L’esercizio del diritto di accesso del cittadino agli atti della pubblica amministrazione e la omissione di atti d’ufficio. Quando la ‘distrazione’ del dirigente può costare caro all’ente locale. (nota a sentenza Cassazione n. 14466 del 2 aprile 2009)

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L’esercizio del diritto di accesso[1], regolamentato dalla Legge 241 e successivamente modificata dalla Legge n. 15 del 2005, ha trovato un ulteriore fonte giurisprudenziale di riconoscimento.
In questo caso la suprema Corte[2] ha censurato il comportamento di un funzionario di un ente locale che non aveva dato seguito alla istanza prodotta da una cittadina concretando, in questo modo, la condotta denominata “omissione di atti d’ufficio”.
 
Il fatto.
Una cittadina destinataria di un provvedimento di esproprio aveva fatto richiesta di conoscenza dell’atto con il quale la Regione aveva ceduto al Comune una determinata superficie destinandola alla realizzazione di un parcheggio.
Il Tribunale di Marsala[3] aveva riconosciuto colpevole un dipendente pubblico, dirigente dell’Ufficio Tecnico del comune, del reato di cui all’art. 328 del c.p. in quanto a fronte di detta richiesta di accesso non aveva risposto entro il termine di trenta giorni.
Analogo comportamento era stato tenuto dal funzionario anche in occasione di un successivo sollecito.
Ad avviso del Tribunale la responsabilità penale del dirigente derivava dal comportamento omissivo dello stesso che non aveva riscontrato nemmeno la successiva istanza di eguale tenore “da intendersi quale diffida ad adempiere e costituzione in mora, stante l’infruttuosità della precedente istanza…”.
Il dirigente comunale condannato aveva prodotto ricorso alla Corte distrettuale[4] che nel confermare la sentenza di primo grado aveva riconosciuto la esistenza di un interesse giuridicamente qualificato della istante “ad avere conoscenza dello stato di fatto e legale dell’area che avrebbe potuto ritornare nella sua proprietà (omissis)…, nonché del titolo che assisteva la sua destinazione materiale;”.
A parere della Corte tali informazioni erano determinanti per permettere alla istante di valutare l’atteggiamento da avere in materia e decidere quale opzione scegliere: “intraprendere nuove iniziative legali, per ottenere il risarcimento dei danni, oppure accedere alla retrocessione, oppure ancora di rinunciare, ‘re cognita’, ad ogni azione”.
Il dipendente, dirigente dell’Ufficio Tecnico, a sua difesa aveva affermato che, oltre a mancare l’interesse della ricorrente, egli non aveva competenza in merito.
A tale proposito la Corte aveva contestato l’asserto difensivo in quanto la successiva istanza “che formalmente costituiva in mora il Comune destinatario, risulta essere assegnata al settore diretto” dal dirigente che era quindi l’unico autorizzato a “rimettere copia di detti verbali e soltanto lui era a completa conoscenza delle vicende (omissis)… riguardanti il terreno destinato a parcheggio pubblico.”
Ragion per cui, ad avviso della Corte, la competenza del dirigente in questione era diretta e non derivata dagli altri dirigenti, ciò in quanto i documenti in questione erano nella sua disponibilità.
In merito alla asserita non competenza dell’imputato il giudice di appello dichiara che essa andava comunicata all’interessata e che, comunque, non lo avrebbe escluso da responsabilità di tipo penale in quanto “errore di diritto, riguardante la distribuzione delle competenze, fissata da norma extrapenale integrativa di quella penale.”.
 
La sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito a cinque aspetti evidenziati dall’imputato:
a)      la ricorrente non avrebbe avuto un interesse a conoscere detti atti in quanto l’area si trovava ancora nella disponibilità dell’Ente regionale, per cui la richiesta sarebbe da ascrivere tra quelle di tipo “strumentale e non seria”;
b)      le deduzioni di responsabilità della Corte distrettuale sarebbero basate su un procedimento espropriativo mai condotto dal Comune;
c)      la competenza del dirigente era stata argomentata in modo incongruo e contraddittorio;
d)      il legale della ricorrente aveva, comunque, ottenuto da altro Ufficio del Comune la notizia relativa alla inesistenza di procedimenti espropriativi nel sito interessato;
e)      la contestazione non riguardava l’omesso rilascio della documentazione inerente la situazione fattuale dell’area.
La Corte ha dichiarato infondato il ricorso e lo ha rigettato; precisando che “la regola di base, al fine di stabilire la determinatezza dell’imputazione, è quella che impone di avere riguardo alla contestazione sostanziale, la quale consente di escludere le dette nullità ogni qual volta il prevenuto…abbia avuto modo di individuare agevolmente gli specifici fatti con riferimento sui quali l’accusa è stata formulata e sviluppata”.
In merito alla valutazione dei fatti e, quindi, alla corrispondenza tra pronuncia e contestazione ex art 521 c.p.p[5]. va considerato sia il fatto contenuto nella imputazione sia le ulteriori istanze probatorie “portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione (omissis).
In riferimento all’art. 328 c.p[6]. quale fattispecie emersa a seguito della sentenza di primo grado, confermata in appello, la Corte ha precisato che “l’azione tipica di tale delitto è integrata dal mancato compimento di un atto d’ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ovvero dalla mancata esposizione delle ragioni del ritardo, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse, con la conseguenza che il reato, omissivo proprio e a consumazione istantanea, si intende perfezionato con la scadenza del predetto termine”.
Alla luce delle pronunce giurisprudenziali che hanno portato a sviscerare la sopra citata fattispecie delittuosa, hanno agito correttamente i giudici di merito nel ravvisare la esistenza di un interesse concreto e attuale in capo alla richiedente – interpellante.
Per concludere ci limitiamo a scrivere che trattasi di una sentenza che fa scaturire in capo ai dirigenti e funzionari della pubblica amministrazione una importante responsabilità e finisce, ci auguriamo, con lo ‘scardinare’ un argine finora spesso frapposto nei rapporti tra istituzioni e cittadini.
 
 
 
Dott. Giovanni Modesti[7]
 
 
 
 


[1] Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti G., L’esercizio del diritto di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione alla luce della Legge 15/2005; su www.diritto.it ;   su www.Jusreporter.it; su www.dirittosuweb.com (gennaio 2006); Il diritto di accesso da parte di un consigliere di un ente locale. Diritto ex lege 241/90 o diritto alla informazione? www.Altalex.com (marzo 2007); www.overlex.com (Quaderni di Overlex, n. 4 – aprile 2007); www.dirittosuweb.com (maggio 2007)
 [2] Corte di Cassazione – Sezione 6° penale, Sentenza del 2 aprile 2009, n. 14466; Presidente De Roberto G.,
[3] Tribunale di Marsala, sentenza del 18 gennaio 2005.
[4] Corte di appello di Palermo, sentenza del 21 marzo 2006.
[5] 521 c.p.p. Correlazione tra l`imputazione contestata e la sentenza1. Nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purchè il reato non ecceda la sua competenza nè risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anzichè monocratica.( comma sostituito dal D.Lgs. 19.2.1998, n. 51)ovvero non risulti tra quelli per i quali Ë prevista l’’udienza preliminare questa non si Ë tenuta.* 2. Il giudice dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto Ë diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (429, 450, 456) ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516, 517 e 518 comma 2. Su richiesta di parte, il giudice dispone che l’interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli articoli 498 e 499 3. Nello stesso modo il giudice procede se il pubblico ministero ha effettuato una nuova contestazione fuori dei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518 comma 2. *Come modificato dalla legge 16 dicembre 1999 G.U n. 296 del 18.12.99.
[6] Art. 328 c.p. Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione. Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa. Cfr. Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 15 settembre 2008, n. 35344 e Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 30 dicembre 2008, n. 48379 in Altalex Massimario.
 [7] L’Autore è Docente Incaricato di: Diritto Privato al Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, e di: Elementi di Diritto Pubblico al Corso di Laurea in Tecnico di Laboratorio Biomedico; presso la Università “G.D’Annunzio” – Facoltà di Medicina e Chirurgia di Chieti-Pescara.

Modesti Giovanni

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