Lilla Laperuta
In materia di procedimento disciplinare del professionista le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza 13 novembre 2012, hanno espresso l’opinione secondo cui è adottato legittimamente il provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione imposta all’avvocato condannato in primo grado in sede penale, nonostante che i fatti addebitati all’incolpato nel procedimento disciplinare risultino risalenti nel tempo.
Quello che rileva, ad avviso del Supremo consesso, è l’attualità dell’allarme sociale e dunque delle esigenze cautelari, riconducibile al clamore, “strepitus fori”, testimoniato nella fattispecie da articoli di stampa apparsi sui quotidiani.
Nell’occasione la Corte ha, ancora, precisato che l’art. 43, co. 3, del R.D.L. 1578/1933, conferisce al consiglio dell’ordine il potere di disporre in via cautelare la sospensione dall’attività professionale sulla base di una valutazione d’incompatibilità dell’addebito con l’esercizio della professione, indipendentemente da ogni indagine sulla consistenza dell’incolpazione, che rimane riservata al giudice penale.
Pertanto l’asserita insufficienza della motivazione della decisione cautelare, non sussiste in quanto il riferimento alla condanna penale per fatti inerenti all’esercizio dell’attività professionale dell’incolpato e l’eco che ne è derivato sulla stampa costituiscono di per sé ragioni idonee a giustificare, sul piano dell’argomentazione logica, l’esigenza cautelare sulla quale il provvedimento del consiglio dell’ordine si è basato.
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