L’indennità di rischio per lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti

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In alcune pubbliche amministrazioni, segnatamente al settore della ricerca, della sperimentazione e della sanità, capita di trovarsi di fronte a (pressanti) richieste di lavoratori – a mezzo delle proprie oo.ss.- per la concessione dell’indennità di rischio da esposizione alle radiazioni ionizzanti.
 
            Viene di seguito fornito un contributo necessario alla ricostruzione del beneficio in esame, con particolare riferimento alla disciplina posta in essere dalla contrattazione collettiva nazionale nel campo del personale del Servizio Sanitario Nazionale e nel campo degli enti pubblici di ricerca e sperimentazione.
La disciplina di tale indennità, infatti, è stata nel tempo oggetto di una serie di interventi normativi e giurisprudenziali: articolo 1 della legge n. 416 del 1968, articolo 1 commi 2 e 3 della legge n. 460 del 1988, articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270 (recante “norme  risultanti  dalla  disciplina  prevista dall’accordo   sindacale,   per   il   triennio 1985-1987, relativa al comparto del  personale dipendente del  Servizio  sanitario  nazionale”), sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 343 del 7 luglio 1992, articolo 26 decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1991, CCNL comparto Ricerca 1994/1997, (articolo 11 parte economica – biennio 1996-1997) e 1998/2001 (articolo 47), diverse pronunce della giurisprudenza amministrativa, tra cui si segnalano, Cons. Stato, Sez. V, 5.11.1999, n. 1843 e di recente TAR Marche, nn. 134 e 135, 18 marzo 2004.
            Nell’ambito dei criteri di accertamento del livello di esposizione professionale ai fini dell’erogazione del detto beneficio, la legge n. 460 del 1988 ha segnato il transito da un sistema di riconoscimento dei benefici economici e previdenziali in parola, basato su meri requisiti soggettivi (quale il solo fatto dell’esercizio della professione di radiologo), ad un sistema ancorato a puntuali elementi oggettivi (come l’accertamento della continua e permanente esposizione a rischio radiologico), ampliando, conseguentemente, le categorie destinatarie di tale beneficio, al di là del settore della radiologia medica, sempre a seguito di accertamento della sussistenza delle condizioni oggettive richieste.
A tal proposito, l’intervento della Consulta sopra indicato (n. 343/1992) ha avuto modo di precisare che: “la finalità di prevenzione propria dell’indennità di rischio da radiazioni può essere compiutamente realizzata solo se – nella attribuzione della stessa indennità – venga valorizzato, anche al di là della qualifica rivestita, il dato della effettiva esposizione al rischio”.
Nel processo di estensione di tale disciplina a categorie precedentemente non individuate, avvenuto in sede di contrattazione collettiva nell’ambito del comparto della Ricerca, è da segnalare che il testo dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1991, pubblicato sul supplemento alla Gazzetta Ufficiale 132 del 7.6.1991 (e recante il recepimento dell’accordo per il triennio contrattuale 1988-90 concernente il personale degli Enti di ricerca), così come formulato, richiama pedissequamente l’articolo 1, commi 2 e 3 della legge n. 460 del 1988.
Infatti, stando alla lettera del detto articolo 26, criteri discriminanti per l’accesso (al pari dell’articolo 1 della legge n. 460/88) all’erogazione dell’indennità da rischio di radiazione nella misura di £ 200.000 mensili sono:
1.      l’essere “sottoposto in continuità all’azione di sostanze ionizzanti o adibito ad apparecchiature radiologiche in maniera permanente”;
2.      il prestare “la propria opera in zone controllate, ai sensi della circolare del Ministero della sanità n. 144 del 4 settembre 1971”;
3.      il carattere professionale del rischio da radiazioni, “nel senso che non sia possibile esercitare l’attività senza sottoporsi al relativo rischio”.
Coerentemente, nell’ambito del comparto del personale del Servizio Sanitario Nazionale, gli accordi collettivi nazionali già con l’articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270, ai fini della concessione dell’indennità di cui l’articolo 1, commi 2 e 3 della legge n. 460/88, prefiguravano l’introduzione di una commissione medico-scientifica ad hoc, per la valutazione delle condizioni oggettive necessarie per l’erogazione dell’indennità in parola: le competenze di tale organismo, peraltro, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale sopra indicato, venivano notevolmente ampliate, consentendo l’accertamento non solo dei casi che avrebbero dato diritto alla corresponsione di una misura minore dell’indennità di rischio, ma anche di quelle situazioni che conferivano la possibilità di ottenere la misura più elevata (pari a £ 200.000), perché afferenti a categorie lavorative assimilabili a quelle già rientranti nel beneficio.
Parimenti nel comparto della Ricerca, attraverso l’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1991, nonché a seguito dei contratti collettivi nazionali successivi (94/97 e 98/01) che hanno confermato la disciplina di cui al predetto d.P.R. per l’attribuzione dell’indennità di cui l’articolo 1, commi 2 e 3 della legge n. 460, è stata altresì prevista l’istituzione di una apposita commissione “composta da almeno tre esperti qualificati della materia, anche esterni dall’ente o istituzione, nominata dal presidente”, con il compito di individuare il personale “non compreso nel comma 1 del presente articolo, che sia esposto a rischio in modo discontinuo, temporaneo o a rotazione, in quanto adibito normalmente o prevalentemente a funzioni diverse da quelle svolte dal personale indicato nel precedente comma 1”, a cui debba essere “corrisposta un’indennità di rischio parziale nella misura unica mensile lorda di lire cinquantamila”.
Pertanto al pari di quanto previsto nel comparto del personale del Servizio Sanitario Nazionale, anche nel comparto della ricerca, apparirebbe fornire il fianco a quanti sostengono che la competenza esclusiva per l’accertamento della sussistenza delle condizioni oggettive di esposizioni del rischio spetta inequivocabilmente alla Commissione sopra indicata la quale, in virtù anche del ricordato intervento della Consulta, estende il proprio sindacato anche a situazioni che diano luogo alla corresponsione di benefici in misura più elevata.
La lettera dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 1991 dunque richiama senza alcun dubbio l’istituzione di uno strumento di “verifica a posteriori”, quale la commissione, per l’accertamento delle condizioni per l’erogazione del beneficio in parola: tale evenienza è peraltro confermata sulla base di quanto si evince dal pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, peraltro confermato anche di recente.
Infatti, in merito, Cons. Stato, Sez. V, n. 1843/1999, ritiene che l’indagine sull’accertamento dei requisiti sufficienti per l’erogazione del beneficio neppure può “dirsi esaurita con la positiva verifica delle due condizioni preliminari della professionalità del rischio e della prestazione in zona controllata, dal momento che si tratta, comunque, di qualificazioni formali che non rispondono affatto al modello della continuità e permanente esposizione a rischio radiologico”.
Quanto asserito dal Consiglio di Stato (1843/1999), rende evidente anche che l’attribuzione dal congedo ordinario aggiuntivo di giorni 15 per recupero biologico, spettante ai sensi della legge n. 724 del 1994, è un diritto dei lavoratori che sorge per il solo fatto di svolgere attività professionale in zona controllata: condizione, quest’ultima, che non integra i requisiti necessari e sufficienti (quali “continuità e permanente esposizione a rischio radiologico”) ai fini della corresponsione dell’indennità di rischio da radiazioni, coerentemente all’impianto normativo e giurisprudenziale sin qui esposto.
Anche altre pronunce rendono ovvio la necessità di un sistema che vagli successivamente la ricorrenza dei presupposti; sul punto, si deve su tutte richiamare, TAR Marche, 134-5/2004, per cui: “il requisito della continuità non solo non coincide con quello dell’esposizione professionale, ma neppure può essere inteso con riferimento limitato al solo aspetto temporale dell’esposizione, cioè con il numero delle frequenze nelle “zone controllate” e col relativo periodo di permanenza, ma necessita anche dell’ulteriore requisito del “livello di assorbimento” o “grado di esposizione”, cioè di un’apprezzabile entità di dose assorbita”.
Tuttavia spesso ci si trova di fronte a richiami impropri che mettono in dubbio il coerente impianto che sembrerebbe posto in essere dalle norme sopra citate: è il caso del il richiamo prospettato in sede di contrattazione collettiva dai CCNL 1994/1997 e 1998/2001, segnatamente al settore degli Enti di Ricerca, secondo cui l’indennità è disciplinata “nel rispetto e in correlazione con le disposizioni e le classificazioni introdotte dal D. Lgs. 230/95 e successive modifiche e integrazioni”, non apporta di per sè gli estremi per l’attribuzione del beneficio.
Sebbene il decreto legislativo n. 230 del 1995 fornisca puntuali definizioni degli indicatori dell’esposizione professionale al rischio di radiazioni, esso, di per sé, non è sufficiente a far scattare automaticamente il diritto all’indennità: è evidente che i presupposti per la concessione dell’emolumento debbono essere sempre verificati successivamente, non essendo possibile “preventivarli” in una classificazione aprioristica, come quella che si vorrebbe far risalire al decreto legislativo n. 230 del 1995.
 A tal proposito, gli articoli 80 (citato da codesta O. S.), 82 e 83 del decreto in parola sono peraltro inseriti nel capo VIII denominato: “Protezione sanitaria dei lavoratori” e richiamano la classificazione ai sensi dell’articolo 61, comma 2, lettera b), la quale testualmente è svolta “a fini di radioprotezione”, e cioè finalizzata a porre in essere principi, raccomandazioni, requisiti, prescrizioni, tecnologie e modalità operative, verifiche, volte a proteggere i lavoratori dagli effetti dannosi delle radiazioni ionizzanti e non, come codesta O. S. lascerebbe intendere, a classificare i lavoratori ai fini della corresponsione di eventuali benefici di natura economica e previdenziale (eventualità peraltro non specificata in alcuna parte del testo del decreto).
Perciò, l’inserimento nella categoria “A” nella classificazione dell’esperto qualificato di alcuni lavoratori “esposti”, stante l’attuale impianto normativo e giurisprudenziale come fin qui mostrato, non fa discendere ipso iure la corresponsione del beneficio economico e previdenziale in argomento, bensì fa sorgere obblighi di radioprotezione, quali la sorveglianza medica tramite medici autorizzati, la periodicità di visite mediche e così via (cui l’Istituto ha peraltro già ottemperato).
Si evince, pertanto, che eventuali richiami, alla stregua di quello prospettato in sede di contrattazione collettiva dai CCNL 1994/1997 e 1998/2001 Enti di ricerca, non apportano di per sè gli estremi per l’attribuzione del beneficio.
Dalle considerazioni fin qui svolte, è evidente che l’accertamento del personale che rientra nell’applicazione di cui all’articolo 26 del d.P.R. n. 171 del 1991 deriva, invece, dalla verifica della sussistenza delle condizioni oggettive richieste dalla normativa vigente sulle radiazioni ionizzanti effettuate dalla Commissione per la concessione delle indennità da rischio di radiazioni ionizzanti.
Per ovviare ad eventuali lacune dovute alla mancata istituzione di una tale commissione è pertanto necessario dare seguito ad un provvedimento di nomina della stessa, ed eventualmente costituire un apposito tavolo con le parti sociali per intervenire sui miglioramenti da apportare rispetto a tale istituto (in sede di futura contrattazione collettiva), nonché sulla disciplina di eventuali situazioni pregresse, riconosciute meritevoli di tutela e fin ora non ancora accertate. 
 

Lucarini Alessandro

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