La Cassazione chiarisce quando opera la preclusione del giudicato cautelare

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Il fatto

Il Tribunale di Reggio Calabria, sezione specializzata per il riesame, in sede di appello cautelare promosso ex art. 310 cod. proc. pen., previa riunione dei correlati procedimenti, confermava le ordinanze emesse in data 18.11.17, 4.12.17, e 15.5.18 con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria aveva rigettato le istanze di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari, applicata nei confronti del ricorrente per il reato di associazione mafiosa denominata “ndrangheta“.

Nell’impugnato provvedimento, questo Tribunale rilevava in particolare come, sulla questione della sussistenza della gravità indiziari, si fosse formato il giudicato cautelare a seguito della sentenza del 4.04.18 con la quale la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso di S., aveva confermato l’ordinanza del Tribunale emessa in sede di riesame in merito anche ai profili che attenevano alla corretta identificazione dello S., quale partecipante al c.d. summit di ‘ndrangheta tenutosi in data 3 aprile 2010 presso l’abitazione di P., desunta non solo dall’analisi delle immagini estrapolate dalle riprese del sistema di videosorveglianza ma anche sulla base della valutazione complessiva del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente

Ciò posto, poiché con le istanze della difesa, ed i successivi appelli avverso le ordinanze di rigetto, sarebbero state riproposte sempre le medesime censure alle valutazioni già operate in sede di ricorso per il riesame, senza introdurre elementi nuovi o sopravvenuti, ma unicamente nuovi argomenti logici, il Tribunale, previa loro riunione nel presente procedimento, aveva deciso per il rigetto ritenendo non determinante la questione relativa al giudizio di comparazione delle immagini estrapolate dai fotogrammi, formulato dal nucleo di investigazioni scientifiche dei Ris dei Carabinieri in termini di “affinità“, piuttosto che di “compatibilità“.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 

Gli indagati, per il tramite dei loro difensori, ricorrevano per cassazione deducendo violazione di legge penale e vizio di motivazione perché, pur a prescindere dalla errata affermazione che a casa P. il giorno … si fosse tenuta una riunione della ‘ndrangheta e prescindendo anche dalle considerazioni in merito all’assenza di altri elementi di prova a suo carico, il Tribunale avrebbe omesso di prendere in considerazione le consulenze tecniche, non valutate dalla citata sentenza emessa dalla Corte di Cassazione perché sopravvenute rispetto all’ordinanza di rigetto del riesame, e con le quali era stata contraddetta la identificazione nello S. del soggetto ritratto nelle immagini estrapolate dalle riprese del sistema di video-sorveglianza di quell’abitazione, senza fornire alcuna motivazione dell’affermata insussistenza del vizio denunciato.

In particolare, secondo le doglianze del ricorrente, le consulenze tecniche di parte escludevano l’identificazione sulla base dell’analisi del dato antropometrico della statura risultando il soggetto in verifica più basso di circa 10 cm e, da ultimo, anche quelle del RIS dei Carabinieri, in rapporto alla scala di riferimento del giudizio di comparazione articolata in quattro gradi (non compatibilità, affinità, compatibiltà, compatibilità totale), esprimendo un giudizio di “affinità“, escludevano che, dalla comparazione delle immagini estrapolate dal video del 03/04/2010, potessero ricavarsi elementi utili a consentire l’identificazione del soggetto ripreso.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (ex plurimis Sez. 6, n. 23295 del 17/03/2015) fermo restando che la preclusione del c.d. giudicato cautelare non opera rispetto alle acquisizioni di nuovi elementi probatori che, ponendosi in contraddizione con quelli già valutati, impongono necessariamente una nuova rivalutazione del quadro indiziario al fine di verificare la perdurante sussistenza della necessaria gravità degli indizi richiesta per legittimare il mantenimento della misura cautelare.

Premesso ciò, veniva rilevato come, nel caso di specie, si dovesse rilevare che l’individuazione dello S. R., quale partecipante alla riunione di ‘ndrangheta svoltasi presso l’abitazione di P. G. il giorno 3 aprile 2010, era stata affermata sulla base di due relazioni dei ROS dei Carabinieri dell’ 8.10.2015 e del 31 luglio 2017, ritenute in sede di riesame e di ricorso per cassazione (con sentenza n. 28851 del 4 aprile 2018) idonee a supportare un giudizio di gravità indiziaria, perché valutate dal tribunale del riesame prevalenti, o comunque non indebolite nella loro valenza probatoria dalla consulenza di parte prodotta dalla difesa che, per contestarne l’attendibilità, aveva rilevato una differente statura tra i soggetti in comparazione ma che però era stata, poi, in sede di legittimità, vagliata la congruenza logica della motivazione dell’ordinanza del riesame.

Oltre a ciò, si faceva presente come, successivamente, la difesa avesse proposto plurime istanze di revoca, rigettate dal gip con le tre ordinanze del 18.11.17, 4.12.17, e 15.5.18, impugnate con l’appello cautelare davanti al tribunale ex art. 310 cod. proc. pen. mentre il tribunale, dopo aver premesso che la questione dell’identificazione sarebbe stata coperta dal giudicato cautelare, aveva tuttavia ritenuto di fare proprie le argomentazioni con le quali il Gip aveva respinto le censure della difesa dando atto della rivalutazione puntuale ed articolata operata nelle due prime predette ordinanze delle risultanze delle nuove consulenze di parte prodotte dalla difesa perchè confutate attraverso le note tecniche dei Ros del 31/07/2017 fermo restando che, con riferimento, invece, all’ultima ordinanza, quella del 15.05.2018, il Tribunale, dopo avere dato atto della carente motivazione del rigetto per non essere stata adeguatamente valutata la sopravvenuta nota dei Ris dei Carabinieri del 9.03.18 prodotta dalla difesa, pur ritenendone correttamente necessaria la valutazione, ad avviso della Corte, non aveva fornito una motivazione esauriente in merito all’esito di questo nuovo accertamento tecnico posto che, pur non contestandone l’esito, ne era stato sottovalutato immotivatamente l’incidenza nella valutazione del quadro indiziario complessivo senza fornire una spiegazione coerente della ravvisata conciliabilità con le risultanze già acquisite trattandosi di emergenze in evidente contraddizione tra loro, che attenevano al dato fondamentale del quadro indiziario incentrato sulla corrispondenza dell’indagato alle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza dell’abitazione di P.; difatti, ad avviso del Supremo Consesso, se nelle valutazioni comparative operate dai ROS dei carabinieri si concludeva per un giudizio di corrispondenza certa sulla base del raffronto dell’attaccatura dei capelli e della morfologia del padiglione auricolare (pag. 11 dell’informativa del 31.07.2017), diversamente, nella valutazione comparativa eseguita dai RIS, si esprimeva un giudizio di “compatibilità” con riferimento alla statura dei due soggetti in comparazione ed un giudizio di “affinità” che, secondo quanto esplicitato nella stessa consulenza, non consentiva di pervenire all’identificazione del soggetto atteso che, nella scala di valutazione, il giudizio di “affinità” non esprime un grado elevato di affidabilità.

Tal che se ne faceva conseguire come la motivazione dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui si affermava che tale nuovo dato probatorio dovesse essere letto unitamente agli altri elementi di prova illustrati nell’ordinanza genetica, non avesse affrontato la questione fondamentale del rilevato contrasto che emergeva obiettivamente tra le risultanze delle valutazioni comparative eseguite prima dai Ros, e poi dai Ris dei Carabinieri, e, pertanto, stante per l’appunto la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata che, pur prendendo atto dell’esito della comparazione in termini di ridotta affidabilità espresso dalla citata consulenza dei Ris, elemento nuovo favorevole all’indagato e sopravvenuto rispetto a quello considerato in sede di ricorso per cassazione, concludeva affermando apoditticamente che il quadro indiziario complessivo non ne sarebbe stato compromesso senza spiegarne adeguatamente la ragione.

La Corte di Cassazione, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, annullava con rinvio l’ordinanza impugnata per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

Conclusioni

La sentenza in commento è assai interessante nella parte in cui chiarisce quando è configurabile il giudicato cautelare, e quando invece no.

Difatti, in tale pronuncia, si afferma, da un lato, che le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame, dall’altro, che la preclusione del c.d. giudicato cautelare non opera rispetto alle acquisizioni di nuovi elementi probatori che, ponendosi in contraddizione con quelli già valutati, impongono necessariamente una nuova rivalutazione del quadro indiziario al fine di verificare la perdurante sussistenza della necessaria gravità degli indizi richiesta per legittimare il mantenimento della misura cautelare.

Siffatta decisione, di conseguenza, proprio perché chiarisce quando è configurabile il giudicato cautelare, deve essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta si tratti di verificarne la sussistenza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale provvedimento, proprio per questa sua funzione chiarificatrice, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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