La Consulta interviene sull’art. 222, co. 2, decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285: vediamo come

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Corte costituzionale, sez. I, 19 febbraio 2019 (ud. 19 febbraio 2019, dep. 17 aprile 2019), n. 88 (Presidente Lattanzi, Relatore Amoroso)

E’ l’illegittimo costituzionalmente l’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui agli artt. 589-bis (Omicidio stradale) e 590-bis (Lesioni personali stradali gravi o gravissime) del codice penale, il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 222 cod. strada allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen..

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Il fatto

Dinnanzi al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, in sede di giudizio abbreviato, il pubblico ministero chiedeva il rinvio a giudizio dell’imputato per i reati di cui agli artt. 589-bis, secondo e ottavo comma, cod. pen. e 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e che all’udienza del 28 febbraio 2017 il difensore dell’imputato aveva sollevato l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 590-quater cod. pen..

In particolare, l’imputato veniva tratto a giudizio per i suddetti reati per avere guidato un’autovettura in stato di ebbrezza e per avere tamponato un autocarro in tal modo provocando la morte di uno dei soggetti trasportati su quest’ultimo mezzo nonché il ferimento di un altro trasportato e del guidatore dello stesso (fatto avvenuto dopo l’entrata in vigore della legge n. 41 del 2016).

Inoltre, dagli atti emergevano diversi elementi che, all’esito del giudizio abbreviato, avrebbero potuto comportare l’attribuzione di responsabilità concorrenti con quelle dell’imputato atteso che il guidatore dell’autocarro tamponato era a sua volta sotto l’effetto di sostanze stupefacenti del tipo cocaina sicché anche la sua condotta di guida potrebbe avere risentito di tale stato contribuendo al sinistro mentre, da un lato, il trasportato deceduto non indossava la cintura di sicurezza, dall’altro, il tratto di strada, su cui era avvenuto il sinistro, presentava illuminazione non funzionante.

L’accertamento di uno o più di queste concause del sinistro avrebbe dunque comportato l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen. con conseguente diminuzione della pena fino alla metà fermo restando che tale diminuente potrebbe però operare solo sulla quantità di pena determinata ai sensi della circostanza aggravante di cui all’art. 589-bis, secondo comma, cod. pen. poiché l’art. 590-quater cod. pen. impedisce il bilanciamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti per il reato di omicidio stradale.

Oltre a ciò, risultava come nel capo di imputazione fosse stata contestata la circostanza aggravante di aver guidato in stato di ebbrezza (art. 589-bis, secondo comma, cod. pen.) ricorrendo anche l’aumento di pena previsto dell’art. 589-bis, ottavo comma, cod. pen., per aver provocato la morte di una persona e lesioni personali ad altre due.

Pertanto, in caso di condanna, qualora il giudice avesse dovuto riconoscere la sussistenza della diminuente del concorso di colpa, costui avrebbe dovuto applicare prima l’aumento di pena per l’aggravante, e soltanto dopo la diminuzione di pena per la circostanza attenuante, stante il predetto divieto di bilanciamento delle circostanze.                                                        

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Le questioni prospettate dal giudice rimettente

 Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza del 16 maggio 2017 (r.o. n. 144 del 2017), sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-quater del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza e di equivalenza dell’attenuante speciale di cui all’art. 589-bis cod. pen..

In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente dava atto che la norma introduce, per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., una deroga alla disciplina generale prevista dagli artt. 63 e seguenti cod. pen.

In tal modo – osservava il rimettente – è stato esteso ai delitti di omicidio stradale e lesioni personali stradali il meccanismo di limitazione della discrezionalità del giudice penale nella valutazione degli aumenti e della diminuzione della pena già previsto in relazione ad altre ipotesi citandosi a tal riguardo il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti previsto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. a seguito della modifica introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), con riferimento alla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen..

In ordine alla legittimità, in via generale, di tale divieto, il rimettente richiamava la giurisprudenza della Consulta secondo cui le deroghe all’ordinaria disciplina del bilanciamento delle circostanze non devono trasmodare nella manifesta irragionevolezza e in particolare, le sentenze n. 105 del 2014 e n. 251 del 2012 che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti in particolari ipotesi.

Il rimettente osservava tra l’altro che, ricorrendo la diminuente di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen., la pena prevista dall’art. 589-bis, primo comma, cod. pen. (da due a sette anni) può ridursi fino al minimo di un anno di reclusione mentre ricorrendo, invece, l’aggravante di cui al secondo comma della medesima disposizione (pena da otto a dodici anni di reclusione), la pena minima di otto anni di reclusione potrebbe essere diminuita, ai sensi del settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. in caso di riconoscimento di concorso di colpa della parte offesa, a quattro anni di reclusione.

Là dove il divieto di bilanciamento delle circostanze previsto dalla disposizione censurata non operasse, osservava il giudice rimettente, potrebbe aversi, in caso di prevalenza della circostanza attenuante, la diminuzione fino alla metà sulla pena prevista per il delitto base sicché dal minimo edittale di due anni si scenderebbe a un anno di reclusione.

Dunque, se il risultato complessivo è che per effetto dell’art. 590-quater cod. pen. l’imputato subisce un aumento della cornice edittale pari al quadruplo, sottraeva invece al giudice la possibilità di valutare nel caso concreto la prevalenza della diminuente rispetto all’aggravante contestata potrebbe comportare un aumento sproporzionato di pena anche nel caso di percentuale minima di colpa dell’imputato; ad esempio – osservava il giudice rimettente – in un caso in cui fosse accertato nei confronti del soggetto che si sia posto alla guida in stato di ebbrezza alcoolica una colpa dell’evento mortale pari a una percentuale dell’1 per cento e del 99 per cento in capo al soggetto rimasto ucciso la pena minima sarà pur sempre di quattro anni, non potendo in alcun modo essere valutata la circostanza che la colpa sia minima e quindi come prevalente sulla circostanza della guida in stato di ebbrezza.

In sostanza, a detta del giudicante, la pena subisce un aumento esorbitante e inevitabile solo per effetto dello stato di ebbrezza e non in relazione all’effettivo contributo causale della condotta del colpevole e pertanto, essendo configurabile una evenienza processuale di questo genere, il legislatore attribuirebbe eccessiva considerazione all’integrazione dell’aggravante dello stato di ebbrezza senza tener conto che l’ipotesi di guida in stato di ebbrezza è punita a titolo contravvenzionale dall’art. 186 cod. strada.

In sintesi, la censura di legittimità costituzionale veniva esplicitata nel seguente modo: il divieto di bilanciamento delle circostanze del reato, previsto dalla disposizione censurata (art. 590-quater cod. pen.), ha l’effetto che la fattispecie dell’omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza (art. 589-bis, secondo comma, cod. pen.) risulta punita in misura sproporzionata rispetto alla fattispecie di omicidio stradale non aggravato così compromettendo anche la finalità rieducativa della pena.

A sua volta il Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza dell’8 giugno 2018 (r.o. n. 139 del 2018), sollevava questioni di legittimità costituzionale del medesimo art. 590-quater cod. pen., negli stessi termini denunciando la sospetta violazione degli artt. 3 e 27 Cost. in quanto il divieto di prevalenza o di equivalenza della circostanza attenuante di cui al settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen. e il conseguente obbligo di riconoscere la diminuzione solo sulla pena aggravata, comportano che al soggetto al quale sia contestata una delle aggravanti di cui all’art. 590-bis cod. pen., in caso di lesioni personali stradali gravi, debba essere applicata una pena minima che, ove sia riconosciuto il concorso di colpa della parte offesa, è di nove mesi di reclusione (un anno e mesi sei di reclusione, ridotti della metà) mentre là dove fosse possibile il bilanciamento e segnatamente la prevalenza dell’attenuante, la pena minima irrogabile sarebbe pari a un mese e quindici giorni di reclusione (tre mesi di reclusione, ridotti della metà) così determinando un trattamento sanzionatorio irragionevole e in contrasto con la finalità rieducativa della pena.

Riteneva il giudice rimettente che la disposizione censurata assoggettasse a sanzione eccessiva chi è ritenuto responsabile di lesioni stradali con colpa minima, aggravate (come nella specie) ai sensi del quinto comma dell’art. 590-bis cod. pen. (attraversamento di un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso) e, nel complesso, impedisse al giudice di parametrare la pena all’effettivo grado di colpa dell’imputato in rapporto a quella degli altri soggetti che hanno concorso a causare l’evento.

Inoltre, lo stesso Tribunale ordinario di Torino stimava che l’art. 222, commi 2 e 3-ter, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) – come modificato, dall’art. 1, comma 6, lettera b), numeri 1) e 2), della legge n. 41 del 2016 – nella parte in cui prevede, in caso di condanna per il reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali gravi o gravissime, rispettivamente la revoca della patente di guida (comma 2) e l’impossibilità di conseguire una nuova patente di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca (comma 3-ter), contrastasse con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza in quanto sottoponeva – senza possibilità di commisurare la sanzione amministrativa accessoria alla gravità del danno, alle modalità della condotta, all’intensità della colpa e al concorso di altri fattori – alla medesima sanzione accessoria della revoca della patente situazioni la cui ontologica diversità emerge dalla notevole differenziazione delle sanzioni penali, graduate in funzione del diverso disvalore sociale, ponendo sullo stesso piano tutte le ipotesi di lesioni gravi o gravissime (art. 590-bis cod. pen.) e di omicidio stradale (art. 589-bis cod. pen.).

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Le argomentazioni sostenute dalle parti

Fermo restando che le due ordinanze di rimessione ponevano questioni di costituzionalità strettamente connesse e pertanto i relativi giudizi incidentali venivano riuniti e decisi con un’unica pronuncia, in riferimento all’ordinanza disposta dal Tribunale di Roma, si costituiva l’imputato F.M. e, condividendo le argomentazioni dell’ordinanza di rimessione in punto di irragionevolezza della cornice edittale del contestato reato, concludeva per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata mentre, con atto depositato il 7 novembre 2017, interveniva nel presente giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato il quale chiedeva di dichiarare le questioni non fondate vertendosi in un settore in cui è ampia la discrezionalità del legislatore e in particolare in relazione a una condotta che ben può prevedere un trattamento sanzionatorio particolarmente severo trattandosi di soggetti che avendo già commesso un reato (guida in stato di ebbrezza) ne provocano un altro più grave.

A proposito dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Torino, con atto depositato in data 25 ottobre 2018, si costituiva l’imputata M. V. che, rappresentata dal difensore, aveva aderito alle argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate mentre, con atto depositato il 30 ottobre 2018, interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato che sosteneva la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale; in particolare, con riferimento all’art. 222 cod. strada, l’Avvocatura osservava che l’obbligatorietà dell’irrogazione della sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, con chiara e spiccata finalità preventiva e non repressiva, in ogni caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali gravi o gravissime, derivasse da una scelta rientrante nei limiti dell’esercizio ragionevole del potere legislativo.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte costituzionale

 La Consulta osservava prima di tutto come la questione avente ad oggetto l’art. 222, comma 3-ter, cod. strada, sollevata dal solo Tribunale ordinario di Torino, fosse inammissibile per difetto di rilevanza.

Difatti, una volta evidenziato che la disposizione censurata prevede che, nel caso di applicazione della sanzione accessoria della revoca della patente di guida di cui al quarto periodo del comma 2 del medesimo art. 222 per i reati di cui agli artt. 589-bis, primo comma, e 590-bis cod. pen., l’interessato non può conseguire una nuova patente di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca e tale termine, da un lato, è raddoppiato nel caso in cui l’interessato sia stato in precedenza condannato per i reati di cui all’art. 186, commi 2, lettere b) e c), e 2-bis, ovvero di cui all’art. 187, commi 1 e 1-bis, cod. strada, dall’altro, è ulteriormente aumentato sino a dodici anni nel caso in cui l’interessato non abbia ottemperato agli obblighi di cui all’art. 189, comma 1, e si sia dato alla fuga e una volta fatto presente che nel precedente comma 3-bis della medesima disposizione, non investito dalle censure del giudice rimettente, è prevista una durata di quindici anni per poter conseguire una nuova patente nel caso di condanna per i reati di cui all’art. 589-bis, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen., e di dieci anni nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 589-bis, quinto comma, cod. pen., si addiveniva alla conclusione secondo la quale la disposizione censurata regola, con riferimento a plurime fattispecie, il conseguimento di una nuova patente di guida dopo l’applicazione da parte del giudice penale della sanzione amministrativa della revoca della stessa in caso di condanna per il reato di omicidio stradale o di lesioni personali stradali gravi o gravissime ma il conseguimento di una nuova patente di guida, dopo un periodo di tempo più o meno lungo, determinato per legge, non è oggetto del giudizio a quo non dovendo il giudice fare applicazione di tale disposizione.

A loro volta le questioni aventi ad oggetto l’art. 590-quater cod. pen., sollevate dal GUP del Tribunale ordinario di Roma e dal Tribunale ordinario di Torino, venivano reputate invece ammissibili.

Si denotava al riguardo come oggetto dei due giudizi a quibus – il primo in sede di giudizio abbreviato innanzi al giudice dell’udienza preliminare, il secondo in sede dibattimentale nelle forme del rito ordinario – fosse la responsabilità penale di due imputati, accusati dei reati rispettivamente di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi, sicché si poneva per entrambi i giudici rimettenti il problema di applicare la disposizione censurata atteso che, per quantificare la pena, i giudici rimettenti dovevano tener conto del divieto – posto dalla disposizione censurata (art. 590-quater cod. pen.) – di bilanciamento delle circostanze aggravanti di cui all’art. 589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, cod. pen. – quanto all’omicidio stradale – e all’art. 590-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, cod. pen. – quanto alle lesioni personali stradali gravi o gravissime – con le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen..

La disposizione censurata, difatti, prevede che le attenuanti non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle aggravanti.

In questo caso, ad avviso della Corte, dunque, la prospettiva di dover fare applicazione della disposizione censurata sarebbe stata concreta avendo entrambi i giudici rimettenti identificato la circostanza aggravante e quella attenuante, ricorrenti nel caso di specie, e per le quali opera il divieto di bilanciamento.

Chiarito ciò, si evidenziava come, da un parte, il GUP del Tribunale ordinario di Roma, nel processo per omicidio stradale, dovesse tener conto dell’aggravante (ex art. 589-bis, secondo comma, cod. pen.) della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre la soglia di tasso alcolemico di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, e l’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. perché l’evento, nella specie, non era stato esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole in quanto la parte offesa, all’interno del veicolo tamponato, era anch’essa in colpa non avendo indossato la cintura di sicurezza fermo restando che il guidatore di tale veicolo era sotto l’effetto di stupefacenti e nel tratto di strada dove era avvenuto il sinistro l’illuminazione non era funzionante, dall’altra, il Tribunale ordinario di Torino, nel processo per lesioni personali stradali gravi, dovesse tener conto dell’aggravante del quinto comma dell’art. 590-bis cod. pen., contestata in ragione della violazione dell’indicazione luminosa del semaforo proiettante luce rossa per i veicoli, e l’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen., perché l’evento non era stato esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole in quanto la parte offesa, investita mentre attraversava la strada, era anch’essa in colpa non avendo rispettato l’indicazione luminosa del semaforo proiettante luce rossa per i pedoni.

Tal che se ne faceva discendere che, con queste puntuali indicazioni, entrambi i giudici rimettenti avessero soddisfatto l’onere motivazionale della rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale non essendo necessaria in particolare alcuna ulteriore, più specifica, motivazione in ordine alla possibile colpevolezza degli imputati, che era ancora sub iudice.

Sempre in via pregiudiziale, si riteneva come fosse anche ammissibile la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale ordinario di Torino e avente ad oggetto l’art. 222, comma 2, cod. strada.

Invero, essendo il giudice rimettente investito della cognizione di un processo per il reato di lesioni personali stradali gravi, si ha che, in caso di condanna, consegue per l’imputato la revoca della patente di guida in applicazione dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, cod. strada, che il giudice è chiamato ad applicare per irrogare la conseguente sanzione amministrativa.

A tal proposito si osservava che se è vero che tale disposizione prevede che è il prefetto che emette il provvedimento di revoca della patente e di inibizione alla guida sul territorio nazionale, è altrettanto vero che si tratta di un mero atto amministrativo conseguenziale di esecuzione dell’ordine giudiziale e, di conseguenza, la pronuncia della revoca della patente, quale sanzione amministrativa che accede alla dichiarazione di responsabilità penale per i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime, è demandata al giudice come previsto espressamente dal comma 1 dell’art. 222 del codice della strada.

Si evidenziava oltre tutto come fosse d’altra parte sufficiente, sotto il profilo della rilevanza, che il giudice rimettente avesse indicato la condotta dell’imputato causativa dell’evento lesivo (investimento di un pedone) e la colpa addebitata a quest’ultimo (mancato rispetto del semaforo rosso) atteso che ciò implicava un plausibile giudizio prognostico di responsabilità dell’imputato che rendeva concreta la possibilità per il giudice rimettente di dover fare applicazione della disposizione censurata.

Premesso ciò, il giudice delle leggi stimava come dovessero prima esaminarsi le questioni di costituzionalità dell’art. 590-quater cod. pen. e a tal proposito si faceva presente come fosse innanzitutto necessario delimitare l’ambito e la portata del contesto normativo in cui si inserisce la disposizione censurata, che prevede: «Quando ricorrono le circostanze aggravanti di cui agli articoli 589-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 589-ter, 590-bis, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, e 590-ter, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti».

Ebbene, nel far ciò, la Consulta rilevava quanto segue: “Tale disposizione è stata inserita dall’art. 1, comma 2, della legge n. 41 del 2016, che ha sostituito l’originario art. 590-bis cod. pen. con gli attuali articoli da 590-bis a 590-quinquies cod. pen., a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 8, della medesima legge. La disposizione denunciata assegna alle aggravanti ad effetto speciale dei due nuovi reati – omicidio stradale (art. 589-bis cod. pen.) e lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590-bis cod. pen.) – un regime particolare: l’esclusione dal giudizio di comparazione tra circostanze previsto in generale dall’art. 69 cod. pen. In vero nell’originaria formulazione dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. questo particolare regime di esclusione accomunava tutte le circostanze aggravanti (in realtà, anche quelle attenuanti), per le quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (cosiddette circostanze a effetto speciale). Apparteneva alla discrezionalità del legislatore, che intendesse dare particolare rilievo ad una circostanza del reato, conformarla come circostanza ad effetto speciale. In tal caso non si sarebbe posta l’esigenza di comparazione con le circostanze attenuanti, che avrebbero operato dopo quelle ad effetto speciale. Questa generale fattispecie di esclusione della comparazione delle circostanze è venuta meno nel 1974 (decreto-legge 11 aprile 1974 n. 99, recante «Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale», convertito, con modificazioni, in legge 7 giugno 1974, n. 220) con la riformulazione del quarto comma dell’art. 69 cod. pen. in termini diametralmente opposti. Si prevedeva infatti che il regime del bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti si applicasse anche a qualsiasi circostanza per la quale la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato. Il legislatore però ben presto ha sentito la necessità, per alcune aggravanti solitamente qualificate come “privilegiate”, di reintrodurre in modo mirato l’esclusione della comparazione tra circostanze per perseguire una politica di più rigoroso contrasto di alcune condotte delittuose. Un’ipotesi che è venuta all’esame di questa Corte è stata l’aggravante prevista dall’art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, in legge 6 febbraio 1980, n. 15, per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, e quelle contemplate per il nuovo reato previsto dall’art. 280 cod. pen. (attentato per finalità terroristiche o di eversione). Con due pronunce quasi coeve (sentenze n. 38 e n. 194 del 1985) questa Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’una e dell’altra disposizione accedendo a un’interpretazione adeguatrice secondo cui il giudice poteva sì tener conto delle attenuanti, ma solo dopo aver calcolato l’aggravamento di pena per la circostanza aggravante privilegiata (ciò che il giudice rimettente riteneva non fosse possibile fare). Ha affermato questa Corte (sentenza n. 38 del 1985) che «[n]ell’art. 69 cod. pen., infatti, l’obbligatorietà del giudizio di bilanciamento ha una sua razionalità nell’essenza stessa di quella valutazione, che è giudizio di valore globale del fatto». Ma il legislatore può sospendere l’applicazione dell’art. 69 cod. pen., togliendo al giudice il potere discrezionale di operare il bilanciamento a compensazione delle aggravanti o a favore delle attenuanti in un’ottica di inasprimento sanzionatorio. Si tratta di una «grave limitazione» che in sé non è illegittima, ma non può accompagnarsi anche alla irrilevanza ex lege delle circostanze attenuanti. Con questa limitazione, si è quindi riconosciuto che appartiene alla discrezionalità del legislatore introdurre speciali ipotesi di circostanze aggravanti privilegiate che sono sottratte al bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen. In seguito numerose sono state le disposizioni che, in riferimento a particolari reati, hanno previsto aggravanti speciali sottratte alla comparazione dell’art. 69 cod. pen., tra le quali spicca l’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa (art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, recante «Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa», convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 1991, n. 203). Questa clausola di esclusione della comparazione è oggi prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. (Circostanze aggravanti e attenuanti per reati connessi ad attività mafiose) ‒ articolo inserito dall’art. 5, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1º marzo 2018, n. 21, recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103» ‒ che stabilisce, al secondo comma, che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma della medesima disposizione, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante. Il quarto comma dell’art. 69 cod. pen. è stato in seguito novellato introducendo un’eccezione di carattere generale al bilanciamento delle circostanze, ma solo come divieto di prevalenza delle attenuanti. L’art. 3, comma 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), ha così riformulato il quarto comma dell’art. 69 cod. pen.: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato». Ancora più recentemente l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 21 del 2018 ha introdotto l’art. 69-bis cod. pen. che prevede per i delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), numeri da 1) a 6) del codice di procedura penale un generale divieto di bilanciamento di circostanze aggravanti e attenuanti nell’ipotesi in cui chi ha determinato altri a commettere il reato, o si è avvalso di altri nella commissione del delitto, ne è il genitore esercente la responsabilità genitoriale ovvero il fratello o la sorella e che le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti. (…) In questo contesto normativo, che prevede plurime ipotesi di divieto di bilanciamento tra circostanze aggravanti “privilegiate” e circostanze attenuanti, si inserisce la disposizione censurata che contempla analogo divieto con riferimento alle circostanze aggravanti di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, sia dell’art. 589-bis (omicidio stradale), sia dell’art. 590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) cod. pen. Tale divieto segna un marcato irrigidimento della disciplina di contrasto di tali condotte lesive del bene della vita e dell’integrità fisica delle persone. Per lungo tempo l’omicidio stradale e le lesioni personali stradali gravi o gravissime hanno costituito solo ipotesi circostanziate dei corrispondenti reati comuni. Già l’art. 1 della legge 11 maggio 1966, n. 296, recante «Modifiche degli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) del codice penale», nel riformulare l’art. 589 cod. pen. (omicidio colposo), prevedeva il fatto commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, limitandosi ad aumentare il minimo della pena dell’omicidio colposo (da sei mesi di reclusione ad un anno). E parimenti il successivo art. 2 prevedeva distintamente la condotta di lesioni personali colpose gravi e gravissime con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Solo nel 2006 (legge 21 febbraio 2006, n. 102, recante «Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali») c’è stato un primo deciso inasprimento delle pene con la riformulazione del secondo comma dell’art. 589 cod. pen. e del terzo comma dell’art. 590 cod. pen. In particolare, la pena per l’omicidio colposo per violazione delle norme sulla circolazione stradale è stata elevata nel minimo (da uno a due anni di reclusione) con il limite massimo di cinque anni di reclusione. È seguito nel 2008 (decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125) un ulteriore inasprimento delle pene e, soprattutto, è stato introdotto per la prima volta – nell’art. 590-bis cod. pen. – il divieto di bilanciamento delle circostanze aggravanti “privilegiate” con le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen. In particolare, vengono contemplate nuove aggravanti a effetto speciale. Nel novellato art. 589 cod. pen. si prevede, nel comma 3, che si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, o da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Analoga aggravante viene introdotta nell’art. 590, comma 3, cod. pen. nel caso di lesioni personali gravi o gravissime. Ma ciò che maggiormente rileva al fine del presente giudizio di legittimità costituzionale è l’art. 590-bis cod. pen. sul computo delle circostanze dei due reati; disposizione questa che, anticipando negli stessi termini quella attualmente censurata, già prevedeva: «Quando ricorre la circostanza di cui all’articolo 589, terzo comma, ovvero quella di cui all’articolo 590, terzo comma, ultimo periodo, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti». In seguito, l’allarme sociale suscitato dal ricorrente fenomeno delle “vittime della strada” – alcune migliaia di morti sull’asfalto ogni anno e ancor di più feriti in modo grave o gravissimo – ha indotto il legislatore, con la legge n. 41 del 2016, a fare un salto di livello nell’azione di contrasto di condotte gravemente colpevoli nella guida di veicoli a motore. Si abbandona la fattispecie del mero reato circostanziato e si introducono due nuovi reati speciali – omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime – accompagnati, in parallelismo, da plurime aggravanti “privilegiate” in quanto presidiate dalla clausola di esclusione della comparazione con le attenuanti (art. 590-quater cod. pen.), che ripete, con un ambito più ampio, l’analoga regola posta in precedenza dall’art. 590-bis cod. pen. Al legislatore però non è sfuggito che possono esserci condotte che, seppur legate con nesso di causalità all’evento dannoso (sia morte, sia lesioni gravi o gravissime), possono in concreto avere un’efficienza causale non esclusiva. Per moderare il notevole maggior rigore della risposta sanzionatoria il legislatore ha introdotto – nel settimo comma sia dell’art. 589-bis che dell’art. 590-bis cod. pen. – un’inedita attenuante ad effetto speciale del tutto particolare perché attiene all’efficienza causale e che vale – in via eccezionale – a derogare al principio dell’equivalenza delle concause (art. 41 cod. pen.). Si tratta di un’attenuante tutt’affatto speciale nel panorama delle circostanze del reato proprio perché afferisce al rapporto causale retto dal generale principio dell’equivalenza delle cause (art. 41 cod. pen.), che vuole che il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento; e ciò è vero anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui. Nei reati puniti a titolo di colpa l’eventuale concorso della colpa della parte offesa non solo non esclude né interrompe il rapporto di causalità, ma neppure vale come circostanza attenuante, bensì può essere tenuta in conto dal giudice, sotto il profilo della modalità della condotta del colpevole, nella graduazione della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. Costituisce, invece, circostanza attenuante comune solo l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa (art. 62, primo comma, numero 5, cod. pen.); ciò che è ben diverso dal concorso del fatto colposo della parte offesa che invece – sia detto incidentalmente – rileva sul piano civilistico del risarcimento del danno (artt. 2056 e 1227 del codice civile). Solo in caso di cooperazione colposa (art. 113 cod. pen.) può venire in rilievo la «minima importanza» dell’apporto del concorrente come circostanza attenuante (ex art. 114 cod. pen.), la quale – in caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali – è espressamente sottratta al divieto di bilanciamento previsto dall’art. 590-quater cod. pen. Il legislatore del 2016, nel creare due reati colposi di nuovo conio (artt. 589-bis e 590-bis cod. pen.), che in precedenza per lungo tempo avevano costituito invece reati comuni aggravati dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, li ha accompagnati con la contestuale introduzione di questa attenuante che non solo è a effetto speciale, ma ha anche un contenuto marcatamente diverso da quello delle circostanze attenuanti comuni. Il suo presupposto è dato dal carattere non esclusivo dell’efficienza causale della condotta dell’imputato; circostanza che ricade nel divieto di bilanciamento posto dalla disposizione censurata diversamente dalla circostanza attenuante dell’apporto di «minima importanza» del concorrente nella cooperazione colposa”.

Orbene, una volta concluso questo articolato excursus normativo, i giudici di legittimità costituzionale osservavano come, quanto all’ambito e alla portata del divieto di bilanciamento delle circostanze del reato, previsto dalla disposizione oggetto di scrutinio, fosse altrettanto preliminare all’esame del merito delle censure prospettate dai giudici rimettenti l’esatta delimitazione – nel contesto del quadro normativo di riferimento come sopra sommariamente descritto – del perimetro delle questioni di costituzionalità.

Si evidenziava a tal riguardo come, pur censurando entrambi la speciale preclusione del bilanciamento delle circostanze privilegiate sia nell’omicidio stradale che nelle lesioni personali stradali gravi o gravissime, recata dalla disposizione oggetto di scrutinio, non si poneva in dubbio la legittimità della scelta del legislatore del 2016 di assegnare alle circostanze aggravanti a effetto speciale, sia dell’art. 589-bis sia dell’art. 590-bis cod. pen., il particolare regime, certamente di rigore, previsto dall’art. 590-quater cod. pen. che replica la stessa disciplina derogatoria dell’ordinario bilanciamento delle circostanze, anche a effetto speciale, ai sensi dell’art. 69 cod. pen., già prevista dal previgente art. 590-bis cod. pen., e ciò anche in ragione del fatto che nessuna questione di costituzionalità era stata posta con tale ampiezza con riferimento all’art. 590-quater cod. pen., così come in passato nessuna questione era stata sollevata con riferimento al simmetrico art. 590-bis cod. pen. nel testo precedente la legge n. 41 del 2016.

Si sottolineava invece come entrambi i giudici rimettenti avessero sollevato una questione di costituzionalità più specifica in quanto si poneva solo con riferimento al riformulato quadro normativo a seguito della riforma del 2016 perché il divieto di bilanciamento era stato censurato unicamente in riferimento all’attenuante a effetto speciale del settimo comma dell’art. 589-bis e del simmetrico (e di identico contenuto) settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen.: la circostanza – ignota al richiamato quadro normativo prima della riforma del 2016 – che ha come presupposto essere la condotta dell’imputato la causa non esclusiva dell’evento.

Oltre a ciò, si faceva presente come il divieto di bilanciamento fosse stato poi censurato, rispettivamente, a due aggravanti specifiche: per l’omicidio stradale, l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen. (guida in stato di ebbrezza alcoolica); per le lesioni personali stradali, l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen. (attraversamento di un’intersezione stradale quando il semaforo proietta luce rossa per i veicoli) evidenziandosi al contempo come questa limitazione delle questioni di costituzionalità fosse peraltro pienamente aderente all’oggetto dei giudizi a quibus perché entrambi i giudici rimettenti si confrontavano con due reati colposi in cui, ricorrendo il concorso di colpa della parte offesa, la condotta dell’imputato appare essere causa non esclusiva dell’evento; e infatti: a) nella fattispecie delle lesioni personali stradali, aggravate dall’inosservanza dell’indicazione semaforica, il Tribunale ordinario di Torino riferiva che il pedone investito aveva attraversato la strada nonostante il semaforo proiettasse luce rossa per i pedoni; b) nella fattispecie dell’omicidio stradale, aggravato dalla guida in stato di ebbrezza alcolica, il GUP del Tribunale ordinario di Roma riferiva che la parte offesa non indossava la cintura di sicurezza. Aggiunge poi, in termini assolutamente generici, che l’illuminazione pubblica non era funzionante e che il guidatore del veicolo tamponato era sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Pertanto, rilevava la Corte nella pronuncia in commento, le due fattispecie all’esame dei giudici rimettenti erano sovrapponibili in quanto accomunate dal fatto che in entrambe ricorre la circostanza attenuante dell’efficacia (meramente) non esclusiva della condotta dell’imputato perché a determinare l’evento ha concorso anche il comportamento colposo della parte offesa (settimo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.); circostanza che, in applicazione della disposizione censurata, non può essere bilanciata rispettivamente con l’aggravante della guida in stato di ebbrezza (secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.) e con l’aggravante dell’attraversamento di un’intersezione con il semaforo rosso (quinto comma, numero 2, dell’art. 590-bis cod. pen.), e ciò in ragione del fatto che, solo con riferimento a tale speciale circostanza attenuante, nella misura in cui questa sussiste in ragione di un generico concorso di colpa della parte offesa (o anche di altre concause), che rende “non esclusivo” l’apporto causale della condotta dell’imputato, sono state poste le questioni di legittimità costituzionale.

Una volta esaurite queste considerazioni di ordine preliminare, il giudice delle leggi reputava le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 590-bis cod. pen. non fondate per le seguenti ragioni.

Si rilevava prima di tutto come non fosse in discussione il fatto che la legge n. 41 del 2016 aveva inasprito la risposta sanzionatoria in termini di pene irrogabili, soprattutto nel minimo osservandosi a tal proposito che, quanto all’omicidio stradale, oggetto del giudizio a quo innanzi al GUP del Tribunale ordinario di Roma, per l’aggravante a effetto speciale in questione, contestata all’imputato per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica (secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.), è prevista una pena della reclusione da otto a dodici anni e di conseguenza, l’aggravamento sanzionatorio rispetto al regime previgente – quello introdotto dal decreto-legge n. 92 del 2008, come convertito, in vigore fino alla legge n. 41 del 2016 – è marcato perché la pena prima prevista per la medesima condotta era quella della reclusione da tre a dieci anni.

Si evidenziava pur tuttavia come, nel regime vigente – e non anche in quello precedente – il carattere non esclusivo dell’efficienza causale della condotta dell’imputato comporti (ex art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.) una diminuzione di pena fino alla metà e quindi il minimo della pena può ridursi fino a quattro anni mentre la stessa condotta – omicidio stradale con guida in stato di ebbrezza alcolica – che prima era sanzionata con una pena minima di tre anni di reclusione, dopo la legge n. 41 del 2016, lo è con una pena minima di quattro anni di reclusione ove ricorra, in ipotesi, il concorso di colpa della parte offesa e, quindi, l’efficienza causale della condotta dell’imputato non abbia carattere esclusivo dato che, ove ricorra l’attenuante in esame, la diminuzione fino alla metà può essere operata, per effetto della preclusione di cui all’art. 590-quater cod. pen., solo sulla pena prevista per la fattispecie aggravata.

Invece, rilevava sempre la Corte nella decisione in commento, quanto alle lesioni stradali gravi – oggetto del giudizio a quo innanzi al Tribunale ordinario di Torino – è ora prevista la pena della reclusione da un anno e sei mesi a tre anni, ove ricorra l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen., stante l’attraversamento di un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso per i veicoli mentre, ricorrendo l’attenuante del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen., la pena, per effetto della preclusione censurata, è diminuita fino a nove mesi di reclusione.

A fronte di ciò, la Consulta, pur mettendo in risalto il fatto che trattasi di sanzioni indubbiamente severe perché, nelle ipotesi attenuate all’esame dei giudici rimettenti, la pena minima per l’omicidio è di quattro anni di reclusione e quella minima per le lesioni gravi è di nove mesi di reclusione, esse rientrano, però, nell’ambito dell’esercizio non irragionevole della discrezionalità del legislatore che ha ritenuto, secondo una non sindacabile opzione politica in materia penale, di contrastare in modo più energico condotte gravemente lesive dell’incolumità delle persone, che negli ultimi anni hanno creato diffuso allarme sociale.

Si sottolineava a tal proposito come la stessa Consulta (sentenza n. 179 del 2017) avesse postulato che, se dal principio di legalità sancito all’art. 25 Cost., discende che «le scelte sulla misura della pena sono affidate alla discrezionalità politica del legislatore» sempre che il trattamento sanzionatorio sia proporzionato alla violazione commessa e non comprometta la finalità di rieducazione del condannato, con riferimento ad altra disposizione incriminatrice, pure «caratterizzata da un consistente inasprimento del trattamento sanzionatorio», a essa non appartengono però «valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria penale, di esclusiva pertinenza del legislatore» e che nella fattispecie non erano stati superati «i limiti costituzionali alla previsione di risposte punitive rigide» tenuto anche conto della graduabilità della pena tra il minimo e il massimo che offre al giudice la possibilità di renderla maggiormente proporzionata alla gravità della condotta contestata (sentenza n. 233 del 2018).

Difatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, le valutazioni sulla dosimetria della pena appartengono alla «rappresentanza politica, […] attraverso la riserva di legge sancita nell’art. 25 Cost.» (sentenza n. 236 del 2016), e sono assoggettate al giudizio di legittimità costituzionale solo a fronte di scelte palesemente arbitrarie del legislatore che, per la loro manifesta irragionevolezza, evidenzino un uso distorto della discrezionalità a esso spettante (ex multis, sentenze n. 142 del 2017, n. 148 e n. 23 del 2016, n. 81 del 2014, n. 394 del 2006; ordinanze n. 249 e n. 71 del 2007, n. 169 e n. 45 del 2006) essendo stato altresì precisato (sentenza n. 40 del 2019) che, «fermo restando che non spetta alla Corte determinare autonomamente la misura della pena (sentenza n. 148 del 2016), l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale che riguardano l’entità della punizione risulta condizionata non tanto dalla presenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla presenza nel sistema di previsioni sanzionatorie che, trasposte all’interno della norma censurata, garantiscano coerenza alla logica perseguita dal legislatore (sentenza n. 233 del 2018)».

Al contrario si reputava da parte della Corte necessario il suo intervento solo in caso di trattamenti sanzionatori manifestamente sproporzionati e di sperequazioni punitive di particolare gravità, intervenendo a riequilibrare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento nella misura in cui doveva essere presa in considerazione la coerenza interna del regime sanzionatorio e l’offensività della condotta.

In particolare, proprio in ordine al tema trattato in questa pronuncia, ossia il bilanciamento di circostanze, la Consulta faceva presente come fosse intervenuta più volte a riequilibrare situazioni sperequate che vedevano condotte ritenute dal legislatore di minore offensività le quali, in ragione del divieto di prevalenza di specifiche circostanze attenuanti, finivano per essere sanzionate in modo sproporzionato.

Secondo il diritto vivente, osservava sempre la Corte in siffatta decisione, se è vero che il giudizio di bilanciamento delle circostanze consente al giudice di apprezzare meglio lo specifico disvalore della condotta penalmente sanzionata ma quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all’integrità fisica, ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento di pena di particolari circostanze, è altrettanto vero però che quando il reato base, in ragione della sua formulazione, ha una portata ampia, il legislatore ritaglia ipotesi di minore gravità.

Si evidenziava a tal riguardo come, se in numerose occasioni la Consulta aveva stimato la prevalenza di tutte le circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., divieto introdotto nell’art. 69, quarto comma, cod. pen., come una soluzione legislativa che avrebbe condotto a sanzionare condotte di minore offensività con pene non proporzionate, nella fattispecie in esame, l’attenuante ad effetto speciale, che viene in gioco, non riguarda l’offensività atteso che sia l’omicidio stradale, che le lesioni personali stradali, ove ricorra l’attenuante di cui al settimo comma degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., offendono comunque, anche nell’ipotesi così attenuata, il bene della vita e quello dell’integrità personale e dunque, siffatta attenuante speciale non identifica una fattispecie di minore offensività ma si colloca sul piano del tutto distinto dell’efficienza causale dove opera il principio non già di proporzionalità, bensì quello di equivalenza delle concause dell’evento.

Pertanto, una volta preso atto che maggiore è la discrezionalità del legislatore nel dimensionare l’incidenza di tale, eccezionale e del tutto particolare, attenuante nel calcolo della pena, si faceva al contempo presente che se è vero che il minimo della pena per il reato base (due anni di reclusione per l’omicidio stradale comune) è raddoppiato (quattro anni di reclusione) ove ricorrano a un tempo la suddetta circostanza aggravante (guida in stato di ebbrezza alcolica di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen.) e l’attenuante dell’efficacia causale non esclusiva dell’azione o dell’omissione del colpevole di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. (in ragione del concorso della colpa della parte offesa o di altre concause), è altrettanto vero che tale differenziale sanzionatorio può dirsi rientrare nella discrezionalità del legislatore esercitata nel limite della non irragionevolezza stante il fatto che, ad avviso della Corte, il maggior rigore conseguente al divieto di bilanciamento di tale circostanza attenuante a effetto speciale trova ragione nel più incisivo contrasto di condotte altamente pericolose e che da tempo creano diffuso allarme sociale per il grave pregiudizio che arrecano alla sicurezza stradale quale appunto la guida di veicoli a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.

La Consulta perveniva alla medesima conclusione per quanto riguarda il reato di lesioni personali stradali ove vi è analogo – in vero anche più accentuato – differenziale sanzionatorio posto che, anche in tale caso, la condotta di chi, alla guida di un veicolo a motore, attraversa un’intersezione con il semaforo disposto al rosso, così commettendo il reato di lesioni personali stradali gravi, aggravate da tale circostanza cosiddetta privilegiata (come nel giudizio pendente innanzi al Tribunale ordinario di Torino), pone gravemente in pericolo l’incolumità altrui e parimenti può dirsi non irragionevole l’esercizio della discrezionalità del legislatore nell’escludere che l’attenuante in esame (quella del settimo comma dell’art. 590-bis cod. pen.) possa essere valutata dal giudice come equivalente o prevalente rispetto a tale aggravante.

Tali considerazioni giuridiche, inoltre, non venivano ritenute scalfibili in relazione alla comparazione fatta dal GUP del Tribunale ordinario di Roma con altre ipotesi di omicidio colposo, e ciò perché il legislatore del 2016 – innovando rispetto ai precedenti (sopra richiamati) interventi normativi (del 1966, del 2006 e del 2008), che si erano mossi nel solco del reato comune di omicidio colposo introducendo solo specifiche circostanze aggravanti – ha reso autonoma la fattispecie penale dell’omicidio stradale e ciò costituisce tipico esercizio di discrezionalità legislativa, espressione di una scelta politica in materia penale, in ragione di una diversa valutazione del rischio al quale sono esposti i beni della vita e dell’incolumità personale a causa di condotte giudicate particolarmente pericolose e quindi da contrastare con più severe sanzioni.

Tal che se ne faceva conseguire come la diversità di fattispecie tra omicidio stradale e omicidio colposo comune costituisse ragione sufficiente del trattamento sanzionatorio differenziato fermo restando che naturalmente trova applicazione ogni possibile ulteriore circostanza attenuante nonché eventuali diminuenti per la scelta del rito che valgono a ridurre ulteriormente il rigore sanzionatorio insito nel divieto di bilanciamento delle circostanze aggravanti quale previsto dalla disposizione censurata.

Concludendo la disamina di siffatte questioni, il giudice delle leggi evidenziava come, avendo il legislatore introdotto un’attenuante a effetto speciale legata all’apporto causale del colpevole, non fosse irragionevole che, quando la valutazione sia limitata all’alternativa dell’efficacia “esclusiva”, o non esclusiva, della condotta del colpevole, l’attenuante non possa essere bilanciata con le aggravanti “privilegiate” e segnatamente, quanto al reato di omicidio stradale (nel giudizio a quo innanzi al GUP del Tribunale ordinario di Roma), con l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589-bis cod. pen. per aver guidato in stato di ebbrezza alcolica oltre la soglia di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada, e, quanto al reato di lesioni personali stradali gravi (nel giudizio a quo innanzi al Tribunale ordinario di Torino), con l’aggravante di cui al quinto comma, numero 2), dell’art. 590-bis cod. pen. per aver attraversato un’intersezione stradale con il semaforo disposto al rosso stante il fatto che rientra nella discrezionalità del legislatore, esercitata non irragionevolmente, graduare l’effetto diminuente della pena di questa attenuante a effetto speciale in riferimento alle menzionate aggravanti “privilegiate” allorché ricorra un generico concorso della colpa della parte offesa o di altre concause che rendono non esclusivo l’apporto causale dell’azione o dell’omissione del colpevole.

Posto ciò, passando ad esaminare l’esame della questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, cod. strada, sollevata solo dal Tribunale ordinario di Torino, si rilevava in via preliminare

che inizialmente il comma 2 dell’art. 222 cod. strada, quale introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 102 (Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali), prevedeva solo la sospensione della patente di guida peraltro secondo una ben chiara progressione sanzionatoria: quando dal fatto derivava una lesione personale colposa la sospensione della patente era da quindici giorni a tre mesi; se invece derivava una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione della patente era fino a due anni; nel caso di omicidio colposo la sospensione era fino a quattro anni; viceversa, solo successivamente, la revoca della patente, come sanzione amministrativa accessoria alla condanna penale per il reato di omicidio (comune) colposo aggravato, è stata introdotta dal decreto-legge n. 92 del 2008, che ha modificato il comma 2 dell’art. 222 cod. strada, aggiungendo un quarto periodo così formulato: «Se il fatto di cui al terzo periodo è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente».

Il richiamo del fatto di cui al precedente terzo periodo comportava a sua volta che tale sanzione amministrativa conseguisse solo alla condanna per omicidio colposo.

Si faceva inoltre presente come la possibilità di revoca della patente fosse poi stata estesa al reato di lesioni colpose (comuni) gravi e gravissime dalla legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) che ha aggiunto il richiamo anche del secondo periodo del medesimo comma 2, sempre e solo in caso di guida in stato di ebbrezza alcoolica (con tasso alcolemico superiore a quello previsto dall’art. 186, comma 2, lettera c, cod. strada) o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

Da ultimo, con la legge n. 41 del 2016 il legislatore non solo ha introdotto due nuovi reati (omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime), elevando le pene con la previsione di plurime circostanze aggravanti “privilegiate” e aggravando il regime sanzionatorio con il già esaminato divieto di bilanciamento con le circostanze attenuanti ma ha modificato anche il regime delle sanzioni amministrative accessorie dettando una disciplina più rigorosa quanto alla revoca della patente di guida la quale, peraltro, fuori dalle ipotesi in cui ricorra uno dei due reati suddetti, è anche contemplata, a determinate condizioni, dagli artt. 186, 186-bis e 187 cod. strada in caso di guida sotto l’influenza dell’alcool ovvero in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.

Attualmente, la disposizione di cui all’art. 222 cod. strada, recante le sanzioni amministrative accessorie all’accertamento di reati, prevede, al comma 1, la regola di carattere generale per cui, se da una violazione delle norme del codice della strada derivano danni alle persone, il giudice applica con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente ma ciò che però rileva maggiormente è il comma 2, rimasto immutato nei primi tre periodi, che stabilisce che quando dal fatto derivi una lesione personale colposa la sospensione della patente è da quindici giorni a tre mesi, mentre, da un lato, se la lesione personale colposa è grave o gravissima la sospensione della patente è fino a due anni, dall’altro, nel caso di omicidio colposo, la sospensione è fino a quattro anni.

Il quarto periodo – come appena esposto – è stato invece riformulato dalla legge n. 41 del 2016 che ha previsto che, in caso di condanna o di patteggiamento della pena per i reati di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime, consegue sempre la revoca della patente di guida anche ove sia stata concessa la sospensione condizionale della pena.

Una volta terminato questo excursus normativo, i giudici di legittimità costituzionale osservavano come, per effetto degli ultimi interventi legislativi operati in subiecta materia, fosse risultato, nel complesso, un marcato inasprimento delle sanzioni accessorie atteso che la revoca della patente è prevista indistintamente per tutte le ipotesi di reati cosiddetti stradali, e ciò, sia nel caso in cui ricorrono le fattispecie cosiddette semplici, sia nel caso in cui sussistono le fattispecie aggravate, mentre la disciplina previgente delle sanzioni amministrative accessorie era maggiormente graduata.

Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, cod. strada veniva stimata fondata nei termini che seguono.

Si faceva presente prima di tutto coma la disposizione censurata prevedesse la sanzione amministrativa della revoca della patente estesa indistintamente a tutte le ipotesi – sia aggravate dalle circostanze “privilegiate”, sia non aggravate – di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime.

Posto ciò, una volta fatto presente che lo sviluppo normativo ha condotto da ultimo alla configurazione di due nuove fattispecie di reato colposo (art. 589-bis e art. 590-bis cod. pen.), connotate dalla previsione di plurime circostanze aggravanti “privilegiate” con un differenziato trattamento sanzionatorio di maggior rigore, nonché dal divieto di bilanciamento tra circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen., e quelle aggravanti a effetto speciale così introdotte, veniva messo in risalto il fatto che l’aggravamento della risposta sanzionatoria, voluto dal legislatore del 2016, è quindi stato il risultato articolato in più livelli nel senso che, in perfetta simmetria, le due citate disposizioni prevedono – per l’omicidio stradale e per le lesioni personali stradali – l’ipotesi base del reato colposo (al primo comma); l’ipotesi maggiormente aggravata della guida in stato di ebbrezza alcolica oltre una certa soglia di tasso alcolemico o sotto l’effetto di stupefacenti (ai commi secondo e terzo); nonché un’ipotesi intermedia perché aggravata in misura minore (ai commi quarto, quinto e sesto), ma comunque con una pena aumentata rispetto all’ipotesi base.

Da ciò se ne faceva discendere come il disvalore della condotta in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale fosse articolato secondo una precisa graduazione: il divario è di tutta evidenza se si pongono in comparazione le ipotesi base del primo comma dell’art. 589-bis e dell’art. 590-bis cod. pen. con le condotte, sanzionate con la pena più elevata, rientranti nel secondo e nel terzo comma di entrambe le disposizioni mentre la pena prevista, ove ricorrano tali aggravanti privilegiate, è marcatamente più elevata della pena base come risulta in particolare dal fatto che i minimi di pena delle fattispecie circostanziate sono sensibilmente incrementati mentre, invece, per la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, vi è un indifferenziato automatismo sanzionatorio che costituisce possibile indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca.

Nell’approfondire tale tematica, la Consulta osservava come fosse stato asserito in sede di giustizia costituzionale  (sentenza n. 50 del 1980) che «[i]n linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono […] in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» così come, più recentemente, tali principi fossero stati ribaditi da questa Corte (sentenza n. 222 del 2018) che, con riferimento ai reati fallimentari, aveva evidenziato che la gravità dei fatti concreti, riconducibili alle fattispecie penali, può essere marcatamente differente censurando proprio la «rigidità applicativa» di una sanzione accessoria fissa.

In particolare, prosegue il ragionamento della Corte, un profilo di irragionevolezza era già stato rilevato dalla Consulta in un’ipotesi di automatismo della “revoca” amministrativa della patente di guida, prevista dall’art. 120, comma 2, cod. strada (sentenza n. 22 del 2018).

Proprio in ordine a tale potenziale profilo di criticità costituzionale, i giudici di legittimità costituzionale evidenziavano come nell’art. 222 cod. strada l’automatismo della risposta sanzionatoria, non graduabile in ragione delle peculiarità del caso, potesse giustificarsi solo per le più gravi violazioni contemplate dalle due citate disposizioni quali previste, come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen. dato che il porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre la soglia di tasso alcolemico prevista dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.) o sotto l’effetto di stupefacenti costituisce un comportamento altamente pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali e, pertanto, si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime.

Al di sotto di questo livello se vi possono essere comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in misura inferiore, è comunque consentita la previsione della medesima sanzione amministrativa in quanto compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità; in tal caso, ad avviso della Corte, l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere il passo alla valutazione individualizzante del giudice.

Rilevato ciò, si evidenziava al contempo che, oltre all’irragionevolezza intrinseca di una sanzione amministrativa fissa per tali ultimi comportamenti, c’è anche il fatto che nell’art. 222 cod. strada rimane vigente la prescrizione del secondo e del terzo periodo del comma 2 i quali prevedono rispettivamente che, quando dal fatto commesso con violazione del codice della strada derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, la sospensione della patente è fino a due anni mentre, nel caso di omicidio colposo, la sospensione è fino a quattro anni e quindi coesistono nella stessa norma (comma 2 dell’art. 222 cod. strada) prescrizioni che si sovrappongono senza una chiara delimitazione di applicabilità.

Difatti, nel caso di condanna per il reato di omicidio stradale ex art. 589-bis cod. pen., è prevista, dal quarto periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, la sanzione amministrativa della revoca della patente mentre, invece, il precedente terzo periodo prevede, in caso di omicidio colposo con violazione delle norme del codice della strada, la sospensione della patente fino a quattro anni.

Analogamente, nel caso di condanna per il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime ex art. 590-bis cod. pen., è prevista, sempre dal quarto periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, la sanzione amministrativa della revoca della patente mentre all’opposto il precedente secondo periodo prevede, in caso di lesioni colpose con violazione delle norme del codice della strada, la sospensione della patente fino a due anni.

Da ciò se ne faceva conseguire una poco coerente sovrapposizione di fattispecie sanzionate, o no, con la revoca della patente, il che si aggiungeva all’irragionevolezza intrinseca della sanzione indifferenziata per ipotesi marcatamente diverse in termini di gravità della condotta.

La Corte costituzionale, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, giungeva a postulare che la revoca della patente di guida non può essere “automatica” indistintamente in ognuna delle plurime ipotesi previste sia dall’art. 589-bis (omicidio stradale) sia dall’art. 590-bis cod. pen. (lesioni personali stradali) ma si giustifica solo nelle ben circoscritte ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come fattispecie aggravate dal secondo e dal terzo comma di entrambe tali disposizioni (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti) mentre, negli altri casi, ossia quelli che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità, sia nelle ipotesi non aggravate del primo comma delle due disposizioni suddette, sia in quelle aggravate dei commi quarto, quinto e sesto, è il giudice che deve poter valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa come previsto – e nei limiti fissati – dal secondo e dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada.

Pertanto, veniva dichiarato tale comma costituzionalmente illegittimo, nel suo quarto periodo, nella parte in cui non prevede, ove non ricorrano le circostanze aggravanti privilegiate di cui al secondo e al terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen., la possibilità per il giudice di applicare, in alternativa alla sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, quella della sospensione della patente, secondo il disposto del secondo e del terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada. stante il fatto che, in questi casi il giudice, secondo la gravità della condotta del condannato, tenendo conto degli artt. 218 e 219 cod. strada, potrà sia disporre la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, sia quella, meno afflittiva, della sospensione della stessa per la durata massima prevista dal secondo e dal terzo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 222 cod. strada.

Conclusioni

 La sentenza in questione è sicuramente condivisibile.

Si è evita difatti un applicazione automatica di una sanzione amministrativa, qual è quella della revoca della patente, in materia di reati stradali, in modo uniforme e costante senza considerare la gravità della condotta che sia stata posta in essere.

Infatti, il prevedere un’applicazione ex lege della revoca della patente di guida, nel caso di omicidio stradale e di lesioni personali stradali, solo nelle ben circoscritte ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come fattispecie aggravate dal secondo e dal terzo comma di entrambe tali disposizioni (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti) rimettendo invece alla valutazione del giudice tutti gli altri casi, vale a dire quelli che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità, sia nelle ipotesi non aggravate del primo comma delle due disposizioni suddette, sia in quelle aggravate dei commi quarto, quinto e sesto, nel senso di consentire a costui di valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa come previsto – e nei limiti fissati – dal secondo e dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, sembra chiaramente rispondere a questa finalità.

Difatti, l’intervento della Consulta in questi termini, ad avviso dello scrivente, consente un’applicazione di questa normativa (combinato disposto artt. 589 bis e 590 bis c.p. e 222 cod. strada) in modo ragionevole cioè distinguendo i casi più gravi da quelli meno gravi nel senso di prevedere solo per i primi la revoca automatica della patente rimettendo invece per i secondi una valutazione di tal fatta al giudice conferendogli la possibilità di disporre al suo posto la sospensione della patente.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, dunque, si ribadisce, non può che essere positivo.

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