La Cassazione chiarisce in che modo è configurabile il reato di esercizio di giuochi d’azzardo: vediamo come

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(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 718)

Il fatto

La Corte di appello di Catanzaro confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Cosenza e appellata dagli imputati, che aveva condannato M. M. e A. R. alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa per entrambi, perché ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 4, comma 4, I. n. 401 del 1989 per aver esercitato, o comunque, organizzato, in concorso tra loro – la prima quale titolare del bar in cui erano ubicate le apparecchiature elettroniche, il secondo quale proprietario di dette apparecchiature – giochi d’azzardo a mezzo di apparecchi vietati dall’art. 110 r.d. n. 773 del 1931.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, gli imputati.

In particolare, nell’interesse dell’imputato M. M., venivano formulati i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 718, 719 e 721 cod. pen. e 4, comma 4, I. n. 401 del 1989 per insussistenza dell’elemento materiale del reato atteso che la Corte territoriale avrebbe ritenuto la sussistenza del requisito della aleatorietà del gioco sulla base delle dichiarazioni dei testi senza disporre alcuna perizia per accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato; 2) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 718, 719 e 721 cod. pen. e 4, comma 4, I. n. 401 del 1989 per insussistenza della finalità di lucro visto che, ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso qualsivoglia accertamento della finalità di lucro perseguibile nei giochi riprodotti dagli apparecchi, elemento indispensabile per affermare la sussistenza del reato di gioco d’azzardo, asserendo erroneamente che detto requisito fosse in re ipsa; 3) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 4, comma 4, I. n. 401 del 1989 per la mancata verifica dell’insussistenza delle autorizzazioni prescritte dato che, secondo la ricorrente, la Corte territoriale non aveva verificato l’assenza delle autorizzazioni amministrative, previste per i giochi riservati allo Stato; 4) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 718, 719 e 721 cod. pen. e 4, comma 4, I. n. 401 del 1989 per il mancato accertamento sia di un minimo di organizzazione, sia del dolo stante il fatto che la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla sussistenza né del presupposto dell’organizzazione che caratterizza la contestata ipotesi delittuosa, ben diversa dal mero concorso di persone nel reato, né del dolo in capo alla M..

Invece, nell’interesse di A.R., venivano proposti i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 4, comma 4, I. n. 401 del 1989 giacché, ad avviso del ricorrente, nel caso in esame si sarebbe trattato di apparecchi di naturale promozionale denominati “totem” da annoverarsi tra i congegni elettronici di cui all’art. 110, commi 6 e 7, T.U.L.P.S., la cui violazione integra un mero illecito amministrativo; 2) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. per manifesta illogicità e difetto della motivazione visto che, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la finalità di lucro in re ipsa, senza una concreta verificata delle modalità del gioco, dei costi delle partite, della presenza dell’alea, delle vincite realizzabili fermo restando che, in ogni caso, la sentenza sarebbe stata illogica laddove aveva ritenuto che l’esercizio di giochi quali Black Jack, Roulette, Joker Multiplay, Jeck Better, riproducessero integralmente il poker il quale, invece, ha proprie regole che non possono essere confuse con quelle di altri giochi; 3) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. per omessa applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. dato che, secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva omesso di valutare, d’ufficio, la sussistenza dei presupposti della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il Supremo Consesso stimava il ricorso promosso nell’interesse di M. M. fondato in relazione al secondo motivo.

Prima di esaminare questa doglianza, si rilevava come il primo motivo fosse manifestamente infondato osservandosi a tal proposito, in via preliminare, che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, omissis, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep. 12/04/2012, omissis, Rv. 252615).

Premesso ciò, si faceva presente come, nel caso in esame, i giudici di merito avessero ravvisato sussistenza del requisito dell’aleatorietà del gioco sulla base delle dichiarazioni degli agenti operanti i quali appurarono che il funzionamento dei quattro apparecchi elettronici, installati nell’esercizio commerciale “…” gestito dalla M. e collegati, tramite rete telefonica fissa al sito dell’allibratore …, avveniva tramite introduzione di banconote e carte prepagate che consentivano, mediante la connessione alla rete, l’esercizio di giochi riproducenti le regole del poker, e da ciò i giudici di merito, ad avviso della Corte, avevano correttamente desunto che l’elemento preponderante del gioco non fosse stata l’abilità del giocatore, ma l’alea del meccanismo di combinazioni, la cui conoscenza è ignota al giocatore medesimo, essendo frutto del caso reputandola una motivazione immune da vizi logici e giuridici avendo i giudici di merito fatto corretta applicazione del principio secondo cui il reato di cui all’art. 110 del TULPS, come modificato dall’art. 37 della legge 18 giugno 2000 n. 388, è certamente integrato dall’utilizzazione dei cd. videopoker, caratterizzati dalla prevalenza dell’alea sull’abilità (Sez. 3, n. 20261 del 13/03/2003; Sez. 3, n. 36063 del 27/09/2002; Sez. 3, n. 38054 del 30/09/2002).

Oltre a ciò, si metteva in risalto il fatto di come non cogliesse nel segno la censura difensiva laddove si insinuava che l’aleatorietà dei giochi avrebbe dovuto essere accertata per mezzo di consulenza stante il fatto che, per un verso, si tratta di un accertamento che ben può essere effettuato dagli agenti operanti mediante il concreto utilizzo degli apparecchi essendo di intuitiva evidenza il meccanismo di funzionamento e di vincita del “videopoker”; per altro verso, non risultava che l’imputato avesse mai avanzato nel corso del processo richiesta di perizia o avesse effettuato, come era suo diritto, una consulenza di parte a sostegno delle proprie deduzioni.

Ciò posto, venendo ad esaminare il motivo reputato fondato, gli ermellini rilevavano come il gioco d’azzardo, punito dall’art. 718 cod. pen., si configuri allorché l’abilità del giocatore assume un ruolo minimo rispetto alla aleatorietà, dovuta alla fortuna ed al caso, e sussiste un fine di lucro, che può essere escluso solo allorquando la posta sia talmente tenue da avere un valore irrilevante (Sez. F, n. 35529 del 23/08/2016; Sez. F, n. 33253 del 02/08/2007; Sez. 3, n. 42519 del 24/10/2002); in altri termini, ai fini dell’accertamento del reato di esercizio di giuochi d’azzardo, è necessaria la prova dell’effettiva esistenza di mezzi atti ad esercitarlo, dell’effettivo svolgimento di un gioco e, qualora si tratti di apparecchi automatici da gioco di natura aleatoria, dell’effettivo utilizzo dell’apparecchio per fini di lucro, non essendo sufficiente, in tale ultimo caso, accertare che lo stesso sia potenzialmente utilizzabile per l’esercizio del gioco d’azzardo (Sez. 3, n. 25032 del 02/03/2016) precisandosi altresì che il fine di lucro non può essere ritenuto esistente solo perché l’apparecchio automatico riproduce un gioco vietato ma deve essere valutato considerando anche l’entità della posta, la durata delle partite, la possibile ripetizione di queste ed il tipo di premi erogabili, in denaro o in natura (Sez. 3, n. 998 del 19/2/2008).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto alla fattispecie in esame, i giudici di piazza Cavour osservavano come, nel caso di specie, i giudici di merito non avessero fatto buon governo dei principi ora indicati avendo ritenuto il fine di lucro in re ipsa, trattandosi di giochi tipo “videopoker”, senza compiere, a tal proposito, alcun accertamento concreto, desumibile, ad esempio, dal valore della posta ovvero dai premi erogabili.

Tal che se ne faceva conseguire come la sentenza dovesse essere annullata con rinvio per colmare la censurata lacuna motivazionale con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Per quanto riguarda gli altri motivi proposti nell’interesse di M.M., questi veniva ritenuti tutti inammissibile visto che le censure non erano state dedotte con i motivi di appello incentrati unicamente sul mancato accertamento dell’aleatorietà dei giochi e del fine di lucro mentre, per costante giurisprudenza, non possono essere dedotti con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (tra le più recenti, cfr. Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017 – dep. 14/06/2017; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017).

Per quel che riguarda invece i motivi prospettati nell’interesse di A.R., veniva stimato fondato quello relativo al mancato accertamento del fine di lucro, enunciato con il secondo motivo, comune al corrispondente motivo dedotto dalla coimputata, alla cui trattazione si rinviava mentre i motivi ulteriori venivano considerati inammissibili perché manifestamente infondati (cioè quello relativo all’aleatorietà degli congegni elettronici, dedotto con il secondo motivo) e perché non proposti con l’atto di appello (vale a dire il primo e il terzo motivo).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui chiarisce come può essere configurabile il reato previsto dall’art. 718 c.p..

Difatti, in questa pronuncia, gli ermellini spiegano tale questione giuridica richiamando un pregresso orientamento nomofilattico con cui sono stati enunciati i seguenti principi di diritto: a) il gioco d’azzardo, punito dall’art. 718 cod. pen., si configura allorché l’abilità del giocatore assume un ruolo minimo rispetto alla aleatorietà, dovuta alla fortuna ed al caso, e sussiste un fine di lucro che può essere escluso solo allorquando la posta sia talmente tenue da avere un valore irrilevante; b) ai fini dell’accertamento del reato di esercizio di giuochi d’azzardo, è necessaria la prova dell’effettiva esistenza di mezzi atti ad esercitarlo, dell’effettivo svolgimento di un gioco e, qualora si tratti di apparecchi automatici da gioco di natura aleatoria, dell’effettivo utilizzo dell’apparecchio per fini di lucro, non essendo sufficiente, in tale ultimo caso, accertare che lo stesso sia potenzialmente utilizzabile per l’esercizio del gioco d’azzardo; c) il fine di lucro non può essere ritenuto esistente solo perché l’apparecchio automatico riproduce un gioco vietato ma deve essere valutato considerando anche l’entità della posta, la durata delle partite, la possibile ripetizione di queste ed il tipo di premi erogabili, in denaro o in natura.

Va da sé dunque che tali criteri ermeneutici possono essere presi nella dovuta considerazione ogniqualvolta venga contestato questo illecito penale, e ciò al fine di verificarne la sussistenza o meno.

La pronuncia in commento, proprio per questa sua funzione chiarificatrice, è sicuramente condivisibile e, pertanto, il giudizio in ordine a quanto ivi statuito non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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