La democrazia della federazione russa durante la guerra con l’Ucraina

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Il conflitto in Ucraina, oltre a determinare uno stravolgimento dell’ordine mondiale e gravissime sofferenze per le popolazioni di quel Paese, ha anche causato un’ulteriore involuzione delle istituzioni russe già caratterizzate come una “democrazia di facciata”.

Indice

1. Aggiornamenti sul conflitto in Ucraina

L’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022, definita dal presidente russo Vladimir Putin, come una “operazione militare speciale”, si protrae ormai da molti mesi e non si intravede ancora la fine del conflitto.[1]
La guerra, in questa fase, è caratterizzata da una controffensiva delle forze ucraine, nelle regioni del Donbass e del Lunesk, cui si oppone una serie di bombardamenti aerei e terrestri nelle principali città ucraine, soprattutto nella città di Cherson di recente liberata, diretti a colpire soprattutto le infrastrutture energetiche, con gravissimo disagio per la popolazione civile anche a causa della imminente stagione invernale.
Infatti, è entrato con prepotenza nel conflitto il “Generale Inverno” in quanto le condizioni climatiche dei mesi compresi tra l’autunno e l’inverno in territorio russo e ucraino, rappresentano il nemico più temibile per qualunque esercito; anche per gli stessi soldati russi non abituati ad affrontare situazioni di ristrettezza, guerriglia e gelo come quelle in cui sono da mesi invischiati in territorio ucraino.[2]
Quindi, che la stagione invernale sia un ostacolo allo svolgimento delle operazioni belliche, soprattutto in zone strategiche come il Donbass con terreni fangosi e forti precipitazioni, è un fatto incontroverso. La timida spinta verso una tregua e i tentativi di negoziati delle scorse settimane scaturivano dalla consapevolezza di questa realtà; ma citati massicci bombardamenti russi sulle città ucraine hanno però escluso di fatto tale prospettiva. E ora arriva anche un nuovo ordine da parte del capo del Cremlino, che verosimilmente sta preparando una nuova controffensiva e ha deciso di inviare ulteriori migliaia di soldati russi incontro al gelo del fronte ucraino.
In questo frangente, il fronte del Donetsk si conferma la principale linea di scontro fra i due schieramenti, con battaglie di trincea, raid e guerriglia. Il centro di questa contesa militare è sempre più la città di Bakhmut, strategica per il controllo Donbass.
Si tratta, quindi, di un fronte estremamente delicato per la Russia, che ne affida dunque la gestione a professionisti della guerra: i mercenari del Gruppo Wagner e le truppe cecene, autori di una feroce controffensiva. L’ingente sacrificio richiesto dal Cremlino impone, però, una mobilitazione pressoché continua di uomini, soprattutto coscritti; quindi, soldati non motivati, non professionisti, appena reclutati, impreparati e inviati al fronte con armamento insufficiente.
Pertanto, oltre a dover contrastare le truppe, addestrate ed equipaggiate dall’Occidente a guida Usa, i soldati russi devono affrontare il gelo della Piana sarmatica e il fango del campo di battaglia. Molti diventano inabili o vengono addirittura uccisi dall’ipotermia, letteralmente congelati. Infatti, le temperature di notte scendono sotto lo zero termico; per cui molti cercano di combattere il freddo bevendo alcol. Si delinea, quindi, uno scenario di degrado e di estrema pena, che evoca guerre che erano impensabili nel Nuovo Millennio.
Pertanto, il freddo è un’arma che si sta ritorcendo contro gli stessi soldati russi, ma che in origine Putin ha scelto di utilizzare per fiaccare la resistenza ucraina. Su questa scia si inseriscono i menzionati bombardamenti a tappeto sulle centrali energetiche del Paese invaso, per costringere gli ucraini a lasciare le proprie case. Ma sono anche i russi a subirne gli effetti, in seguito all’ordine di restare in edifici danneggiati e trincee ridotte a pozze d’acqua ghiacciata, senza la possibilità di riscaldarsi se non mediante falò improvvisati. Neanche gli indumenti sarebbero adeguati al grande freddo in arrivo nei prossimi giorni.
I russi hanno però l’ordine, “di non lasciare un metro al nemico”. Una disposizione che evoca precedenti sinistri come la Battaglia di Stalingrado che, nel 1942, ci ha restituito una delle frasi più celebri e insieme angoscianti della storia del Novecento: “Non un passo indietro”. Questo era il contenuto dell’ordine 227 diramato da Stalin il 28 luglio di quello stesso anno durante l’assedio di Stalingrado, oggi Volgograd, da parte delle truppe naziste. Tutti i membri dell’Armata Rossa che si fossero ritirati o avessero lasciato le loro postazioni contro i tedeschi, senza aver ricevuto ordini in tal senso, sarebbero stati inseriti in un “battaglione di disciplina” e, cioè, sarebbero diventati “carne da cannone”.
Allo stato del conflitto, se si osserva su una cartina la linea di demarcazione del Donbass, che va dal Lugansk a Nord-Est e scende frastagliata passando da Zaporizhzhia arrivando a Kherson, si può immaginare come una continua e ininterrotta striscia di fuoco. I russi hanno subito anche attacchi dietro le linee controllate, come ad esempio i raid contro la flotta del Mar Nero in Crimea, il danneggiamento del ponte Kerch che collega la Crimea con la Russia e, da ultimo, il bombardamento di una centrale elettrica nella regione russa di Kursk. Da qui la reazione e la linea dura con l’utilizzo di missili su tutto il territorio ucraino centro-orientale e il successivo riposizionamento delle Forze ucraine sulla riva sinistra del fiume Dnper verso sud, che hanno portato alla riconquista nelle aree di Mykolaive Kherson
Si deve, anche rilevare, che il gap tecnologico e di equipaggiamento tra le truppe ucraine e quelle russe incide in modo rilevante nel conflitto, mentre il presidente della federazione russa sarebbe, secondo alcuni analisti della Federazione, pronto a sacrificare migliaia di soldati per rafforzare le posizioni russe, “congelandole” per l’inverno e pensando già a una nuova offensiva in primavera. Un progetto che potrebbe costare la vita a più di centomila uomini, che sembrano rappresentare unicamente una “voce di spesa” (come nei bollettini ufficiali della Prima Guerra Mondiale) di quella grande azienda che è l’esercito di una nazione.
Intanto, si rileva che al fronte sono arrivati praticamente tutti i 300mila neo arruolati annunciati nelle scorse settimane e, entro la primavera 2023, il ministero della Difesa russo intende preparare altri 120mila nuovi soldati da inviare in Ucraina, compensando le perdite.
Per quanto concerne le sanzioni irrogate dall’occidente, deve obiettivamente rilevarsi che vi è stata un’aspettativa erronea, basata sull’idea che le sanzioni avrebbero costretto le truppe a ritirarsi entro l’estate. Sulla base dei dati a disposizione, le sanzioni hanno avuto un impatto rilevante sull’economia russa, ma il loro effetto immediato è stato inferiore al previsto. Perché si abbia un risultato significativo è, però, necessario un maggiore periodo di tempo e non c’è comunque alcuna garanzia che potranno portare a quest’esito. Nel frattempo, le sanzioni e la reazione russa alle stesse stanno avendo un contraccolpo rilevante sull’economia europea che, seppure in maniera diversa da Paese a Paese, dipende in buona parte dalla carenza di gas russo. I governi occidentali a lungo andare potrebbero modificare le proprie strategie, dal momento che dipendono dal supporto dell’opinione pubblica. Le sanzioni avevano inizialmente anche un obiettivo interno: bisognava dimostrare ai cittadini che si stava facendo tutto il possibile per rispondere all’aggressione. Quando la campagna bellica è rallentata, e l’opinione pubblica si è resa conto dei pesanti costi economici, le sanzioni sono state messe in discussione.[3]
Infine, con riferimento alla proposta dalla Commissione europea, appoggiata dal governo degli Stati Uniti, di istituire un tribunale ad hoc per giudicare i crimini commessi dalla Russia in Ucraina, si ritiene che la stessa sia inopportuna, in quanto, sin dall’inizio della guerra sta già indagando la Corte Penale Internazionale (International Criminal Court – ICC-), con sede all’AIA e, presumibilmente, a breve verranno adottati i primi provvedimenti.[4] Inoltre, si tratterebbe di un organo squisitamente politico privo dei necessari requisiti di terzietà e imparzialità.

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2. La forma di governo presidenziale in Russia al tempo della guerra in Ucraina

Con l’invasione dell’Ucraina, pertanto, la Russia ha fatto cadere la maschera manifestando il suo vero volto di regime autoritario e incurante del diritto internazionale.
Infatti la federazione russa costituisce il principale esempio di una democrazia di facciata caratterizzato da una gestione accentrata del potere da parte del Presidente, dalla debolezza del parlamento, dal ruolo importante di gruppi affaristici e criminali, dalla repressione nei confronti dell’opposizione, dall’assassinio di giornalisti indipendenti, dalle leggi limitative dei diritti civili e politici, tutti aspetti che si sono aggravati dopo l’invasione dell’Ucraina.[1]
L’involuzione delle istituzioni democratiche in Russia era iniziata già prima dello scoppio del conflitto, da quando il tentativo di riforma del sistema politico avviato da Gorbaciov tra il 1988 e il 1990, in seguito alla disgregazione dell’URSS, era sostanzialmente fallito per l’arretratezza del sistema economico sociale e la difficoltà di un’effettiva affermazione del pluralismo.
Infatti, una tendenza presidenzialista si era già verificata nella federazione russa e nella maggioranza degli Stati aderenti alla Comunità di Stati Indipendenti (CSI) i quali hanno recepito il modello russo disciplinato dalla Costituzione del 1993.
Si tratta di un modello dualistico che prevede al vertice dello Stato un presidente eletto dal popolo, il quale, oltre ad essere Capo dello Stato, “determina le direttive fondamentali della politica interna ed estera del Paese”[2]ed è titolare di poteri forti non soggetti a controfirma: di iniziativa legislativa, di veto sulle leggi, superabile solo con la maggioranza dei due terzi della Camere, di ricorso a decreti (ukaze) e ordinanze mediante i quali legifera in tutte le materie non coperte da una disciplina legislativa, di comando delle forze armate, di dichiarazione dello stato di emergenza, di ricorso al referendum.
Inoltre, il governo è doppiamente responsabile verso il presidente, che lo può revocare e verso la Duma (la Camera rappresentativa dell’intera nazione composta da 450 deputati), la quale può esprimere il suo dissenso e, qualora entro tre mesi la Duma voti nuovamente la sfiducia, può optare tra l’accettazione delle dimissioni del governo e lo scioglimento dell’Assemblea.
Il presidente del governo è nominato dal Capo dello Stato con l’assenso della Duma, ma, se questa respinge per tre volte la candidatura proposta, il presidente della federazione procede al suo scioglimento.
Pertanto, vi era già nella Costituzione del 1993 un netto squilibrio a vantaggio del presidente che non trova eguali in alcuna forma di governo occidentale e che è il frutto congiunto della tradizione zarista, di quella socialista e dell’imitazione di modelli occidentali.[3]
Un’altra spinta verso un regime ultra presidenzialista si è avuta con il referendum costituzionale del 2020 che è stato indetto per approvare o respingere una legge di revisione costituzionale che include cambiamenti radicali alla Costituzione e prevede, tra l’altro, l’autorizzazione al presidente in carica di ricandidarsi per altri due mandati presidenziali di sei anni e misure sociali su pensioni e stato sociale, nonché misure conservatrici come il divieto costituzionale del matrimonio tra persone dello stesso sesso,[4] l’educazione patriottica nelle scuole e il porre la Costituzione al di sopra del diritto internazionale.[5] [6] [7]
Le votazioni si sono tenute dal 25 giugno al 1º luglio 2020 e il referendum è legalmente indicato come un “voto tutto russo” poiché non si è svolto in conformità con la legge costituzionale federale sul referendum.
A riprova della dubbia legittimità del referendum sono state rivolte varie critiche alla Commissione Centrale Elettorale della Federazione Russa, soprattutto dopo che una videocamera ha intercettato un dipendente della CCE che ha aperto le urne mettendo molte schede elettorali, probabilmente false, nelle urne del SÌ a San Pietroburgo. La vicenda ha fatto molto scalpore e ha provocato  varie manifestazioni organizzate dai leader delle opposizioni ed, in particolare, dal democratico Aleksej Naval’nyj, che nel 2019 è stato escluso dalle elezioni presidenziali del 2024  e che di recente è stato condannato a nove anni di reclusione per reati di opinione.
Questo processo autocratico è proseguito con il tentato assassinio dello stesso Alexej Nawalny, il soffocamento sistematico della restante autogestione locale, la completa uniformazione dei media, culminata nella liquidazione dell’emittente televisiva Rain TV e della stazione radio Echo Moskwy, la repressione dei cosiddetti liberali di sistema all’interno del governo e infine l’aggressione contro l’Ucraina.[8]
Con tale ultima scelta, il regime esce dalla cornice democratica, dove viveva marginalmente, ed entra nello spazio delle cosiddette “democrature”. Dopo aver criticato nel 2018 la paralisi della democrazia occidentale, incapace di realizzare in concreto i suoi ideali e quindi di tener fede alle sue promesse, adesso il leader del Cremlino getta via anche la maschera di apparenza democratica che circonda il suo esercizio del potere nel segno della forza che prende il posto del diritto.[9]
Altri segnali inequivocabili della involuzione delle istituzioni democratiche russe sono il ricorso abnorme ai decreti presidenziali (ukaze) con i quali il presidente sta legiferando anche nella materia penale, come, ad esempio, la previsione di una sanzione fino a dieci anni di reclusione per tutti coloro che definiscono “guerra” l’intervento militare in Ucraina e non “un’operazione speciale”, la chiusura di tutte le testate giornalistiche e televisive di opposizione ed una spietata repressione delle manifestazioni non violente di protesta, con conseguente arresto dei partecipanti

3. Conclusioni

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rappresenta una vicenda dolorosa per tutta l’umanità, che determinerà i suoi effetti anche nei prossimi anni, ma ha anche segnato un punto di non ritorno per le istituzioni democratiche russe, quantomeno con l’attuale regime.
Con la guerra, quindi, questo processo si è accentuato ulteriormente in quanto Putin cerca proprio nel rifiuto della regola democratica quell’investitura imperiale smarrita nel confronto con l’Europa e l’America e non più ritrovata. È come se avesse intuito che c’è un altro mondo nel quale può farsi sovrano, senza i limiti della storia e della sovranità altrui a ingombrargli la strada nell’universo democratico.
La conseguenza è il passaggio in un’area sconosciuta dove le nuove regole sono tutte da ricostituire e decide l’arbitrio del più forte, fuori dal perimetro della solidarietà e della giustizia. In un rovesciamento della gerarchia dei valori, infatti, si tratta di farsi campione della “controdemocrazia”, leader dell’anti-occidentalismo.[14]
Tale deriva antidemocratica, incurante dei più elementari principi democratici, ma anche di quelli di umanità e del rispetto della vita umana, quindi, non solo nel lungo termine potrà essere efficacemente contrastato dallo stesso popolo russo, ma subirà anche il giudizio inappellabile della Storia, oltre a quello della quasi totalità dei regimi del pianeta. 

  1. [1]

    P. Gentilucci, L’evoluzione della forma di governo semipresidenziale in Ucraina, in Diritto.it del 22 novembre 2022.

  2. [2]

    M. Perriello, L’inverno non ferma la guerra, l’ordine di Putin ai suoi soldati, in Quifinanza del 27 novembre 2022.

  3. [3]

    G. Spatafora, L’esito delle battaglie di Kiev e del Donbas ha sorpreso tutti. Ma il conflitto si preannuncia lungo e costoso. Molti dubbi e poche certezze, se non l’urgenza di una svolta energetica per l’Europa, in Il Mulino del 31 agosto 2022

  4. [4]

    P. Gentilucci, L’invasione dell’Ucraina e il nuovo volto dell’impero russo: i possibili crimini di guerra, in Diritto.it del 1° aprile 2022, pag.11. 

  5. [5]

    G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, Giappichelli editore, Torino, 2016, p. 281.

  6. [6]

    Art. 80, comma 3, della Costituzione del 1993.

  7. [7]

    G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi, Diritto pubblico comparato, cit. p.440.

  8. [8]

    Russian voters back referendum banning same-sex marriage, in NBC News. URL consultato l’8 luglio 2020

  9. [9]

    https://rg.ru/2020/02/21/stal-izvesten-vopros-dlia-golosovaniia-po-popravkam-v-konstituciiu.html

  10. [10]

    https://meduza.io/en/feature/2020/06/12/look-after-yourself-vote-electronically

  11. [11]

    https://www.reuters.com/article/us-russia-putin-vote/russia-to-vote-on-july-1-on-constitutional-changes-that-could-extend-putins-rule-idUSKBN2382Q6

  12. [12]

    I. Petrov, Russia e democrazia: un accostamento utopico?, in Swissinfo del 3 luglio 2022.

  13. [13]

    E. Mauro, La controdemocrazia di Vladimir Putin, in La Repubblica del 21 marzo 2022.

  14. [14]

    E. Mauro, La controdemocrazia di Vladimir Putin, cit.

Prof. Paolo Gentilucci

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