La Corte Costituzionale e la non opzionalita’ del rispetto dei Fondamentali, anche se si tratta dei “furbetti del cartellino”.

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Premessa

In questi tempi in cui sotto l’egida delle pressioni esterne e interne, dell’emergenza vera o supposta o male interpretata, i percorsi democratici e non solo normativi si trovano a subire delle deviazioni più o meno percepite, suona come un improvviso richiamo alla realtà la lettura di una sentenza della Corte Costituzionale che, a distanza di qualche anno, bacchetta l’Esecutivo in veste di Legislatore Delegato per non avere rispettato il mandato ricevuto.

È quanto avvenuto con la recente sentenza della Corte Costituzionale 9.1-10.4.20, n. 61, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Corte Costituzionale, n. 16 del 15.4.20, in materia di danno all’ immagine della Pubblica Amministrazione per falsa attestazione di presenza in servizio da parte di un dipendente.

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La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei Conti dell’Umbria

La Corte dei Conti,  sezione giurisdizionale regionale per l’Umbria, aveva adito la Corte Costituzionale dovendo  dare applicazione all’art. 55-quater, comma 3-quater,  ultimo periodo, del decreto legislativo n. 165/2001, in esito alla riconosciuta responsabilità per danno patrimoniale e per il danno di immagine, a carico di un dipendente pubblico,  conseguente alla  falsa attestazione della presenza in servizio e dovendo, pertanto, quantificare il danno all’immagine per la P.A. in base ai criteri indicati da detta norma, in un importo non  inferiore a 6 volte l’ultima mensilità percepita dal dipendente.

La Corte dei Conti promuoveva il ricorso dubitando della Costituzionalità della norma in riferimento all’art. 76 della Carta Fondamentale, oltreché’ all’art. 3 in combinazione con gli artt. 23 e 117 della stessa Carta oltreché’ agli Atti Europei in materia di tutela dei diritti dell’uomo.

Nel caso di specie, si trattava di una dipendente che per 4 giornate lavorative aveva attestato l’uscita dal lavoro alle ore 18 mentre in realtà era uscita alle ore 17, comportamento che aveva determinato, per l’Amministrazione di appartenenza, un danno patrimoniale di euro 64,81, e un danno di immagine, quantificato in applicazione della norma censurata in euro 20.000,00.

L’art. 55- quater del decreto legislativo 165/2001 ( Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), al comma 3-quater, introdotto dal decreto legislativo 116/2016 (art. 1, c.1, lett.b), all’ultimo periodo stabilisce che “L’ammontare del danno [ di immagine] risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia”.

A giudizio del Collegio rimettente il legislatore delegato del d.lgs. n.  116 del 2016, avrebbe violato i limiti della delega ricevuta con l’art. 17, comma 1, lettera s), della legge n. 124 del 2015, il quale fissa il seguente principio e criterio direttivo: «introduzione di norme   in   materia   di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare».

La violazione consisterebbe nel fatto che esulerebbe dalla delega la possibilità di dettare norme in materia di azione di responsabilità amministrativa spettante alla Procura regionale della Corte dei

conti, come anche di dettare norme di diritto sostanziale in merito alla quantificazione del danno

all’immagine fissando una soglia minima inderogabile, che potrebbe essere sproporzionata rispetto al caso concreto, con violazione dei principi di gradualità e proporzionalità della sanzione.

Secondo il Giudice rimettente, il limite della delega sarebbe fissato espressamente dall’art. 17 della legge delega sopracitata (125/2015), nella funzione di “… mero «riordino» del decreto legislativo in materia disciplinare…”.

La difesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri

L’ intervento in giudizio del Presidente  del  Consiglio  dei ministri,  rappresentato  e  difeso  dall’Avvocatura  generale  dello Stato, ha dedotto  l’infondatezza delle questioni sollevate;  in particolare, per quanto riguarda la violazione della delega ricevuta, è stato osservato che  le norme censurate rappresenterebbero un “…coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, non essendo il suo compito limitato a una <<mera scansione linguistica>> delle previsioni contenute nella delega…”, richiamando, al riguardo, quanto sostenuto in varie occasioni dalla stessa Corte Costituzionale (vengono richiamate le sentenze n. 10 del 2018, n. 278 del 2016, n. 194 e n. 146 del 2015, n. 47 e n. 229 del 2014, n. 426  del  2008).

In tal senso, secondo detto Intervento, la tutela del diritto all’immagine della P.A. introdotto dal decreto legislativo 116/2016 non confliggerebbe con l’art. 76 della Costituzione, in quanto strettamente connessa alla responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti ed entrambi gli istituti sarebbero finalizzati a tutelare il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Per quanto concerne la  fissazione del minimo, secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri,  esso sarebbe  giustificato dal fatto che il comportamento integra una violazione particolarmente grave, comportando un pregiudizio, il danno all’immagine, difficile da quantificare, e tenendo conto che la lesione concerne principi  – l’imparzialità e buon andamento della P.A. – , di rango costituzionale (art. 97), anche nel caso in cui la violazione sia avvenuta in maniera episodica o comunque con limitazione ad alcune ore o in un’unica giornata di lavoro.

L’excursus normativo del danno all’immagine

La Corte Costituzionale, ripercorrendo il quadro normativo della fattispecie del danno all’immagine della P.A., dalla iniziale elaborazione giurisprudenziale del giudice contabile, al decreto legge 78/2009 convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, (art. 17 comma 30-ter della stessa ), agli atti normativi successivi che sono via via intervenuti a regolamentarla, evidenzia come si può affermare che la responsabilità per danno all’immagine della PA di appartenenza è configurabile solo nelle ipotesi tassativamente previste .

La Corte Costituzionale rammenta poi come, relativamente alla particolare fattispecie del   danno

all’immagine prodotto in conseguenza di indebite   assenze   dal servizio, la legge delega 4 marzo 2009, n. 15, ha previsto espressamente la modifica della disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, per garantire maggiore efficienza al lavoro negli uffici pubblici punendo i fenomeni di scarsa produttività e assenteismo e sempre espressamente ha stabilito, tra i

principi e criteri direttivi, di prevedere, a carico del dipendente, il risarcimento del danno patrimoniale pari alla retribuzione ricevuta nei periodi di assenza dal lavoro nonché’ il danno   all’immagine   subito

dall’amministrazione.

In attuazione di detta delega, il d.lgs.  n.  150 del 2009 ha introdotto nel d.lgs. n. 165 del 2001 l’art.  55-quinquies (False attestazioni o certificazioni), prevendo, tra l’altro, al comma 2, l’obbligo del risarcimento a carico del dipendente infedele anche del danno all’immagine subito dalla Amministrazione di ppartenenza.

Successivamente, con la legge n. 124 del 2015 il legislatore ha delegato il Governo ad adottare, tra l’altro, decreti legislativi di semplificazione del “art. 16…  a)  lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa” e all’articolo 17 ha disposto che i

decreti legislativi su detto settore venissero adottati   nel rispetto, per quanto qui si tratta, dei seguenti principi   e   criteri direttivi “…s) introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare;”.

In attuazione di tale delega l’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016 ha inserito il comma 3-quater all’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, oggetto della censura del giudice rimettente.

I rilievi della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la violazione dell’art. 76 della Costituzione, partendo dal raffronto tra le due legge-delega intervenute in materia: la prima, la legge 15/2009, aveva espressamente

delegato il Governo a normare il risarcimento del danno patrimoniale e di quello all’immagine; la seconda, la legge 124/2015, ha delegato l’introduzione di norme in materia disciplinare relative al procedimento dell’azione disciplinare, per accelerarlo e rendere certi e concreti i tempi di conclusione dello stesso.

Ma oltre a ciò, la Corte ha visionato gli atti preparatori della legge delega in questione, rilevando che detta delega non era presente nel testo iniziale del disegno di legge ma è stata introdotta con un emendamento del relatore nel corso dell’esame in Senato, e accertando altresì che nella   discussione

parlamentare non si è mai trattato della questione della responsabilità amministrativa, per trarne la ulteriore conferma che la volontà del delegante era riferita solo al procedimento disciplinare. Una conferma in tal senso si rinviene anche dall’art. 16, c.2, della suddetta legge delega, ai punti a) e b), ove si limita la possibilità di emanare norme o di apportare modifiche solo per quanto necessario ad esigenze di mero coordinamento formale e sostanziale e di garanzia di coerenza giuridica, logica e sistematica delle disposizioni legislative vigenti.

La pronuncia di illegittimità Costituzionale

Sebbene il giudice rimettente avesse limitato le proprie censure all’ultimo periodo del comma 3-quater dell’art.  55-quater, dove si prevede appunto l’importo minimo di quantificazione del danno all’immagine,

la Corte Costituzionale ha rilevato che l’illegittimità riguarda anche il secondo e il terzo periodo di detto comma, che regolano tempi e procedimento avanti la Corte dei Conti, in quanto “…funzionalmente inscindibili con l’ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un’autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega.”

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Dott.ssa Gobbin Valeria

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