidenzia che tali decisioni circa la natura non tributaria del COSAP, che – per il numero elevato, la sostanziale identità di contenuto e la funzione nomofilattica dell’organo decidente – costituiscono diritto vivente, prospettano una ricostruzione plausibile dell’istituto, non in contrasto con i sopra ricordati criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per individuare le entrate tributarie. Non sussistono ragioni, pertanto, perché questa Corte proceda ad una autonoma valutazione circa la natura del COSAP, Corte Cost. 14.3.2008, n. 64.
[21] Corte Cost. 14.3.2008, n. 64. Cass. 8.11. 2010 n.  22628.
[22] Cfr Corte Cost. n. 23/1968.
[23] Corte Cost., ord n 161 del 2007.
[24] Cass, S.U. 5.6.2008, n. 14831; l’orientamento precedente, ormai superato, riteneva, invece, che attesa la natura, sostanzialmente sanzionatoria, degli istituti dell’ipoteca legale e del fermo amministrativo, sussisteva la giurisdizione del giudice tributario allorquando l’impugnazione concernesse i vizi del procedimento consistenti nella omessa previa notifica dell’atto presupposto (cartella), anche quando si tratti di obbligazione non tributaria. (CTP MI 29.11.2007, n. 395) e ritenendo che il novellato art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 prescindeva dalla natura del credito tutelato, CTP Caserta 24.9.2007 n. 270.
[25]
[26] Cass., n. 18541/03; Cass. nn. 139; 181; 12598; 17934 del 2004.
[27] Cass., ord., SSUU 5.3.2008, n. 5902 in applicazione di tale principio, le Sezioni unite della S.C., hanno affermato la sussistenza della giurisdizione tributaria in un caso in cui l’Agenzia delle Entrate competente aveva riconosciuto il diritto al rimborso nei confronti di una società di persone ma aveva anche comunicato la propria intenzione di non procedere alla restituzione della somma richiesta, a causa di alcuni carichi pendenti per uno dei soci della stessa società; la S.C., pertanto, ha dichiarato che non spettava al tribunale ordinario il potere concedere il decreto ingiuntivo nei riguardi dell’Agenzia delle Entrate ed ha disposto la prosecuzione della controversia davanti alla Commissione tributaria.
[28] Cass. 31 maggio 2011, n. 11967, Cass. 10 dicembre 2009, n. 25794.
[29] Cass., S.U., 27 gennaio 2010, n. 1626; Cass., 26 giugno 2009, n. 15031.
[30] Cass., ord. 26 giugno 2009, n. 15047.
[31] Cass., SS.UU., 17/04/2009, n. 9142.
[32] Cass., SS.UU., n. 11720/2010.
[33] Cass., SS.UU., n. 1625/2010.
[34] Corte Cost., 8/05/2009, n. 141; Corte Cost. n. 18/2010.
[35] Gli adesivi che contrassegnano il nome e il logo dell’azienda, presenti sui tre lati del bagno chimico posto in un cantiere edile, comportano per l’impresa l’obbligo di versare l’imposta comunale di pubblicità; C.T.P. MILANO, 14/10/2009, n. 252.
[36] Cass. S.U., 5.5.2011, n. 9840. La qualificazione del contributo unificato come entrata tributaria è contenuta nella sentenza della Corte costituzionale 11 febbraio 2005, n. 73.
[37] Cass., 10 marzo 2011, n. 5689. 
[38] Cass., SS.UU., n. 16281/2010; Cass., Sez. SS.UU., 23/04/2009, n. 9668.
[39] Cass., Sez. SS.UU., n. 22622/2010.
[40] Cass.,  27/1/2010, n. 1625.
[41] Corte Cost., n. 238/2009; Cass., Ord., 18.11.2010, n.  23291; Cass., S.U., n. 14903/2010.
[42] Corte Conti,  Parere 11 novembre  2010, n. 65.
[43] Cass. 3 novembre 2010, n.  22377.
[44] Cass., S.U., 26.1.2011, n. 1780.
[45] Cass., S.U., 26.1.2011, n. 1782.
[46] Cass., 10.3.2011, n. 5689.
[47] Cass., S.U., n. 13549/2005.
[48] Cass.,  5 maggio 2011, n. 9841.
[49] Cass., 4 marzo 2010, n. 5287.
[50] Cass., 24 giugno 2011, n. 13911;Cass., S.U., 4 febbraio 2008, n. 2509 e 7 febbraio 2007, n. 2686.
[51] Cass., S.U.11.1.2011, n. 1864.
[52] DAMI, I cortocircuiti interpretativi del rapporto tra IVA e TIA, in Corr. Trib., 2011, n. 5, p. 388; LO IACONO, Ancora problemi per l’illegittima applicazione dell’Iva sulla Tia, in Il fisco, 2010, n. 16, fasc. 1, p. 2474;; MESSINA, Effetti riflessi della natura tributaria della TIA, in Corr. Trib., 2011, n. 20, p. 1587; VOZZA, Assoggettabilità della TIA all’IVA, in Corr. Trib., 2010, n. 7, p. 537.
[53] Cass., Ord. 29.3.2011, n. 7102.
[54] Cass., 18 marzo 2010, n. 6539.
[55] Cass., 18 marzo 2010, n. 6539.
[56] Cass., 18 marzo 2010, n. 6539; Cass.n. 3001/2008.
[57] Cass., 8.2.2008, n. 3001.
[58] Cass., S.U., 15.5.2007, n. 11082.
[59] Cass., ord., Sez. SS.UU., 18/02/2009, n. 3817.
[60] Cass. ord., 18 maggio 2011, n. 10872.
[61] Cass. ord., 30 marzo 2011, n. 7190.
[63] Consiglio di Stato, 9 novembre 2005, n. 6269 in www.giustizia-amministrativa.it.
[64] Cass 13 luglio 2005 n. 14692.
[65] Cass 16 marzo 2009, n. 6315; Corte Cost.  ordinanze n. 165 e 414/ 2001; Corte Cost. , sentenza n. 240/2006.
[66] Cass 16 marzo 2009, n. 6315;  Cass., Sez. un., 4 marzo 2008 n. 5791; Cass., Sez. un., 25 luglio 2007 n. 16412.
[67] Cass., n. 181 del 2004.
[68] Cass., 29/01/2008 n. 1907.
[69] Cass., SS.UU., 27.3.2007, n. 7388.
[70] Cass., SS.UU., 24.7.2007, n. 16293, cit., 6427; Cass., SS.UU, 22.3.2006, n. 6265.
[71] Cass.., 31 maggio 2011, n. 11965.
[72] Cass.., SS.UU., 31.07.2007, n. 16871, in Guida al Lavoro, 2007, 48 , con nota di D’ANDREA, Danno da svalutazione e competenza del Giudice tributario; la soluzione di questioni di giurisdizione, in quanto diretta alla individuazione del giudice munito di potere-dovere di decidere sulla domanda, è necessariamente strumentale rispetto a tale decisione, sicché, quando sia venuto meno l’interesse delle parti ad una pronuncia sul merito della pretesa – in ordine alla quale era necessario verificare la giurisdizione del giudice adito – resta precluso per difetto di tale requisito di ammissibilità dell’impugnazione, il motivo attinente alla giurisdizione; Cass., S.U., n. 7104 del 2007; Cass., SS.UU., nn. 4486/1992, Cass., S.U., n. 6226 del 1997, Cass., S.U., n. 12365/2004.
[73] Cass. S.U., n. 10840/2003.
[74] Cass., 20.11.2007, n. 24011.
[75] Cass., S.U., 24.9.2010, n. 20073.
[76] Cass., 31maggio 2011, n. 11965.
[77] Cass., ord., 1.12.2010, n. 24306. 
[78] Cass., ord., 4 luglio 2011, n. 14628. 
[79] Cons. St., 16 maggio 2005, n. 1068.
[80] Cons St. 12 maggio 1981, n. 211; Cons. St., n. 224 del 1998.
[81] Cass. 31/07/2007, n. 16937; Cass. n. 5929/07; Cass. n. 6265/06.
[82] Cass. 31/07/2007, n. 16937.
[83] Cass. 31/07/2007, n. 16937.
[84] Cass. 31/07/2007, n. 16937; Cass. n. 18541/03; Cass. nn. 139, 181, 12598, 17934 del 2004.
[85] Cass. 31.1. 2011, n.  2199.
[86] Cass. 15 febbraio 2007, n. 3390.
[87] Cass. 19 ottobre 2006, n. 22492.
[88] Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538. Nel caso in esame è stata ritenuta evidente l’immediata diretta e non occasionale collegabilità del richiesto risarcimento all’asserita illegittimità della delibera di esclusione: la pretesa risarcitoria risulta infatti espressamente fondata sul presupposto della contestata legittimità dell’atto di esclusione. Il richiesto accertamento circa la legittimità di detto atto non investe pertanto una questione pregiudiziale da affrontare e risolvere incidenter tantum ma costituisce un elemento essenziale del thema decidendum. Cfr. Cass., SS.UU., n. 500/99; Cass. n. 2588/02. Cass. n. 2588/02.
[89] Cfr. Cass., SS.UU., n. 500/99.
[90] Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538.
[91] Cass., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4538.

MC redazione

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