“L’interpretazione del bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego: quali regole seguire?” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sentenza n. 2709 del 27.05.2014).

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Con riferimento al bando di un concorso pubblico emanato da un istituto geriatrico e avente ad oggetto l’assunzione di n. 20 ausiliari socio-assistenziali – IV qualifica funzionale, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato – respingendo l’appello di parte ricorrente, non ammessa a partecipare al predetto concorso – descrive i canoni ermeneutici da adottare ai fini di una corretta interpretazione del bando di gara (c.d. “lex specialis” del pubblico concorso).

Più specificatamente, la censura prospettata dall’appellante è incentrata su di una presunta illegittimità del bando medesimo, laddove quest’ultimo fa testuale e semplice riferimento alla figura professionale dell’ausiliario socio-sanitario; la Commissione giudicatrice del concorso in esame, in questo caso, avrebbe dovuto farsi carico di interpretare la lex specialis nel senso dell’equiparazione del medesimo ausiliario socio-sanitario alla figura dell’infermiere generico – il titolo posseduto dalla stessa appellante – sulla base del fatto che l’equipollenza tra tali due figure costituirebbe “. . . (omissis) . . . un dato di fatto, oggetto di giudizio valutativo, non prerequisito oggetto di disciplina e contemplazione da parte del bando“.

Ebbene, a tale proposito i giudici di Palazzo Spada:

a) ribadiscono che la c.d. “lex specialis” va interpretata in termini “strettamente letterali”, con la conseguenza che le regole in essa contenute vincolano rigidamente l’operato della P.A., obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità in base i) al principio dell’affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, nonché ii) al più generale principio che vieta la disapplicazione del bando “quale atto con cui l’amministrazione si è originariamente auto-vincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva” (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10 aprile 2013 n. 1969);

b) chiariscono che le clausole del bando di concorso per l’accesso al pubblico impiego “non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in funzione integrativa, diretto ad evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi (in questo senso, cfr. Cons. Stato, Sez. V, sentenza 19 novembre 2012 n. 5825), ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale della parole e dalla loro connessione, ai sensi dell’art. 12, primo comma, disp. prel. cod. civ.

Soltanto nell’ipotesi in cui il dato testuale presenti evidenti ambiguità dovrà essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole all’ammissione del candidato alle prove (sempre qualora non si oppongano a ciò interessi pubblici diversi e di maggior rilievo), “essendo conforme al pubblico interesse che alla procedura selettiva partecipi il più elevato numero di candidati” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, sentenza 10 novembre 2003 n. 7134).

Nel caso di specie, ad ogni modo – concludono i giudici amministrativi sul punto – il bando concorsuale, laddove inderogabilmente imponeva ai partecipanti di possedere il titolo di “ausiliario socio-assistenziale” senza contemplare equipollenze o deroghe specifiche, introduceva nella lex specialis una disposizione normativa assolutamente inequivoca nel suo significato letterale e, perciò, di stretta interpretazione “sia per la commissione giudicatrice, sia per questo stesso giudice, con conseguente impossibilità per l’interprete di utilizzare al riguardo le tecniche ermeneutiche dell’estensione e dell’analogia” (cfr. artt. 14 e 12 disp. prel. cod. civ.).

 

Avv. Tramutoli Daniele

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