La confisca senza condanna

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  1. La confisca facoltativa

La confisca [1] consiste nell’espropriazione forzata e gratuita a favore dello Stato ed, in materia urbanistica, a favore del patrimonio del Comune, di tutte le cose che costituiscono il prezzo del reato, che sono servite a commettere il reato, di quelle che ne sono il prodotto e il profitto, nonché di quelle che sono di per sé criminose.

La collocazione dell’istituto a chiusura del libro I del codice penale, titolo VIII “Delle misure amministrative di sicurezza”, capo II “Delle misure di sicurezza”, non è bastata a sopire l’acceso dibattito sviluppatosi in ordine alla sua natura giuridica. Nell’originaria intenzione del legislatore, la confisca nasce come misura di sicurezza patrimoniale e come tale è catalogata agli articoli 215 e 236 c.p..

Non è mancato, tuttavia, chi in dottrina ne ha rilevato la natura di sanzione sui generis, di pena accessoria o di sanzione civile del processo penale, rinvenendo in essa un carattere prevalentemente repressivo [2].

L’orientamento della dottrina e della giurisprudenza prevalenti qualifica, invece, la confisca come una misura di sicurezza patrimoniale conformemente alla scelta operata dal legislatore [3].

La confisca può essere facoltativa o obbligatoria. La confisca facoltativa è decisa dal giudice sulla base di un giudizio di pericolosità [4] che deve tenere conto dell’effetto induttivo determinato nel colpevole dalla disponibilità della res.

La confisca è invece obbligatoria quando la pericolosità è intrinseca alla res e quindi il giudice non è chiamato al giudizio di pericolosità.

La dottrina maggioritaria ha poi rimarcato che la confisca presuppone la pericolosità della cosa.

Pericolosità che va intensa non in senso di pericolosità intrinseca della cosa a produrre un danno, quanto piuttosto come una probabilità che essa lasciata nella disponibilità del reo, costituisca per lui incentivo alla commissione di ulteriori illeciti.

In tale prospettiva la pericolosità passa dalla cosa al reo e costituisce un concetto relazionale in forza del quale la pericolosità della cosa deve essere valutata in rapporto alla persona che la possiede [5].

Detta pericolosità del rapporto cosa/persona è presunta dalla legge nelle ipotesi di confisca obbligatoria e va accertata di volta in volta dal giudice in quelle di confisca facoltativa.

  1. Le Sezioni Unite numero 31617 del 2015

Gli ermellini [6] sono stati chiamati a stabilire se, sulla base dell’articolo 240, comma 2, n. 1, c.p., nonché dell’articolo 322-ter c.p., possa essere disposta la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato nel caso in cui il processo si chiuda con una sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione.

I giudici hanno affermato che la confisca del prezzo del reato non rappresenta una vera e propria pena, che non presuppone un giudicato formale di condanna come unica fonte adatta a svolgere le funzioni di titolo esecutivo: quello che risulta necessario è che la responsabilità sia stata accertata con una sentenza di condanna, sebbene il processo si sia concluso con una dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.

La prescrizione, per poter conservare la misura della confisca, deve essere una forma di conclusione del giudizio neutra in termini di affermazione di responsabilità.

Le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell’articolo 240, comma 2, n. 1, c.p., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell’articolo 322-ter c.p., la confisca del prezzo o del profitto del reato sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna, rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato”.

Inoltre, qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito dal denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato.

  1. La sentenza numero 52 del 2021

Con la presente decisione [7], la Corte di Cassazione ha ritenuto non estendibili alla confisca facoltativa del profitto ex articolo 240 comma 1 c.p. i principi elaborati dalle Sezioni Unite numero 31617 del 21 luglio 2015 in relazione alla confisca obbligatoria del prezzo del reato ai sensi dell’articolo 240 comma 2 n. 1 c.p. e del prezzo e profitto ai sensi dell’articolo 322 ter c.p. e, per l’effetto, ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato e della misura ablatoria ivi contenuta, con conseguente restituzione al ricorrente dei beni che ne erano oggetto. Nello specifico, ha stabilito che qualora, intervenuta una sentenza di condanna in primo grado, il giudice in appello pronunci nei confronti dell’imputato sentenza di proscioglimento per estinzione del reato per decorso del termine prescrizionale, la confisca facoltativa diretta del profitto del reato inizialmente disposta non può più essere mantenuta in vita.

 

Note bibliografiche

[1] Se si dovesse dare una definizione unitaria dell’istituto della confisca nel diritto penale, l’unica classificazione capace di comprendere sotto di sé le varie apparizioni di quest’istituto, sarebbe quella che la qualifica come ablazione coattiva operata dallo Stato dei beni appartenenti ad un soggetto e variamente collegati ad un reato. Si veda, a tal proposito, V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1981, p. 385.

[2] Tale natura emergerebbe dal fatto che, diversamente dalle altre misure di sicurezza, la confisca è del tutto svincolata dal presupposto di pericolosità sociale del reo (l’articolo 236 c.p. non richiama infatti l’applicabilità della previsione dell’articolo 202 c.p.), non condivide le caratteristiche proprie delle altre misure di sicurezza e, oltre a prescindere dalla pericolosità del reo, neppur richiede sempre la pericolosità della cosa (è il caso della confisca facoltativa e della confisca obbligatoria del prezzo del reato) venendole così a mancare il carattere di provvedimento preventivo che caratterizza le misure di sicurezza. Per un approfondimento sul tema si veda, tra i tanti, A. Cuomo, Confisca, Altalex, 2015, disponibile all’indirizzo https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2015/09/28/confisca-confische.

[3] La suprema Corte, al riguardo, è intervenuta affermando che la confisca è una misura di sicurezza patrimoniale tendente a prevenire la commissione di nuovi reati, mediante l’espropriazione a favore dello Stato di beni che restando nella disponibilità del reo, manterrebbero in vita l’attrattiva al reato, ha carattere cautelare e non punitivo anche se, al pari della pena, i suoi effetti ablativi si risolvono spesso in una sanzione pecuniaria.

 

[4] P. Capello, Giudizio penale e giudizio di prevenzione: rapporti e criticità, Key Editore, Frosinone, 2016, p. 92 e ss..

[5] Sul tema si veda, tra le tante, Cass. Pen., Sez. II, sentenza numero 11956 del 13 marzo 2014. Presupposto della c.d. confisca di prevenzione non è la condanna penale e neppure la commissione di reati, ma semplicemente la pericolosità sociale del prevenuto, che può consistere – tra l’altro – nel fatto di essere abitualmente dedito a traffici delittuosi o nel fatto di vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. Nel procedimento di prevenzione, ciò che rileva è che il giudizio di pericolosità sia fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l’affermazione dell’esistenza della pericolosità sociale, sulla base di un ragionamento immune da vizi; fermo restando che gli indizi sulla cui base formulare il giudizio di pericolosità non devono necessariamente avere i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti, per il processo penale, dall’articolo 192 c.p.p..

[6] Cass., SS. UU., numero 31617 del 21 luglio 2015.

[7] Cass. Pen., Sez. V, sentenza numero 52 del 4 gennaio 2021.

 

 

 

Tullio Facciolini

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