La cessione dei crediti vantati nei confronti di soggetti pubblici, in particolare la cartolarizzazione del credito

Ventura Mauro 08/05/03
di Federico Ventura

Premessa

La cessione del credito è un degli istituti giuridici che disciplinano i rapporti tra i soggetti in relazione alla circolazione della ricchezza. Attraverso la cessione del credito, un soggetto, il cedente, si spoglia di un suo diritto trasferendolo ad un terzo, il cessionario. Il soggetto tenuto all’adempimento nei confronti del cessionario prende il nome di creditore ceduto.

L’ordinamento privatistico contempla una pluralità di istituti giuridici riconducibile alla generale fattispecie della cessione del credito. Anche l’ordinamento pubblicistico prevede alcune norme in materia e, in special modo, disciplina il caso in cui il creditore ceduto sia un soggetto pubblico.

Di seguito si esaminerà, in prima battuta, la normativa vigente in materia di cessione di crediti tra soggetti privati, ossia nel caso in cui il debitore ceduto, il creditore cedente e il terzo cessionario siano persone fisiche, o giuridiche, di diritto privato.

Successivamente, si darà conto delle deroghe che l’ordinamento pubblicistico prevede, rispetto alla disciplina privatistica, nel caso in cui il debitore ceduto sia un soggetto pubblico.

 

 

La cessione del credito nell’ordinamento privatistico

La cessione della prestazione oggetto dell’obbligazione nel codice civile: la cessione di credito

Il nostro ordinamento non fornisce né una definizione di obbligazione, nè una definizione di prestazione oggetto della stessa.

Il codice civile individua solo le fonti e l’oggetto delle obbligazioni: l’art. 1173 del codice civile prevede le obbligazioni, ossia: “il  contratto, il fatto illecito o  ogni altro fatto o atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”; l’art. 1174 del codice indica le caratteristiche dell’oggetto delle obbligazioni, statuendo che “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore”.

In base al disposto delle norme citate, la dottrina e la giurisprudenza hanno identificato il concetto di obbligazione nel vincolo giuridico in forza del quale un soggetto (c.d. debitore) è tenuto ad un determinato comportamento (c.d. prestazione) nei confronti di un altro soggetto (c.d. creditore).

Anche i termini “credito” e “debito” non hanno una definizione legislativa: sono utilizzati nel codice come sinonimi della locuzione “prestazione oggetto dell’obbligazione”, identificando, nel primo caso, la posizione del creditore e, nel secondo, quella del debitore.

La cessione del credito, disciplinata dagli artt. 1260 e ss. del codice, è l’istituto giuridico che consente al creditore di modificare il rapporto obbligatorio, sostituendo a sé un soggetto terzo ed estraneo all’originario rapporto instaurato con il debitore.

Il primo comma dell’art. 1260 del codice recita: “ il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge”.

L’art. 1260 consente al creditore di trasferire il proprio diritto di credito ad un terzo, indipendentemente dalla conoscenza, o persino in presenza di un dissenso espresso del debitore, nel caso in cui la prestazione non sia strettamente personale come nel caso sia dovuta una somma di denaro. La cessione è valida in forza del mero accordo tra creditore cedente e soggetto cessionario.  Diversa dalla validità della cessione è l’opponibilità della stessa al debitore ceduto: l’accordo avente ad oggetto la cessione del credito tra creditore cedente e cessionario non vincola il debitore ceduto, il quale non è parte di quel contratto di cessione. Ne discende che anche in presenza di un valido accordo tra creditore ceduto e cessionario, il debitore ceduto è tenuto ad adempiere nelle mani dell’originario creditore e non del cessionario.

Per rendere opponibile al debitore la cessione, ed obbligarlo ad adempiere nelle mani del cessionario, le parti dell’accordo di cessione, creditore cedente e cessionario, devono informarlo. Infatti, il contratto di cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto solo dopo che quest’ultimo ne sia venuto a conoscenza. In caso di espressa accettazione della cessione da parte del debitore ceduto o di notificazione della cessione allo stesso, l’art. 1264 del codice prevede una presunzione legale di conoscenza. Viceversa, in assenza di notificazione o di accettazione, è addossato sul cessionario l’onere di fornire la  prova della effettiva conoscenza della cessione da parte del debitore.

Il terzo cessionario acquisisce, con il contratto di cessione, oltre al diritto di credito, anche i rischi ad esso connesso.

I rischi della cessione di un credito sono di due tipi:

l’inesistenza del credito, come, per esempio, nel caso in cui credito sia sorto da un contratto successivamente dichiarato nullo e annullato;

il successivo inadempimento del debitore.

A tutela di questi rischi, il creditore ceduto può essere obbligato, in base alla legge o in forza di un accordo con il cessionario, a fornire apposite garanzie. La garanzia del nomen verum, ossia la garanzia dell’esistenza del credito, deve essere fornita dal creditore cedente in caso di trasferimento a titolo oneroso del credito, a norma dell’art. 1266 del codice. Le parti possono escludere la garanzia convenzionalmente.  La ratio dell’art. 1266 risiede in un principio cardine del codice, ossia il rispetto del sinallagma contrattuale: in caso di accordo a prestazioni corrispettive, ognuna delle parti è contemporaneamente creditore e debitore e deve essere in grado di adempiere alle obbligazioni assunte per poter pretendere l’adempimento altrui. La garanzia del nomen verum non è imposta ex lege nelle cessioni a titolo gratuito come, per esempio, nel caso di una donazione di credito, in quanto, in assenza di una controprestazione per il trasferimento, l’ordinamento può lasciare all’autonomia delle parti l’allocazione del rischio di inesistenza del diritto trasferito.

La garanzia del nomen bonum, ossia dell’adempimento del debitore ceduto, non è imposta dal codice al creditore cedente, lasciando alle parti la facoltà di prevederla contrattualmente. In assenza di tale  garanzia la cessione è definita pro soluto, altrimenti si parla di cessione pro solvendo.

 

2.2 La cessione di crediti di impresa

La disciplina dettata dal codice in materia di cessione di credito rappresenta la regolamentazione generale dell’istituto, valevole per ogni cessione di credito tra soggetti privati.

L’ordinamento privatistico prevede anche norme speciali, che disciplinano particolari forme di cessione di credito.

La l. 21 febbraio 1991, n. 52 (l. 52/91) disciplina la cessione di crediti di impresa.  La l. 52/91 trova applicazione per tutte le obbligazioni, sorte tra un imprenditore ed un soggetto terzo, che hanno per oggetto il pagamento di una somma di denaro. Inoltre, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. c),  la l. 52/91 si applica solo se il cessionario del credito è una banca o ad un intermediario finanziario.

La l. 52/91 prevede alcune deroghe alla disciplina dettata dal codice.

Innanzi tutto è consentita la cessione di crediti inesistenti al momento della cessione. All’imprenditore è consentito non solo di cedere i propri crediti, ma anche di obbligarsi a cedere crediti che devono ancora sorgere. In tal caso trova applicazione l’art. 1472 del codice, in base al quale la cessione ha effetto solo al momento in cui il credito viene ad esistenza (c.d. emptio rei speratae). Nel caso in cui il credito non venga ad esistenza, la cessione è nulla, sempre che le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio (c.d. emptio spei). In questo secondo caso, seppur in assenza del trasferimento di alcun credito, il cessionario è obbligato a corrispondere al cedente la controprestazione pattuita contrattualmente, in quanto le parti hanno accettato ab origine i rischi connessi ad un contratto non sinallagmatico. Una seconda deroga, rispetto al regime del codice, è rappresentata dalla cessione di crediti “in massa”, a norma dell’art. 3, comma 2 della l. 52/91, ossia la cessione della totalità dei crediti riferiti ad un determinato periodo di tempo, non superiore a ventiquattro mesi, o i crediti che si riferiscono ad uno o più determinati soggetti debitori. La cessione in massa può riguardare sia crediti esistenti, sia crediti futuri.

Una ulteriore deroga rispetto al codice riguarda le garanzie connesse alla cessione. L’imprenditore cedente ha l’obbligo di garantire al cessionario l’adempimento del debitore ceduto. Si è in presenza di una cessione pro solvendo ex lege, nella quale la garanzia del nomen bonum non è lasciata all’autonomia contrattuale delle parti, ma imposta dalla legge.

Infine, in caso vi sia il trasferimento di crediti in massa (rectius “in blocco”), vi è una deroga rispetto al principio dell’opponibilità al debitore ceduto prevista dall’art. 1264 del codice. La banca cessionaria, a norma dell’art. 58, commi 2 e 4, del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U. bancario) ha l’onere di pubblicare l’avvenuta cessione sulla Gazzetta Ufficiale per renderla opponibile al debitore ceduto, non dovendo, pertanto, informare quest’ultimo tramite notificazione. Il debitore ceduto, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è tenuto ad adempiere presso la banca cessionaria e non più presso l’originario creditore. Alla conoscenza effettiva prevista dall’art. 1264 del codice è sostituita la mera conoscibilità.

 

2.3 La cartolarizzazione

La l. 30 aprile 1999, n. 130 (l.130/99) disciplina la cartolarizzazione dei crediti. La cartolarizzazione è una operazione finanziaria in cui si combinano i principi alla base dell’istituto della cessione del credito e quelli della teoria dei titoli di credito.

La teoria dei titoli di credito nasce dall’esigenza di agevolare la circolazione dei crediti.  La difficile opponibilità della cessione al debitore ceduto e ai terzi, i rischi di inesistenza e insolvenza che sono connessi al trasferimento, rendono la circolazione dei crediti incerta e insicura. L’invenzione sottesa al titolo di credito risiede nella incorporazione del credito in una cartula, la quale, come bene mobile, è sottoposta ad una più sicura disciplina di circolazione.

Nella c.d. cartolarizzazione del credito, il creditore cede il suo credito ad un terzo, che si obbliga ad incorporare il credito in uno o più titoli da cedere, a loro volta, a terzi.

La cartolarizzazione non è un contratto differente dalla cessione del credito: rappresenta lo scopo precipuo della cessione stessa.

La cessione del credito è un contratto e, come tale, ha una sua causa, a norma dell’art. 1325 del codice, ossia ha una funzione economico sociale che ne sottende la stipulazione. Generalmente si considera che la cessione di credito possa avere una causa traslativa, di garanzia o satisfattiva. A queste deve essere aggiunta la causa di cartolarizzazione. Con la cessione del credito a scopo di cartolarizzazione, il cedente trasferisce il proprio credito ad un terzo che si obbliga a cartolarizzarlo e a immettere sul mercato i titoli di credito ad esso corrispondenti.

Ne discende che, anche nel caso della cartolarizzazione, si è in presenza di una cessione di credito, seppur con una peculiare funzione economico sociale.

Sono sottoposte alla l. 130/99 le cessioni a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti, sia futuri, al ricorrere dei seguenti requisiti:

a) il cessionario deve essere una società avente per oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione di crediti;

b) le somme corrisposte dal debitore ceduto devono essere destinate in via esclusiva dalla società cessionaria al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi di cartolarizzazione.

L’art. 4, comma 1 della l. 130/99, richiamando la disciplina dell’art. 58 del T.U. bancario, prevede la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della cessione del credito come mezzo per rendere efficace ed opponibile la cessione nei confronti del debitore ceduto.

 

2.4 Forme atipiche di cessione del credito: il factoring

Il factoring è un contratto atipico, che non ha una specifica disciplina giuridica nel nostro ordinamento. E’ un contratto a prestazioni corrispettive, nel quale un creditore cedente, in genere un imprenditore, si obbliga a trasferire uno o più crediti in cambio di una controprestazione pecuniaria ad un terzo cessionario, in genere una società (factor) che svolge professionalmente l’attività di riscossione e gestione di crediti. Il factoring consente all’imprenditore cedente di ottenere denaro in cambio della cessione del proprio credito, potendo così avere le risorse per svolgere la sua attività di impresa e, alla società factor, di incassare la differenza tra quanto pagato all’imprenditore cedente per il trasferimento del credito e la somma derivante dalla riscossione.

Il factoring  è  riconducibile alla cessione di credito. Esso contiene un accordo di cessione, che come tale deve rispettare le regole poste dall’ordinamento giuridico in materia, al quale si affiancano accordi aggiuntivi come, per esempio, servizi di gestione del credito.

 

 

La cessione dei crediti nell’ordinamento pubblicistico

 

La cessione dei crediti vantati verso la Pubblica Amministrazione

L’elemento che accomuna tutte le fattispecie sopra esaminate è la loro riconducibilità all’istituto della cessione del credito tra parti private: il codice fornisce la regolamentazione generale dell’istituto, la l. 52/91 regolamenta il particolare caso della cessione di crediti di impresa, la l. 130/99 istituisce e regola la cessione di credito a scopo di cartolarizzazione e il factoring si presenta come contratto basato su di una cessione di credito.

La riconducibilità di tutti questi fenomeni giuridici e contrattuali nel generale istituto della cessione del credito è un elemento di centrale importanza se, da un’ottica privatistica dell’istituto, si passa ad un’ottica pubblicistica.

L’ordinamento pubblicistico non entra nel dettaglio delle varie forme della cessione del credito: considera l’istituto in modo unitario,  mutuando, dall’ordinamento privatistico e dalla autonomia contrattuale, l’istituto della cessione del credito in qualsiasi forma esso si manifesti. Le norme pubblicistiche si propongono di disporre una serie di deroghe alla disciplina della cessione del credito aventi come unico fine la tutela della PA, nel caso in cui la stessa sia nella posizione di debitore ceduto. Così facendo, l’ordinamento tutela l’interesse pubblico che la PA è obbligata a perseguire in ogni sua attività, anche quella contrattuale.

Nel perseguimento di questo fine, l’ordinamento pubblicistico prevede una serie di norme tese a limitare la libertà del creditore cedente.

L’art. 9 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (Allegato E) stabilisce: “sul prezzo dei contratti in corso non potrà […] convenirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata”. La norma vuole evitare che “durante l’esecuzione del contratto, possano venire a mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della pubblica amministrazione” (Cfr. Cass. n. 13261 del 2000).

Il limite alla cedibilità sussiste solo fino a quando il contratto è in corso di esecuzione e cessa alla conclusione del rapporto contrattuale. Ne discende che, in deroga al principio generale dell’art. 1260 del codice, in corso di esecuzione del contratto, il creditore cedente deve chiedere il previo consenso al debitore ceduto, segnatamente la PA, per poter cedere il credito. La norma citata è tuttora vigente ed applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni, per ogni contratto da esse concluso, qualunque ne sia l’oggetto.

Gli artt. 69 e 70 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 stabiliscono che “le cessioni […] relative a somme dovute dallo Stato […] debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente  ovvero ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento.  Tali  cessioni  devono risultare da atto pubblico  o da scrittura privata  autenticata da un notaio”.

In questo caso vi è una ulteriore deroga alla disciplina privatistica: il cedente ed il cessionario sono vincolati a concludere il contratto in forma di atto pubblico, o scrittura privata autenticata, ed hanno l’obbligo di notificare alla PA l’accordo. In deroga al principio generale del codice non vi è la possibilità per il cessionario di dimostrare in altro modo, diverso dalla notificazione, l’avvenuta conoscenza della cessione da parte della PA.

Dalla lettura congiunta delle norme sopra citate si può concludere che:

in corso di esecuzione, il creditore deve chiedere il consenso alla PA per cedere il credito;

conclusa l’esecuzione del contratto, il creditore ha facoltà di cedere il suo credito mediante contratto risultante da atto pubblico, o scrittura privata autenticata, che deve essere notificato all’amministrazione.

A questa regolamentazione, applicabile a tutti i contratti, se ne affianca una specifica per i soli  contratti aventi per oggetto lavori pubblici. L’art. 339 della l. 2248 del 1895, all. F (Allegato F), non più vigente- vedi infra- prevedeva: “è vietata qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano riconosciute”.

La norma estendeva, all’ambito dei lavori pubblici, il previo consenso della PA, previsto dall’art. 9 dell’Allegato E per i soli contratti in corso di esecuzione, anche alla cessione di crediti nascenti da contratti con esecuzione terminata. L’art. 339 della l. 2248 del 1895 è stato abrogato dall’art. 231 del d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554 (d.p.r. 554/99), regolamento di attuazione della l. 11 febbraio 1994 ss.mm.ii. (legge ll.pp.). La legge ll.pp., all’art. 25, comma 5 prevede: ”le disposizioni della l. 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell’ambito della realizzazione di lavori pubblici”. Ne discende che nell’ambito dei lavori pubblici l’imprenditore aggiudicatario del contratto può cedere il proprio credito nei confronti della PA con le modalità previste dalla l. 52/91, seppur con alcune deroghe previste dall’art. 115 del d.p.r. 554/99, norma di attuazione dell’art. 25 della legge ll.pp.. La cessione deve essere stipulata mediante atto pubblico, o scrittura privata autenticata, e perché sia opponibile alla PA non è sufficiente la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma deve essere notificata all’amministrazione debitrice. Inoltre, la cessione del credito  è efficace ed opponibile alla PA solo qualora questa non la rifiuti. Pertanto, in caso di applicazione della l. 52/91, il  previo consenso della PA è conditio sine qua non per la cessione, anche se manifestato in modo tacito.

 

 

3.2 I rapporti tra l’ordinamento giuridico pubblicistico e la l. 130/99

Merita una specifica considerazione il caso della cessione del credito a scopo di cartolarizzazione, così come disciplinato dalla l. 130/99.

Le norme pubblicistiche applicabili alla cessione dei crediti non consentono in modo esplicito la possibilità di cartolarizzare i crediti vantati nei confronti della PA e non compiono, a differenza di quanto avviene per la disciplina dei crediti di impresa prevista nella l. 52/91, alcun richiamo alla l. 130/99, istitutiva dell’istituto della cartolarizzazione.

Si potrebbe dedurne una impossibilità per il creditore di una PA di cartolarizzare il proprio credito. Questa conclusione preliminare sarebbe priva di basi logiche. La cartolarizzazione è lo scopo della cessione del credito vantato. Le norme pubblicistiche ricomprendono ogni forma di cessione del credito, che sia a scopo traslativo, di garanzia o satisfattivo e, quindi, anche la cessione a scopo di cartolarizzazione.

Ciò detto, è necessario notare che, come le altre norme privatistiche, anche la l. 130/99 non trova applicazione integrale. La sua disciplina è valida ed integralmente applicabile alle cartolarizzioni tra soggetti privati. In caso il debitore ceduto sia una PA, l’ordinamento pubblicistico ha valore di lex specialis e, pertanto, deroga alle norme della l. 130/99 con esso incompatibili. Ne discende che la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale non è un mezzo sufficiente per l’opponibilità della cessione nei confronto della PA. La pubblicazione è un onere che deve essere comunque adempiuto, a tutela di esigenze di pubblicità generale, ma deve essere accompagnato dalla notifica alla PA del contratto di cessione in forma di atto pubblico, o di scrittura privata, come previsto dalla normativa pubblicistica.

Ventura Mauro

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