La deontologia delle professioni tecniche coinvolte nelle situazioni di emergenza

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Sommario: 1. Premessa 2. La distinzione tra professionista e imprenditore 3. La natura delle norme deontologiche 4. Le norme deontologiche in emergenza. 5. La distinzione tra pubblicità e accaparramento di clientela 6. Conclusioni.

1. Premessa.

I codici deontologici di alcune professioni tecniche, in particolare ingegneri, architetti, geometri e geologi, prevedono l’intervento gratuito dei professionisti in caso di calamità naturali, richiamando più o meno espressamente l’art. 2 della Costituzione, secondo il quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e l’art. 9, relativo alla “tutela del paesaggio, e del patrimonio storico e artistico della Nazione”. Nei casi in cui è prevista la prestazione professionale in emergenza deve essere svolta, come accennato, senza alcuno scopo di profitto, neppure indiretto.

 

2. La distinzione tra professionista e imprenditore.

In via preliminare va sottolineato che nonostante il richiamo di alcuni codici deontologici all’art. 41 della Costituzione, il professionista non è da considerare un imprenditore, bensì un lavoratore.

L’opinione della Corte costituzionale si è del resto ormai consolidata, nel senso dell’inapplicabilità alle professioni intellettuali del disposto contenuto nell’art. 41 Cost. La Corte fa rientrare nell’articolo in questione tutte quelle attività industriali, commerciali ed agricole che, anche se non esercitate in forma d’impresa in senso stretto, hanno alcune caratteristiche comuni, rinvenibili, di volta in volta, nella collocazione all’interno di un processo produttivo o nell’incidenza che esplicano sull’andamento dell’economia nazionale o nella finalizzazione economica. Tali caratteristiche differenziano professionista e imprenditore.

La Corte costituzionale, infatti, ha affermato che ben difficilmente l’art. 41 Cost. si presta ad essere adottato come parametro della legittimità costituzionale di norme disciplinanti l’attività dei professionisti intellettuali, attività che, nell’ordinamento vigente è, tuttora, differenziata da quella imprenditoriale[1].

La professione intellettuale è lavoro, ovvero manifestazione particolare di quell’attività considerata così elevata da essere posta a fondamento dello stesso ordinamento repubblicano. Il mondo delle professioni in questione è, quindi, tenuto nettamente separato dalla disciplina costituzionale in tema di iniziativa economica privata.

Del resto tale distinzione non si pone di certo in contrasto con i riferimenti normativi europei dato che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea la collocazione della libertà professionale (art. 15)[2] e della  libertà di impresa (art. 16), impongono  uno statuto autonomo e distinto del lavoratore autonomo e dell’imprenditore[3].

È innegabile, infatti, che la Carta di Nizza garantisce la libertà professionale e la distingue in modo netto dalla libertà d’impresa, riconducendo la libertà di esercitare una professione al più ampio tema del diritto al lavoro.

La Carta di Nizza distingue la libertà professionale ex art. 15 dalla libertà d’impresa, prevista invece dall’art. 16, collocando l’esercizio di una professione liberamente scelta o accettata nell’ambito del “diritto di lavorare”. Questo diritto/libertà è inserito tra le prime enunciazioni di maggiore spessore, essendo posposta solo alle disposizioni che riguardano la dignità e anteposta alle disposizioni che riguardano l’uguaglianza delle persone.

Il professionista iscritto in albi fornisce una garanzia in più rispetto all’imprenditore perché tenuto al rispetto delle norme deontologiche.

 

3. La natura delle norme deontologiche.

I codici deontologici ed i principi etici posti ad indirizzo dell’attività professionale sono da considerare vere e proprie norme giuridiche.

La giurisprudenza civile ha a lungo oscillato tra orientamenti opposti. Per molto tempo la Suprema Corte ha condiviso l’opinione per cui i precetti deontologici dovessero essere definiti ora extragiuridici[4], ora norme interne, tali, comunque, da non assurgere mai al rango di norme dell’ordinamento generale e da costituire espressione di una vera e propria attività normativa[5]. Di conseguenza non sarebbero stati assoggettabili al criterio interpretativo di cui all’art. 12 delle preleggi, costituendo espressione dei poteri di autorganizzazione degli ordini (o collegi). Sul piano della funzione ermeneutica tali argomentazioni non potevano che portare ad affermare che le disposizioni in questione andavano interpretate nel rispetto dei canoni ermeneutici fissati dagli articoli 1363 c.c. e seguenti per cui sarebbero stati denunziabile per cassazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni con la specifica indicazione di quelli in concreto disattesi oltre che il vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.[6].

Più recentemente la Corte Suprema si è pronunciata anche a Sezioni unite, in senso difforme a questo orientamento, equiparando le norme deontologiche emanate dagli organi professionali alle norme di legge e fonti di diritto in senso oggettivo al sindacato giurisdizionale per cassazione[7].

La Corte di cassazione a Sezioni unite, segnando un passo avanti decisivo in merito al problema della qualificazione delle norme endogruppo o, meglio, sulla natura giuridica degli ordini professionali e su quella delle fonti di auto-regolazione da essi prodotte, ha confermato le elaborazioni più recenti che, accreditando la qualificazione dei codici deontologici quali fonti di diritto in senso oggettivo, mirano ad intensificare ed a rendere più penetrante il controllo della giurisprudenza di legittimità nei confronti dei  Consigli nazionali.

Chiamata ad interpretare una norma del codice deontologico forense la Suprema Corte ha sposato la tesi della qualificazione delle norme deontologiche quali norme in senso oggettivo, stabilendo che le regole deontologiche sono norme giuridiche obbligatorie, integranti il diritto oggettivo e possono essere scrutinate con ricorso per cassazione ai fini di valutarne la ragionevolezza.

I codici deontologici ed i principi etici posti ad indirizzo dell’attività professionale sono ritenuti necessari anche dalle istituzioni comunitarie, e prioritari rispetto all’esigenza di tutelare la concorrenza, per il corretto esercizio della professione. La Corte di giustizia europea (sentenza Wouters del 19 febbraio 2002) ha considerato legittimi gli effetti restrittivi della concorrenza relativa ai contenuti di un regolamento deontologico. È stata sancita la compatibilità con la normativa europea sulla concorrenza del divieto imposto dall’ordine degli avvocati olandese (Nederlandse Orde van Advocaten) di costituire associazioni professionali tra avvocati e revisori dei conti. La stessa Commissione Europea riconosce le norme deontologiche ed etiche come elemento significativo per lo svolgimento dell’attività professionale.

 

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4. Le norme deontologiche in emergenza.

Vi sono varie norme deontologiche che devono essere tenute ancor più presenti in situazioni di emergenza, prima ancora che in situazioni ordinarie. Nel codice deontologico degli ingegneri si afferma che gli iscritti all’albo hanno coscienza che l’attività da essi svolta è una risorsa che deve essere tutelata e che implica doveri e responsabilità nei confronti della collettività e dell’ambiente ed è decisiva per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile e per la sicurezza, il benessere delle persone, il corretto utilizzo delle risorse e la qualità della vita. Si afferma anche che sono tenuti costantemente a migliorare le proprie capacità e conoscenze ed a garantire il corretto esercizio della professione secondo i principi di autonomia intellettuale, trasparenza, lealtà e qualità della prestazione, indipendentemente dalla loro posizione e dal ruolo ricoperto nell’attività lavorativa e nell’ambito professionale. E’, altresì sottolineato che è dovere deontologico primario dell’ingegnere svolgere la professione in aderenza ai principi costituzionali ed alla legge, sottrarsi ad ogni forma di condizionamento diretto od indiretto che possa alterare il corretto esercizio dell’attività professionale e, in caso di calamità, rendere disponibili le proprie competenze coordinandosi con le strutture preposte alla gestione delle emergenze presenti nel territorio.

Nello stesso codice viene richiamato anche l’art. 4, comma 2, della Costituzione in base al quale  “ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Nel codice dei geologi, come in altri codici deontologici, vi è il richiamo al termine decoro. Si afferma, infatti, che il geologo non deve subire passivamente la volontà del committente quando questa sia in contrasto con il prestigio, la dignità o il decoro del geologo stesso e/o della categoria.

I termini dignità e decoro sono concetti generali di deontologia e possono variare nel tempo e nello spazio. Per renderli più chiari si deve fare riferimento ai codici deontologici e alle pronunce disciplinari che nel corso del tempo li hanno definiti e concretizzati. Vengono, in primo luogo, considerati principi di carattere generale e concetti guida a cui si ispira ogni regola deontologica, giacché essi rappresentano le necessarie premesse per l’agire dei professionisti e mirano a tutelare l’affidamento che la collettività ripone negli stessi. Per questa ultima ragione deve ritenersi disciplinarmente responsabile il professionista, per le condotte che, pur non riguardando strictu sensu l’esercizio della professione, ledono comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, e compromettono l’immagine della professione quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità nella categoria.

Va sottolineato che la tutela del prestigio e dell’immagine della professione sono importanti perché mirano a salvaguardare l’affidamento dei terzi in buona fede. Tra professionista e cittadino, in effetti, vi sono delle asimmetrie informative dato che il cittadino ha solitamente meno informazioni rispetto al professionista. Per tale ragione deve essere tutelato il cittadino che in buona fede si affida al professionista.

L’art. 7 del codice dei geologi afferma che il decoro del professionista consiste essenzialmente nella compostezza ed esaustività della presentazione professionale, nella capacità di assunzione di responsabilità, nella disponibilità di efficace corredo tecnico-professionale, nella disponibilità e prontezza di utilizzo di aggiornati strumenti, nell’organizzazione di efficace ufficio ed equipe professionale, nella cura della sollecitudine degli interventi, nella disponibilità di mezzi e strutture per l’aggiornamento continuo, anche dei collaboratori e del personale dipendente, nella capacità di interloquire prontamente ed efficacemente con la committenza e con enti ed istituzioni private e pubbliche e con il pubblico in genere, nell’indipendenza intellettuale, nella promozione della professione e nel rifiuto di compensi non adeguati al livello della prestazione.

L’art. 8 dello stesso codice afferma che vi deve essere disinteresse privato negli incarichi pubblici, sottolineando che il geologo può fornire prestazioni professionali a titolo gratuito solo in casi particolari e documentati quando sussistono valide motivazioni ideali ed umanitarie ovvero condizioni di dichiarata pubblica calamità.

 

5. La distinzione tra pubblicità e accaparramento di clientela.

Il riferimento al principio del decoro è particolarmente importante anche per poter distinguere la pubblicità informativa del professionista, sempre consentita, rispetto all’accaparramento di clientela, che rappresenta invece un illecito deontologico.

Per pubblicità informativa, che si differenzia dalla pubblicità commerciale, deve intendersi la possibilità per il professionista di comunicare ai terzi una serie di informazioni inerenti alla sua attività professionale.

Il codice deontologico degli architetti, ad esempio,  all’art. 36 ammette con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni. Si esplicano anche quelli che devono essere i caratteri di questa pubblicità che deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.

Anche al geologo è consentito fornire informazioni a terzi sulla propria attività professionale, sulla struttura dello studio e sulla sua composizione, sulla struttura della società o dell’associazione, previa acquisizione del consenso scritto di tutti i professionisti che ne fanno parte.

Sono consentite le indicazioni di dati personali del geologo e degli altri professionisti che compongono lo studio, la società o l’associazione, sempre previa acquisizione del consenso scritto degli stessi, comprendendo oltre ai dati anagrafici, ai numeri di telefono e di fax, nonché agli indirizzi di posta elettronica ed ai siti “internet”, anche le lingue straniere conosciute, nonché i libri e gli articoli pubblicati e le referenze provenienti dalle Università, sempre che siano attinenti all’attività professionale.

Per contro l’art. 24 dello stesso codice deontologico dei geologi afferma che non è consentito offrire la propria prestazione personale a mezzo di illecite attività di accaparramento di clientela. Ed è vietato l’utilizzazione della propria posizione presso Amministrazioni ed Enti pubblici per acquisire incarichi professionali direttamente o per interposta persona.

In cosa consiste, quindi, l’illecito disciplinare da violazione del divieto di accaparramento della clientela? In primo luogo il professionista non può acquisire clienti mediante agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro. Non deve offrire o corrispondere a colleghi o terzi provvigioni, omaggi o prestazioni per ottenere incarichi professionali. Non deve offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare.

Non è sempre facile distinguere l’accaparramento di clientela rispetto alla generica pubblicità e in questo caso si può prendere spunto dalla copiosa giurisprudenza del Consiglio nazionale forense (CNF).

E’ stata ritenuta deontologicamente rilevante e quindi sanzionata per violazione dei precetti indicati, la condotta dell’avvocato in alcuni casi specifici.

La sentenza n. 93/2019, ad esempio, ha rigettato il ricorso di due avvocati ritenuti responsabili e quindi sospesi dall’attività, per aver inviato una lettera a un soggetto con offerta di prestazioni professionali di assistenza per il ricorso previsto dalla legge Pinto e per aver fatto contattare il soggetto dalla segretaria per informarlo della rinuncia al mandato da parte del suo difensore.

Il Consiglio Nazionale Forense, inoltre, con sentenza n. 23/2019 ha confermato la responsabilità disciplinare a carico dell’avvocato che, cercando di accaparrare clientela, prometteva prestazioni professionali tramite internet a prezzi “particolarmente” vantaggiosi.

E’ considerato ancora accaparramento di clientela l’informazione diffusa anche attraverso internet fondata sull’offerta di prestazioni professionali gratuite ovvero a prezzi simbolici o comunque caratterizzata da contenuti commerciali, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico. In particolare, ciò che costituisce illecito disciplinare non è lo svolgimento di pubblicità professionale, che è legittimo nel suo aspetto informativo e promozionale, ma le modalità e il contenuto di un messaggio caratterizzato dalle evidenti sottolineature del dato economico e della marcata natura commerciale dell’informativa. L’avvocato è tenuto ad adottare un comportamento che non sfoci nella condotta di accaparramento di clientela. Il divieto di accaparramento della clientela è finalizzato a evitare che il professionista svolga attività che, al solo scopo di acquisire clienti, si rivelino di disvalore deontologico perché attuate con modalità non conformi a correttezza e decoro (CNF, n 244/2017). Dalla violazione di tale divieto discende un illecito disciplinare che prescinde «dall’elemento intenzionale del dolo o della colpa essendo sufficiente solo la volontà consapevole dell’atto che si compie» (CNF, n. 182/2014, richiamata da CNF, n. 218/2018).

L’avvocato che abbia il proprio recapito professionale presso una agenzia infortunistica pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di indipendenza e rientrante in una ipotesi di accaparramento di clientela disciplinarmente sanzionato (a nulla rilevando l’eventualità che tale accaparramento non sia stato posto in essere) (Cons. Naz. Forense, 23-04-2005, n. 95). Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che nel suo sito internet enfatizzi le attività dello studio con un messaggio autocelebrativo e autocompiaciuto volto all’accaparramento di clientela (Cons. Naz. Forense, 18-06-2002, n. 82). L’avvocato che ospiti nel suo studio gratuitamente la sede del Codacons locale, consentendo ad un responsabile di detta associazione di ricevere clienti e fornendo allo stesso pareri scritti su questioni di carattere legale, pone in essere un comportamento lesivo del dovere di probità proprio della classe forense configurando tale comportamento una ipotesi di accaparramento di clientela (Cons. Naz. Forense, 08-03-2001). Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante il professionista che, sulla carta intestata, utilizzi diciture e si attribuisca competenze tali da costituire pubblicità suggestiva allo scopo di accaparramento della clientela. (Cons. Naz. Forense, 23-11-2000, n. 176). Ai fini della rilevanza disciplinare, sotto il profilo della violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza professionale, dell’attività di un avvocato diretta all’accaparramento di clientela, non è richiesto che la condotta sia in contrasto con una specifica normativa o integri gli estremi di atto sotto altri profili illecito” (Cass. civ. Sez. Unite, 10-08-2000, n. 566).“L’invio, da parte di un avvocato, di lettere a sindaci di comuni con la richiesta di fornire gli elenchi nominativi dei dipendenti interessati alla proposizione di un’azione giudiziaria già promossa con successo, comporta la violazione del principio deontologico di divieto di accaparramento di clientela a cui dovrebbe uniformarsi il comportamento dell’avvocato (Cons. Naz. Forense, 28-12-1999, n. 289). Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante, perché volto all’accaparramento di clientela, l’avvocato che con telefonate a familiari, con contatti diretti e con distribuzione di biglietti da visita in luoghi di detenzione o di accoglienza di rei e di persone inclini alla delinquenza, in spregio anche alle acquisizioni di difesa da parte di altri colleghi, si attivi costantemente per ottenere incarichi professionali” (Cons. Naz. Forense, 22-07-1997). L’avvocato che, a mezzo di interviste e comunicazioni rese agli organi di stampa enfatizzi sé, la sua professionalità e le proprie tecniche processuali e di difesa, pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante perché tendente ad accaparramento di clientela (Cons. Naz. Forense, 30-10-1996).

E’ stata, invece, considerata “legittima la divulgazione in un articolo di stampa, che tratta di studi multimediali, del sito internet relativo ad uno studio legale in cui vengono illustrate le modalità di utilizzo del collegamento e si faccia comunque riferimento ad un eventuale incarico fiduciario che potrà essere affidato al professionista titolare” (Cons. Naz. Forense, 18-06-2002, n. 82). E’, altresì, considerato legittimo l’invio da parte del professionista a terzi di una lettera contenente l’informazione di una innovazione giurisprudenziale proveniente dalla Corte di giustizia europea, e di sicuro interesse collettivo, in quanto pone in essere un comportamento deontologicamente corretto e non rientrante nelle ipotesi vietate di pubblicità e di accaparramento di clientela (Cons. Naz. Forense, 25-03-2002, n. 25).

In sostanza la pubblicità informativa deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione del professionista ed, in particolare, di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale.

 

  1. Conclusioni.

Quando il professionista viene chiamato a prestare la propria opera professionale in modo gratuito, come detto, non deve esservi scopo di lucro neppure indiretto. Per questo anche la semplice distribuzione di biglietti da visita potrebbe costituire un illecito disciplinare. Sebbene l’attività di carattere informativo, sia del tutto lecita, compresa la diffusione di brochure informative purché i contenuti siano conformi ai codici deontologici, nel caso di situazioni di emergenza, come può essere un terremoto o un alluvione, è la situazione a determinare un possibile profilo di criticità perché si rischia di “strumentalizzare” una prestazione professionale che va resa gratuitamente per dovere di solidarietà ex art. 2 della Costituzione, come richiamato più o meno espressamente dai codici deontologici delle professioni tecniche.

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Note

[1] Corte cost., 6 ottobre 2014, n. 228.

[2] L. Perilli, Art. 15, in La Carta dei diritti dell’Unione Europea. Casi e materiali a cura di G. Bisogni, G. Bronzini, V. Piccone, Chimenti, 2009, 187; G. Demuro, Art. 15, in AA.VV., in L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a cura di R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto, Bologna, 2001, 125 ss.

[3] A. Lucarelli, Art. 16, in AA.VV., in L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a cura di R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto, Bologna, 2001, 125 ss.; L.Perilli, Art. 16, in La Carta dei diritti dell’Unione Europea. Casi e materiali a cura di G. Bisogni, G. BronzinI, V. Piccone, Chimenti, 2009, 197.

[4] Cass., sez. un., 23 luglio 1993, n. 8239.

[5] Cass., sez. un., 17 gennaio 1991, n. 401.

[6] Cass., sez. un., 10 luglio 2003, n. 10842.

[7] Cass., sez. un., 14 luglio 2004, n. 13078.; Cass., sez. un., 23 marzo 2004.

Avv. Marina Chiarelli

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