La domanda di risarcimento dei danni è pur sempre regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento

Lazzini Sonia 24/02/11
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Ed invero, anche se proposta innanzi al Giudice Amministrativo, la domanda di risarcimento dei danni e’ pur sempre regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Il risarcimento non e’, infatti, una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo, richiedendosi che venga allegata e provata dal danneggiato , oltre che la lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, la sussistenza di un danno ingiusto, del nesso causale tra condotta ed evento e della colpa o del dolo dell’Amministrazione, trattandosi di fattispecie risarcitoria per fatto illecito ex art.2043 c.c..

La sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, in particolare, è da ritenersi provata nell’ipotesi in cui l’adozione della determinazione illegittima, che apporti lesione all’interesse del soggetto, si sia verificata in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione a cui deve ispirarsi l’attività amministrativa nel proprio esercizio, ovvero quando l’azione amministrativa sia caratterizzata da negligenza nell’interpretare ed applicare la vigente normative (ex plurimis: Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 2010 , n. 6797; Consiglio Stato , sez. IV, 03 agosto 2010 , n. 5160; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 07 luglio 2010 , n. 1545; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 24 agosto 2010 , n. 4880).

Orbene, nel caso in esame, parte ricorrente si e’ limitata ad affermare che la colpa dell’amministrazione “ pur non potendosi ritenere in re ipsa, deve ritenersi provata non essendovi stata esecuzione volontaria di un provvedimento del Giudice” (cfr.ricorso introduttivo): tale affermazione è, ad avviso del Collegio, del tutto generica e nulla prova circa la sussistenza del predetto elemento costitutivo della fattispecie.

D’altra parte, la stessa motivazione della sentenza con cui è stato annullato il provvedimento che costituisce presupposto della richiesta risarcitoria non offre al ricorrente elementi atti a dimostrare la sussistenza di una condotta gravemente negligente dell’ amministrazione.

In essa, infatti, si legge che:

” (…) il provvedimento gravato, esecutivo della delibera del Consiglio Comunale n. 68 del 12.11.1996 per la sistemazione e riqualificazione dell’area urbana di via IV novembre, e’ stato sostanzialmente fondato su due argomenti:

1) il manufatto «non risulta soddisfare le prescrizioni dell’art. 20 del d.lgs. 285/92 (nuovo Codice della Strada) in quanto non esiste marciapiede e quindi non risulta libera una zona per la circolazione dei pedoni larga non meno di ml. 2.00 e che lo stesso ricade nel triangolo di visibilità delle intersezioni stradali di cui all’art. 18 co. 2 del d.lgs. 285/92»;

2) «la concessione di suolo pubblico rilasciata nell’anno 1953 al sig. ********** per la installazione di un chiosco da adibirsi a vendita di bibite, volturata alla sua morte alla vedova **************** non è stata rinnovata né è stata mai volturata al Sig. Ricorrente ********, per mancanza di presupposti e pertanto è da ritenersi scaduta» “.

Tali circostanze non risultano smentite né dalla motivazione in questione né dagli atti del presente giudizio e, di conseguenza, devono ritenersi correttamente valutate dall’amministrazione.

Ciò che si contesta all’amministrazione è, invece, di non avere instaurato il contraddittorio con il soggetto inciso dall’emanando provvedimento, ai sensi dell’art.7 della legge n.241/90, così da consentigli di apportare il proprio contributo cosicchè il procedimento potesse essere eventualmente concluso con l’adozione di una sanzione meno afflittiva.

Ma tale violazione di legge, a fronte dei presupposti di fatto sopra evidenziati e della considerazione che la scelta in ordine alla sanzione sarebbe rimasta pur sempre nella sfera di discrezionalità dell’amministrazione, non appare in ogni caso indice di una condotta gravemente negligente della P.A.

Cio vale ad escludere la fondatezza della domanda, anche a prescindere dall’esame della sussistenza degli ulteriori presupposti- anch’essi non approfonditi nel ricorso introduttivo- ed in primis del profilo connesso al nesso causale tra provvedimento dell’amministrazione e danno ingiusto, in relazione al comportamento del ricorrente che, in luogo di esperire i rimedi previsti dall’ordinamento chiedendo la sospensione cautelare del provvedimento (pure successivamente impugnato innanzi al TAR), ha provveduto egli stesso alla demolizione.

Per lo stesso motivo, si puo’ prescindere dall’esame relativo alla sussistenza della prova e della relative quantificazione di un danno patrimoniale ulteriore rispetto alla perdita del valore economico del bene e del costo sostenuto per la demolizione (sub specie di perdita di avviamento commerciale e/o dei proventi dell’attivita’, non risultando tale aspetto specificato e dettagliato neppure nella CTU agli atti) in relazione al periodo per il quale il ricorrente non ha potuto esercitare la propria attività, successivamente trasferita in altro chiosco.

In conclusione, la domanda deve essere respinta.

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 27083 del 7 dicembre 2010 pronunciata dal Tar Campania, Napoli

 

N. 27083/2010 REG.SEN.

N. 01474/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 1474 del 2007, proposto da:***

contro***

PER IL RISARCIMENTO DEI DANNI SUBITI A SEGUITO DELLA RIMOZIONE DI MANUFATTO ADIBITO AD ATTIVITA’ COMMERCIALE

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Portici;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 novembre 2010 la dott.ssa ***************************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato il 23.02.2007 il ricorrente ha citato in giudizio il Comune di Portici per ottenere il risarcimento dei danni subìti a causa della demolizione del manufatto sito alla via Diaz – angolo via IV novembre (chiosco adibito alla somministrazione di alimenti e bevande), eseguita con mezzi propri dallo stesso ricorrente in esecuzione dell’ordinanza n.309 del 3.06.1999, notificata il 21.06.1999 (adottata sul presupposto dell’asserita inottemperanza alle prescrizioni di cui al D.lvo 285/92), successivamente annullata con sentenza del TAR Napoli n.20585 del 15.12.2005.

Il ricorrente, in particolare, nell’unico motivo di ricorso proposto ha fatto presente di avere ottemperato prontamente alla demolizione – il cui termine era fissato in gg.5- al solo fine di evitare le maggiori spese derivanti da una esecuzione in danno e che, proprio a tal fine, la demolizione era stata preceduta dalla previa redazione di un verbale di consistenza delle opere, datato 1.07.1999.

Pertanto, atteso l’annullamento del provvedimento da parte della suindicata sentenza TAR Napoli n.20585/05, ha chiesto il risarcimento del danno subito, in virtù dello smantellamento del locale e della cessazione dell’attivita’ commerciale precedentemente ivi svolta, quantificato in euro 66.932,81 (come da CTP allegata agli atti e già protocollata in Comune il 22.07.1999).

L’amministrazione si è costituita con atto depositato in data 29.10.2010 per contrastare il ricorso e nella pubblica udienza del 4.11.2010 la causa è stata assunta in decisione.

 

DIRITTO

Il ricorso deve essere respinto.

Ed invero, anche se proposta innanzi al Giudice Amministrativo, la domanda di risarcimento dei danni e’ pur sempre regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Il risarcimento non e’, infatti, una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo, richiedendosi che venga allegata e provata dal danneggiato , oltre che la lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, la sussistenza di un danno ingiusto, del nesso causale tra condotta ed evento e della colpa o del dolo dell’Amministrazione, trattandosi di fattispecie risarcitoria per fatto illecito ex art.2043 c.c..

La sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, in particolare, è da ritenersi provata nell’ipotesi in cui l’adozione della determinazione illegittima, che apporti lesione all’interesse del soggetto, si sia verificata in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione a cui deve ispirarsi l’attività amministrativa nel proprio esercizio, ovvero quando l’azione amministrativa sia caratterizzata da negligenza nell’interpretare ed applicare la vigente normative (ex plurimis: Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 2010 , n. 6797; Consiglio Stato , sez. IV, 03 agosto 2010 , n. 5160; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 07 luglio 2010 , n. 1545; T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 24 agosto 2010 , n. 4880).

Orbene, nel caso in esame, parte ricorrente si e’ limitata ad affermare che la colpa dell’amministrazione “ pur non potendosi ritenere in re ipsa, deve ritenersi provata non essendovi stata esecuzione volontaria di un provvedimento del Giudice” (cfr.ricorso introduttivo): tale affermazione è, ad avviso del Collegio, del tutto generica e nulla prova circa la sussistenza del predetto elemento costitutivo della fattispecie.

D’altra parte, la stessa motivazione della sentenza con cui è stato annullato il provvedimento che costituisce presupposto della richiesta risarcitoria non offre al ricorrente elementi atti a dimostrare la sussistenza di una condotta gravemente negligente dell’ amministrazione.

In essa, infatti, si legge che:

” (…) il provvedimento gravato, esecutivo della delibera del Consiglio Comunale n. 68 del 12.11.1996 per la sistemazione e riqualificazione dell’area urbana di via IV novembre, e’ stato sostanzialmente fondato su due argomenti:

1) il manufatto «non risulta soddisfare le prescrizioni dell’art. 20 del d.lgs. 285/92 (nuovo Codice della Strada) in quanto non esiste marciapiede e quindi non risulta libera una zona per la circolazione dei pedoni larga non meno di ml. 2.00 e che lo stesso ricade nel triangolo di visibilità delle intersezioni stradali di cui all’art. 18 co. 2 del d.lgs. 285/92»;

2) «la concessione di suolo pubblico rilasciata nell’anno 1953 al sig. ********** per la installazione di un chiosco da adibirsi a vendita di bibite, volturata alla sua morte alla vedova **************** non è stata rinnovata né è stata mai volturata al Sig. Ricorrente ********, per mancanza di presupposti e pertanto è da ritenersi scaduta» “.

Tali circostanze non risultano smentite né dalla motivazione in questione né dagli atti del presente giudizio e, di conseguenza, devono ritenersi correttamente valutate dall’amministrazione.

Ciò che si contesta all’amministrazione è, invece, di non avere instaurato il contraddittorio con il soggetto inciso dall’emanando provvedimento, ai sensi dell’art.7 della legge n.241/90, così da consentigli di apportare il proprio contributo cosicchè il procedimento potesse essere eventualmente concluso con l’adozione di una sanzione meno afflittiva.

Ma tale violazione di legge, a fronte dei presupposti di fatto sopra evidenziati e della considerazione che la scelta in ordine alla sanzione sarebbe rimasta pur sempre nella sfera di discrezionalità dell’amministrazione, non appare in ogni caso indice di una condotta gravemente negligente della P.A.

Cio vale ad escludere la fondatezza della domanda, anche a prescindere dall’esame della sussistenza degli ulteriori presupposti- anch’essi non approfonditi nel ricorso introduttivo- ed in primis del profilo connesso al nesso causale tra provvedimento dell’amministrazione e danno ingiusto, in relazione al comportamento del ricorrente che, in luogo di esperire i rimedi previsti dall’ordinamento chiedendo la sospensione cautelare del provvedimento (pure successivamente impugnato innanzi al TAR), ha provveduto egli stesso alla demolizione.

Per lo stesso motivo, si puo’ prescindere dall’esame relativo alla sussistenza della prova e della relative quantificazione di un danno patrimoniale ulteriore rispetto alla perdita del valore economico del bene e del costo sostenuto per la demolizione (sub specie di perdita di avviamento commerciale e/o dei proventi dell’attivita’, non risultando tale aspetto specificato e dettagliato neppure nella CTU agli atti) in relazione al periodo per il quale il ricorrente non ha potuto esercitare la propria attività, successivamente trasferita in altro chiosco.

In conclusione, la domanda deve essere respinta.

In relazione ai fatti che hanno originato la presente controversia, si ritiene che sussistano i gravi motivi di cui all’art.92 cpc, come riformato dalla novella 69/09, per compensare tra le parti le spese di lite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

Respinge la domanda risarcitoria in epigrafe.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Saverio Romano, Presidente

*****************, Consigliere

Ines ************************, Primo Referendario, Estensore

 

L’ESTENSORE            IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/12/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

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