L’apprendistato: una complicazione o un’opportunita’? il caso della provincia autonoma di bolzano

Scarica PDF Stampa

In tema di apprendistato, come si evince dalle statistiche, sono molte le domande di apprendisti da parte delle aziende, ma il numero degli stessi negli ultimi anni è in costante diminuzione, segno che c’è alla base un problema di matrice culturale, dal momento che si tratta di uno strumento poco conosciuto e verso il quale c’è una generale diffidenza. Per questo l’apprendistato deve essere considerato soprattutto uno strumento di orientamento e placement per dare risposta a quei due milioni e mezzo di giovani che né studia né lavora. I numeri sono abbastanza sconfortanti: su una disoccupazione giovanile ormai arrivata al 30%, nel mondo degli occupati solo un’esperienza di stage su cinque si trasforma in contratto di lavoro, una donna su due non lavora e in questo scenario l’apprendistato si pone come uno strumento alternativo, che potrebbe essere anche impiegato dagli over quaranta per reimmettersi sul mercato del lavoro. Ma a fronte di questi dati, c’è un’isola felice, che è quella della provincia autonoma di Bolzano dove la disoccupazione è pressoché inesistente o comunque ridotta ai minimi termini.

L’apprendistato deve porsi soprattutto come leva di placement in grado di soddisfare parte delle offerte di lavoro delle imprese che oggi rimangono inevase, ma soprattutto come mezzo per individuare le potenzialità dei giovani lavoratori e favorire il loro ingresso in azienda, costruendo percorsi di accrescimento delle competenze individuali, in grado di costruire figure tecniche specializzate e competitive. L’apprendistato può essere utilizzato per figure professionali eterogenee e questo dovrebbe rispondere alle richieste delle aziende, favorendo l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Gli apprendisti erano circa 650 mila nel 2008, con un calo di circa 80 mila unità negli ultimi due anni, questo non soltanto perché la crisi ha estromesso dal mercato del lavoro gli ultimi entrati, conservando le maestranza con più esperienza, ma anche perché c’è una generale disaffezione verso l’istituto. Al contrario, si registra un aumento progressivo degli stagisti, con circa 320 mila unità, mentre diminuiscono i contratti di apprendistato proprio nella fascia 18-24 anni che dovrebbe essere quella sulla quale investire maggiormente e nella quale il contratto di apprendistato dovrebbe trovare il suo maggior impiego.

L’Isfol, l’agenzia tecnica del Ministero del Lavoro, ha evidenziato come nel 2006 solo il 20% degli apprendisti riceveva una formazione adeguata, circa un apprendista su cinque quindi, oggi questa percentuale si sposta al 26%, ma si tratta di numeri ancora irrisori. In Germania il maggior utilizzo dell’apprendistato e dei contratti in deroga ha consentito di contenere la disoccupazione e incrementare l’occupazione. Analogamente anche la provincia di Bolzano, sull’esempio tedesco, utilizza l’apprendistato di primo livello cercando di costruire delle figure tecniche, a differenza dell’Italia, dove a fronte di 300 mila richieste di tecnici da parte delle aziende, solo 140 richieste vengono evase e permane una generale penuria di tecnici qualificati, specie nel settore dell’industria e dei servizi. Anche in Inghilterra e Francia si ricorre maggiormente all’apprendistato di alta formazione, mentre in Italia, Spagna e Grecia l’apprendistato di secondo livello è utilizzato soprattutto per abbattere il costo del lavoro e perché al termine del rapporto non sono previsti i vincoli previsti dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

La riforma Biagi aveva disegnato tre tipologie di apprendistato: diritto-dovere di istruzione ex art. 48 del dlgs 276/2003, sul modello tedesco, di fatto non decollato, tranne in alcune regioni come la Lombardia e il Veneto; apprendistato professionalizzante, l’unico operativo sul territorio e infine l’apprendistato di alta formazione, sul modello francese, anche questo di fatto raramente applicato. Le applicazioni dei tre modelli sono fortemente ostacolate perché in alcune regioni non vi sono convenzioni che regolamentano l’istituto, in altre sono previste accordi fra le parti sociali, in taluni casi fra agenzia formativa e azienda, in ogni caso risulta altamente complicato realizzare intese a livello regionale e poi all’interno delle singole categorie, ne risulta quindi un quadro disomogeneo e frammentato. E proprio questa condizione territoriale altamente disarticolata in materia di regolamentazione dell’apprendistato ad alimentare i dubbi delle aziende e a contribuire altresì a determinare il mancato utilizzo del contratto.

In Germania e Svizzera l’apprendistato è pagato intorno al 30%, ma è altamente formativo, prevede addirittura che l’apprendista ruoti attraverso più aziende in modo da specializzarsi e acquistare maggior professionalità. In Italia l’apprendista è pagato quasi quanto una maestranza specializzata, l’inquadramento è in genere al di sotto di due livelli e la formazione è piuttosto scarsa. Il modello francese è particolare, intermedio fra quello italiano e quello tedesco, perché prevede una retribuzione crescente, in funzione dell’acquisizione progressiva delle competenze acquisite sul lavoro.

In sintesi quindi l’apprendistato è poco appetibile perché non ha una disciplina omogenea nelle singole regioni, trattandosi di una materia a competenza bipartita Stato/Regioni, esiste il problema della formazione di fatto inattuata, vengono privilegiati canali alternativi come lo stage, il contratto a termine e a progetto, inoltre, non da ultimo, si consideri anche il problema legato alla durata, sei anni sono tanti, se un lavoratore inizia a 29 anni, si ritroverà a 35 ancora apprendista. Dall’altra parte però, l’apprendistato è una leva di placement che consente l’integrazione fra il mondo della scuola e del lavoro, in grado di rilanciare il lavoro manuale, recuperare la dispersione scolastica e incidere sulla produttività del lavoro, anche grazie a incentivi normativi ed economici. Recentemente la legge n. 183/2010 ha introdotto una maggior semplificazione dello strumento, prevedendo maggiori controlli su stage e lavori a progetto, per la formazione invece sono state introdotte apposite linee guida nel 2010.

In questo scenario però c’è un isola felice che corrisponde alla provincia autonoma di Bolzano, dove la disoccupazione è praticamente sconosciuta, infatti al pari della Svizzera, Germania e Austria, il fenomeno disoccupazione incide per circa il 4%, questo significa che circa 2/3 dei giovani acquisiscono una qualifica professionalizzante grazie all’apprendistato e trova immediato sbocco nel mercato del lavoro. La legge principale è la n. 3/55 che istituisce scuola professionali pubbliche con frequenza obbligatoria, quindi lo Statuto della provincia autonoma del ’72 e la legge n. 2/2006 che disciplina il contratto di apprendistato. L’apprendistato è infatti volto all’acquisizione di una qualifica professionale, in questo caso l’azienda deve essere autorizzata alla formazione degli apprendisti, la provincia richiede precise condizioni tecniche ed organizzative che devono sussistere in capo alle aziende, così come è richiesta una adeguata competenza del formatore. La formazione scolastica è intensa, l’obiettivo è la frequenza di 400 ore annue che possono essere frequentate a blocco oppure una volta alla settimana per 10-11 settimane, nelle 400 ore, circa 1/3 è dedicato alla cultura generale. Il ciclo di lezioni si chiude con un esame di fine apprendistato organizzato da una commissione d’esame costituita da rappresentanti delle parti sociali, l’esame è pratico e scritto, con un colloquio orale conclusivo. In Germania a differenza dell’Italia c’è una diversa concezione dell’apprendistato, mentre in Italia è considerato uno strumento per collocare ragazzi con difficoltà di apprendimento, in Germania, invece è un sistema per creare professionalità tecniche e formare operatori specialistici.

Si possono inoltre evidenziare i pro e i contro dell’apprendistato nella provincia autonoma di Bolzano, fra i punti di forza, il fatto che in questa provincia esistono scuole professionali ben attrezzate, insegnanti con formazione tecnica e pedagogica ad alto livello, nonché concezioni didattiche orientate all’azione. Si è progressivamente proceduto ad una sostituzione delle materie scolastiche con materie professionali, le aziende inoltre vedono nell’apprendistato uno strumento per formare tecnici altamente specializzati, un modo di apprendere attraverso la pratica. Il modello tedesco dell’apprendistato riserva però anche alcuni punti critici, in primis spesso è connotato da un’immagine negativa, un vicolo cieco, per questo è stato consentito recentemente agli apprendisti di poter sostenere l’esame di maturità ed accedere eventualmente a percorsi formativi superiori.

Il problema fondamentale è che in Italia manca un raccordo tra Università e mondo del lavoro che possa dare maggior dignità alla figura dell’apprendista, occorre invece orientare la domanda di lavoro per evitare che alcune professionalità strategiche non vengano coperte da personale qualificato, fermo restando che l’85% delle imprese utilizza il contratto di apprendistato prevalentemente per motivi economici. In ogni caso è noto che circa il 65% dei ragazzi con una qualifica di apprendistato trova lavoro nei 6 mesi successivi, si pone inoltre la necessità di introdurre un quinto anno scolastico che consenta di sostenere l’esame di stato ed accedere eventualmente all’Università, sull’esempio di quanto realizzato nella provincia autonoma di Bolzano.

Da più parti si auspica inoltre l’intervento di una riforma legislativa per rilanciare lo strumento dell’apprendistato anche approfittando del momento di crisi occupazionale, al fine di coprire le domande delle imprese rimaste inevase. In questo quadro occorrono intervento legislativi volti a promuovere un costo del lavoro uniforme, questo al fine di evitare il dumping sociale ed evitare il ricorso a strumenti alternativi, come lo stage, che dovrebbe essere quindi utilizzato solo al termine del ciclo scolastico e non in maniera impropria. Per rilanciare l’apprendistato, inoltre, si potrebbero utilizzare i fondi interprofessionali e attribuire un ruolo di maggior peso alle agenzie per il lavoro, quindi ridurre la durata dell’apprendistato ad un massimo di tre anni e assicurare la totale decontribuzione per tutti e tre gli anni.

Fondamentale è anche il problema della formazione del contratto di apprendistato, spesso svolta in maniera superficiale e che è invece rappresenta davvero un mezzo per assicurare una reale identità professionale a tutti gli apprendisti impegnati a costruirsi un percorso professionale, si auspica quindi un maggior impegno sul versante formativo anche attraverso l’utilizzo dei fondi interprofessionali, contribuendo così a rilanciare il contratto di apprendistato perché diventi finalmente una reale opportunità per inserire i giovani nel mercato del lavoro e non una mera complicazione.

 

1 A. R. Caruso è anche ispettore del lavoro presso la DPL di Cuneo, pertanto ai sensi della circolare del 18 Marzo 2004 del Ministero del Lavoro si precisa che le considerazioni contenute nel presente articolo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autrice e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

 

 

 

Caruso Anna Rita

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento